AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 24 gennaio 2019, n. 2
Consulenza giuridica – Articolo 26, commi 2 e 12, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 Con la richiesta di consulenza giuridica specificata in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art. 26 comma 12 del DPR n. 633 del 1972, è stato esposto il seguente
Quesito
Alfa, di seguito anche “l’istante”, solleva dubbi – come sinteticamente qui di seguito riportati – in ordine all’interpretazione dell’articolo 26, commi 2 e 12, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in particolare:
– vista la procedura di pignoramento presso terzi, in cui l’intervento dell’ufficiale giudiziario «resta limitato alla notifica dell’atto di pignoramento ai terzi pignorati e alla restituzione del titolo esecutivo, del precetto e dell’originale dell’atto di pignoramento alla parte istante; egli, pertanto, non effettua alcun accertamento relativo all’esistenza di beni o valori pignorabili e non forma, di conseguenza, alcun verbale»;
– considerato l’articolo 543, comma 4, ultimo periodo, c.p.c. a mente del quale «Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie degli atti di cui al secondo periodo sono depositate oltre il termine di trenta giorni dalla consegna al creditore»;
l’istante chiede «se sia corretto ritenere che il decorso dei trenta giorni di cui alla suddetta disposizione sia sufficiente a considerare la procedura esecutiva avviata con l’atto di pignoramento come “infruttuosa” ai fini dell’applicazione dell’art. 26 del d.p.r. n. 633 e, quindi, se sia possibile effettuare le variazioni in diminuzione in parola non appena sia decorso tale termine».
Soluzione interpretativa prospettata
In sintesi, al quesito formulato l’istante dà risposta positiva, sia in riferimento ai pignoramenti c.d. “esplorativi”, sia, e soprattutto, a quelli “intermedi”, intendendo, con la prima definizione, quel pignoramento «mediante il quale il creditore attiva la procedura del pignoramento allo scopo di acclarare la mera semplice presenza presso una banca di rapporti attuali con il debitore esecutato» e, con la seconda, «quello mediante il quale il creditore individua il titolo giuridico del credito pignorato – ad esempio un conto corrente – senza riuscire tuttavia a precisare l’entità della somma dovuta dal terzo».
Parere dell’agenzia delle entrate
L’articolo 26, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce che «Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, […] per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose […], il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25».
La richiamata disposizione regola le variazioni c.d. “in diminuzione” dell’imponibile e dell’imposta il cui esercizio, diversamente dalle variazioni c.d. “in aumento”, ha natura facoltativa (si veda già la circolare ministeriale 9 agosto 1975, n. 27/501706, ma anche, ex plurimis, Cassazione del 3 marzo 2017, n. 5403) ed è limitato ai casi espressamente previsti dal legislatore, tra i quali rientrano le ipotesi di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.
Per queste ultime, il comma 12 dello stesso articolo 26 – introdotto dall’articolo 1, comma 126 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 e successivamente modificato dall’articolo 1, comma 567, lettera c), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 – detta specifiche presunzioni, prevedendo che «Ai fini del comma 2 una procedura esecutiva individuale si considera in ogni caso infruttuosa:
a) nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
b) nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;
c) nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità».
Al riguardo, in primo luogo, va evidenziato che né le norme citate, né alcuna delle relazioni illustrative ai provvedimenti di loro introduzione, precisano se la procedura descritta sub a) sia quella di cui agli articoli 543 e ss. c.p.c., ovvero altra che, pur svolgendosi presso “terzi”, rientra nell’ambito dell’espropriazione mobiliare presso il debitore, come avviene nelle ipotesi di cui all’articolo 513, commi 3 e 4 c.p.c.: «[…] Il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, su ricorso del creditore, può autorizzare con decreto l’ufficiale giudiziario a pignorare cose determinate che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore, ma delle quali egli può direttamente disporre.
In ogni caso l’ufficiale giudiziario può sottoporre a pignoramento, secondo le norme della presente sezione, le cose del debitore che il terzo possessore consente di esibirgli».
Dunque, fermo restando che in tali ipotesi l’ufficiale giudiziario redige un verbale di pignoramento e, pertanto, la previsione di cui all’articolo 26, comma 12, lettera a), del d.P.R. n. 633 del 1972 può trovare piena applicazione, va sottolineato che l’esame delle fattispecie descritte nello stesso comma 12 consente di individuarne la comune ratio nella necessità che l’infruttuosità della procedura sia acclarata da un organo super partes (in specie, ufficiale giudiziario e/o giudice dell’esecuzione) e non rimessa all’arbitrio del creditore pignorante (il quale, ad esempio, potrebbe trovare economicamente non conveniente procedere con il deposito degli atti previsti nei termini di cui all’articolo 543, comma 4, c.p.c., facendo così estinguere una procedura in tutto o in parte fruttuosa).
Alla luce di quanto sopra, al quesito formulato dall’istante va data risposta negativa, trovando tutt’ora conferma, in caso di dubbio (vale a dire, impossibilità/difficoltà nell’applicare le presunzioni richiamate dall’articolo 26, comma 12, del d.P.R. n. 633), le indicazioni generali contenute nella circolare n. 77/E del 2000: «il presupposto legittimante la variazione in diminuzione viene ad esistenza quando il credito del cedente del bene o prestatore del servizio non trova soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni dell’esecutato ovvero quando sia stata accertata e documentata dagli organi della procedura l’insussistenza di beni da assoggettare all’esecuzione».
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