MINISTERO LAVORO E POLITICHE SOCIALI – Interpello 23 ottobre 2013, n. 29
Interpello ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 124/2004 – Assicurazione Sociale per l’Impiego – licenziamento disciplinare.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Direzione generale in merito alla possibilità che si configuri il diritto del lavoratore a percepire l’ASpI e il conseguente obbligo del datore di lavoro di versare il contributo di cui all’art. 2, comma 31 della L. n. 92/2012, nell’ipotesi di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.
In particolare, l’istante chiede se il licenziamento disciplinare possa costituire un’ipotesi di disoccupazione “involontaria”, per la quale è prevista la concessione della predetta indennità.
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale per le Politiche Attive e Passive per il Lavoro, si rappresenta quanto segue.
L’art. 2 della L. n. 92/2012 ha introdotto l’Assicurazione Sociale per l’Impiego (d’ora in poi ASpI), con l’intento di fornire un’indennità di disoccupazione ai lavoratori colpiti da disoccupazione involontaria, nonché un contributo a carico del datore di lavoro per i casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, dovuto nelle stesse ipotesi che darebbero diritto all’ASpI (cfr. art. 2, comma 31, L. n. 92/2012).
Dal dettato della citata normativa, può evincersi che le cause di esclusione dall’ASpI e del contributo a carico del datore di lavoro sono tassative e riguardano i casi di dimissioni (con l’eccezione delle dimissioni per giusta causa, v. INPS circ. n. 97/2003, 142/2012, 44/2013, ovvero delle dimissioni intervenute durante il periodo di maternità tutelato dalla legge) e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Ciò premesso, non sembra potersi escludere che l’indennità di cui al comma 1 e il contributo di cui al comma 31 dell’art. 2, L. n. 92/2012 siano corrisposti in ipotesi di licenziamento disciplinare, così come del resto ha inteso chiarire l’Istituto previdenziale, il quale è intervenuto con numerose circolari (cfr. INPS circc. n. 140/2012, 142/2012, 44/2013) per disciplinare espressamente le ipotesi di esclusione della corresponsione dell’indennità e del contributo in parola senza trattare l’ipotesi del licenziamento disciplinare.
A supporto di quanto sopra rappresentato, si evidenzia che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 405/2001, aveva statuito in merito all’opportunità che, in caso di licenziamento disciplinare, venisse corrisposta l’indennità di maternità, pronunciandosi nel senso di ritenere che una sua esclusione integrasse una violazione degli artt. 31 e 37 della Costituzione, in quanto alla protezione della maternità andava attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento, trovando già “il fatto che ha dato causa al licenziamento (…) comunque in esso efficace sanzione”.
A giudizio della scrivente Direzione, la fattispecie in argomento è suscettibile di essere analizzata con il medesimo metodo di ragionamento adottato dalla Corte Costituzionale atteso che, analogamente a quanto argomentato dalla Corte a proposito della corresponsione dell’indennità di maternità, anche nel caso di specie il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore e, pertanto, negare la corresponsione della ASpI costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria nei suoi confronti.
Sotto altro profilo va evidenziato che il licenziamento disciplinare non possa ex ante essere qualificato come disoccupazione “volontaria”. Ciò in quanto la sanzione del licenziamento quale conseguenza di una condotta posta in essere dal lavoratore, sia pur essa volontaria, non è “automatica” (v. Cass. sent. 25 luglio 1984 n. 4382, secondo cui “l’adozione del provvedimento disciplinare è sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio di potere discrezionale”), senza contare l’impugnabilità dello stesso. In tali casi potrebbe risultare peraltro iniquo negare la protezione assicurata dalla ASpI nell’ipotesi in cui il giudice ordinario dovesse successivamente ritenere illegittimo il licenziamento impugnato.
Atteso quanto sopra esposto, non sembrano esservi margini per negare il contributo a carico del datore di lavoro previsto dall’art. 2, comma 31 della L. 92/2012, in quanto lo stesso è dovuto “per le causali che, indipendente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASpI”.
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