La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 11063 del 08 marzo 2013 intervenendo in materia degli obblighi di tutela dei luoghi di lavoro ha statuito che attribuire la colpa del lavoratore non aver verificato che lo strumento messogli a disposizione dal datore di lavoro non costituisca fonte di pericolo deve ritenersi assioma destituito di giuridico fondamento. Esattamente al contrario, il lavoratore, il quale, peraltro, è tenuto ad eseguire i compiti che gli vengono ordinati, deve poter fare affidamento sulla circostanza che il datore di lavoro gli abbia messo a disposizione strumenti non costituenti fonte di pericolo.
La vicenda ha riguardato un operaio dipendente di una società ha subito un infortunio mortale per essere precipitato, da un’altezza di circa sei metri, mentre in un cantiere posto all’interno di una nave utilizzava una scala precaria per salire su di un blocco metallico. Il Tribunale prima e la Corte di Appello poi hanno assolto per non aver commesso il fatto gli imputati (datore di lavoro, delegato per la sicurezza ed il capocantiere) dai rispettivi capi di imputazione.
Il Pubblico Ministero e le parti civili avverso la decisione della Corte Territoriale propongono ricorso in Cassazione basato su due doglianza ed in particolare sostenendo che la Corte territoriale era incorsa in macroscopica violazione della legislazione antinfortunistica, richiamata nel capo d’imputazione (D.P.R. n. 547 del 1955, D.P.R. n. 164 del 1956 e D. Lgs. n. 626 del 1994) in quanto la dotazione di sicurezza delle scale e il loro uso risultavano minutamente regolato dalla legge per cui il datore di lavoro e i soggetti che rivestivano un ruolo di responsabilità dovevano garantire il rispetto delle indicate norme precauzionali.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso dei ricorrenti evidenziando che la Corte territoriale era incorsa in plurimi rilevanti travisamenti delle risultanze probatorie essendo risultato, infatti, che l’unica scala che avrebbe dovuto essere utilizzata era proprio quella, predisposta sul luogo sin dal giorno prima, dalla quale tragicamente è caduto il lavoratore e che l’uso delle cosiddette “manuticelle” era di assai difficile realizzazione in quanto non in dotazione e ne avrebbe dovuto essere autorizzato il noleggio. Non era quindi risultato veritiero che gli operai avevano la possibilità di richiedere, ove lo avessero voluto, le “manuticelle” o, comunque, strumenti più sicuri per salire e che gli stessi avevano il potere di richiedere l’utilizzo di mezzi di lavoro diversi rispetto a quelli messi loro a disposizione dall’azienda. Le altre scale presenti all’epoca presso il magazzino dell’azienda, tra l’altro, erano del tutto uguali a quella utilizzata e, pertanto, prive anche del pur minimo accorgimento volto ad assicurarne la sicurezza essendo delle semplici scale a pioli senza corrimano e agganci che impedissero lo scivolamento.
Infatti per i giudici di legittimità “non v’è dubbio che il datore di lavoro e chi per lui non possa pretendere di essere esonerato da penale responsabilità per gli infortuni procurati utilizzando strumenti di lavoro insicuri, impropri, o, comunque, inadeguati, lasciati nella disponibilità degli operai” ed ha citato in merito la sentenza della stessa Corte di Cassazione Sez. Fer. n. 32357 del 12/8/2010 che riguardava proprio l’uso di una scala. L’aver messo a disposizione dei lavoratori delle scale come quella che ha dato origine al tragico incidente ha costituito, secondo la suprema Corte, una indubbia violazione oltre che delle norme cautelari generiche, di quelle specifiche, puntualmente individuate nel capo d’imputazione in quanto era priva di agganci che ne impedissero oscillazioni (D.P.R. n. 164 del 1956, art. 8 e art. 77, lett. c), era priva di strumenti antisdrucciolo (art. 389, lett. c, in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 18) e non era stato predisposto un posizionamento sicuro e, comunque, tale da impedire oscillazioni (D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 3, comma 4, lett. c, e art. 35, lett. b).
I giudici della Corte Suprema pronunziandosi sull’ipotesi di una eventuale abnormità nella condotta del lavoratore, il giudice dell’appello non sembra avere fatto, secondo la Cassazione, una corretta applicazione dei principi di diritto consolidatisi nel corso degli anni in sede di legittimità, stante che il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro (avere messo a disposizione strumento non idoneo), ed il conseguente evento mortale non è stato spezzato da alcun elemento esterno o comportamento imprevedibile del lavoratore o di terzi, essendo occorso l’infortunio durante una fase ordinaria di lavoro. “Anche a volere ritenere”, ha quindi concluso la Sez. IV, “che allo stesso possa aver concorso una manovra erronea del lavoratore deve escludersi, secondo la logica comune, che nel caso in esame una tale manovra possa considerarsi avulsa dalle mansioni lavorative svolte, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto tenuto alla garanzia. Esattamente al contrario trattasi, invece, d’incidente mortale occorso nell’esercizio e a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa, come tale del tutto prevedibile e prevenibile”.
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