La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 20526 pubblicata il 06 settembre 2013 intervenendo in tema di rimborsi fiscali ha statuito che la domanda di restituzione dell’IVA indebita non può essere presentata dopo due anni dal pagamento oppure, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Il parere reso dall’Amministrazione Finanziaria, in difformità di altro parere precedente che abbia indotto il contribuente ad assolvere l’IVA non dovuta, non configura un “presupposto per la restituzione”, successivo e autonomo, al mero indebito versamento dell’imposta. La risposta all’interpello da parte dell’Ufficio e l’essersi il contribuente conformato a indicazioni contenute in atti dell’A.F. non valgono a integrare un titolo per la restituzione dell’IVA che già per legge non è dovuta.
La vicenda oggetto della controversia esaminata dalla Corte ha riguardato il rigetto di un’istanza di rimborso IVA che secondo la contribuente era stata indebitamente corrisposta, in relazione a operazioni di cessioni gratuite di campioni di modico valore, non considerate dalla legge (art. 2, co. 3, lett. d) D.P.R. 633/72) cessione di beni e, di conseguenza, non assoggettate a IVA. L’istanza di rimborso è stata respinta dall’Ufficio finanziario, sul presupposto che essa fosse tardiva, in quanto proposta oltre il termine biennale di legge (art. 21, D.Lgs. 546/192). Era stata infatti avanzata il 31 marzo 2006, per versamenti IVA avvenuti tra il 1998 e il 2004. I distinti atti di diniego dell’Amministrazione (uno per ogni annualità) sono stati impugnati di fronte al giudice tributario.
Nel ricorso proposto inanzi agli organi giurisprudenziali competenti la società ha spiegato che l’imposta era stata assolta in virtù della risposta fornita dalle Entrate (nel 2000) a specifico interpello. Con la successiva risoluzione n. 83/2003, però, l’Amministrazione aveva mutato orientamento, negando che le cessioni gratuite di campioni di modico valore fossero assoggettabili a IVA. Orientamento successivamente confermato dalla risposta delle Entrate a un nuovo interpello (nel 2004).
Le Commissioni Tributaria sia Provinciale, prima, e Regionale, poi, hanno accolto la tesi del contribuente, avendo i giudici condiviso l’assunto della ricorrente secondo cui il termine biennale per il rimborso doveva farsi decorrere “dalla data dell’ultimo parere reso sul caso concreto”, anche in considerazione del legittimo affidamento della società, la quale si era determinata ad assolvere l’imposta non dovuta esclusivamente in conseguenza del precedente erroneo parere espresso dall’Agenzia delle Entrate.
Per gli Ermellini l’interpretazione circa il “dies a quo” del termine biennale per la richiesta di rimborso dell’imposta dei giudici di merito è errata. I giudici della Corte Suprema hanno infatti rinviato la causa al giudice del merito che dovrà riesaminare la vicenda alla luce del principio di diritto in base al quale “la risposta all’interpello del contribuente, da parte dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 212/00, e l’essersi il contribuente conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 10 della stessa legge, non valgono ad integrare un titolo per la restituzione dell’IVA versata indebitamente, autonomo ed ulteriore rispetto a quello legale, ovverosia a quello fondato, nel caso di specie, sulla previsione dell’art. 2, co. 3, lett. d) del d.P.R. 633/72”.
Al giudice del rinvio (CTR Lombardia, in diversa composizione) spetterà anche provvedere all’esame delle questioni relative al dedotto obbligo risarcitorio dell’Agenzia delle Entrate per condotta illecita nei confronti della contribuente, ovvero indennitario per indebito arricchimento ai danni della medesima.
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