La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 2147 depositata il 17 gennaio 2025, intervenendo in tema di insinuazione al passivo di aziende sottoposte a sequestro ai sensi del d.lgs. n. 159 del 2011, ha ribadito il principio secondo cui “la busta paga consegnata al dipendente rappresenta un documento corrispondente, nel suo contenuto, alle scritture del libro unico del lavoro. Cosicché, ove munite dei requisiti previsti dalla legge n. 4 del 1953, art. 1, comma 2 (vale a dire, alternativamente, la firma, la sigla o il timbro di quest’ultimo), hanno piena efficacia probatoria del credito che il dipendente intenda insinuare al passivo della procedura fallimentare riguardante il suo datore di lavoro (ex multis, Cass. civ. n. 17413 del 05/05/2015; n. 10123 del 20/01/2017; n. 17930 del 01/07/2016).”

Il Supremo consesso chiarisce che l’efficacia probatoria delle buste e dei CUD  discende non tanto dal disposto degli artt. 2709 e 2710 cod. civ., (dato che al curatore fallimentare che agisce non in via di successione in un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua funzione di gestione del patrimonio di costui, non è opponibile l’efficacia probatoria tra imprenditori delle scritture contabili regolarmente tenute: Cass. civ. n. 14054 del 13/05/2015) o dalla applicazione dell’art. 2735 cod. civ. (atteso che nell’ambito dell’accertamento del passivo il curatore, quale rappresentante della massa dei creditori, si pone in posizione di terzietà rispetto all’imprenditore fallito), ma – a mente del combinato disposto dell’art. 39 del d.l. n. 112 del 2008 e degli artt. 1, 2 e 5 della l. n. 4 del 1953 –  dal fatto che il contenuto delle buste paga è obbligatorio e sanzionato (un tempo penalmente e ora in via amministrativa) e, come tale, è di per sé sufficiente a provare il credito maturato dal lavoratore.

Ed analoghe considerazioni valgono per il CUD, comune prova documentale, (non vincolante) per il giudice del merito, dell’esistenza di un rapporto lavorativo (Cass. civ., n. 10041 del 20/04/2017 e n. 31173 del 03/12/2018). “

Per gli Ermellini i suddetti principi ” (dettati per le procedure fallimentari, ma stante la sostanziale sovrapponibilità dei criteri di ammissione dei crediti, applicabili anche al giudizio di verifica descritto negli artt. 57 e ss. d. lgs. n. 159 del 2011) presuppongono, tuttavia, che il libro unico del lavoro sia stato tenuto in modo regolare e completo, per cui l’amministratore giudiziario non solo è abilitato a confutare il valore probatorio del medesimo libro a motivo della sua irregolare formazione, ma può anche contestarne le risultanze con mezzi contrari di difesa o, semplicemente, con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice: Cass. civ. n. 6501 del 02/02/2012; n. 18169 del 05/07/2019, Rv. 654544; n. 17413 del 01/09/2015, Rv. 636263),”

Per i giudici di piazza Cavour, in conclusione il creditore ha prodotto la busta paga relativa al mese di gennaio 2023 nonché i modelli cud 2023 e 2013, documenti dai quali emerge la prova documentale dell’esistenza del credito vantato dal ricorrente, il relativo titolo (trattamento di fine rapporto, del quale, quindi, si presuppone l’esistenza) e la connessa quantificazione. E a fronte di tale prova documentale, sufficiente, per come si è detto, a provare l’esistenza del credito, incombe sull’amministratore giudiziario l’onere di provare il contrario, contestando il contenuto del documento.”