La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 12244 depositata il 20 maggio 2013 intervenendo in materia di sicurezza sul lavoro ha statuito che nel caso in cui il dipendente sia soggetto ad infortunio, l’azienda sarà tenuta a rispondere non solo qualora non abbia provveduto a fornire adeguati strumenti, ma altresì qualora non abbia provveduto ad organizzare le lavorazioni in modo idoneo.
Gli Ermellini, nel caso di specie, hanno precisato che il datore di lavoro non esaurisce i suoi doveri in ambito di sicurezza fornendo al lavoratore tutti gli strumenti necessari e vigilando sul loro utilizzo, ma deve occuparsi anche di provvedere ad un’organizzazione del lavoro idonea. In altri termini si è obbligati per le lavorazioni pericolose a farle svolgere con i giusti macchinari e non oltre l’orario di lavoro dal dipendente rimasto solo. Inoltre è importante evidenziare che la valutazione andrà svolta secondo cautele nei singoli casi da parte dell’azienda, poiché nemmeno la Corte ha potuto stabilire un criterio minimo omologo per tutte le attività.
La vicenda ha avuto origine con l’infortunio mortale del dipendente accaduto mentre eseguiva lavori di riparazione di un rimorchio agricolo nell’officina dello stabilimento, veniva colpito dal pianale del veicolo, che egli aveva sollevato verso l’alto.
Il giudizio penale instaurato nei confronti del legale rappresentante della società S. e del capo reparto della stessa impresa si concludeva con sentenza di patteggiamento, ex art. 444 cod. proc. pen., per il delitto di cui all’art. 589 cod. pen. e con declaratoria di amnistia per la violazione di cui all’art. 375 del D.P.R. n. 547 del 1955.
Successivamente gli eredi del lavoratore con atto di citazione in riassunzione convenivano dinanzi al Tribunale di Saluzzo la S. s.r.l. per sentirla condannare al risarcimento dei danni materiali e morali patiti per la morte del congiunto.
Il Tribunale adito rigettava la domanda dei congiunti del lavoratore, mentre la Corte di appello, adita dalla parte soccombente, in parziale accoglimento del gravame condannava la società appellata al risarcimento dei danni morali patiti dagli attori. In particolare i giudici della Corte Territoriale ritenevano che gli attori avessero provato in base all’onere su di essi incombente, la violazione da parte della società S. “degli obblighi, sia generali, ex art. 2087 c.c., sia derivanti da specifiche norme antinfortunistiche, dalle quali è derivata in via diretta e causale la morte dell’A. e conseguentemente la lesione diretta sotto il profilo dell’art. 2043 ce, del diritto degli attori in proprio, quali stretti congiunti dell’operaio rimasto vittima dell’ incidente”.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la S. s.r.l., affidando le sorti dell’impugnazione a due articolati motivi. La Corte Suprema ha rigettato il ricorso ritenendo infondati i motivi indicati.
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