AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 05 aprile 2019, n. 96
Piani individuali a lungo termine -Articolo 1, commi da 100 a 114, della 11 dicembre 2016, n. 232 – Investimenti in strumenti finanziari partecipativi – Articolo 29 DL n. 179 del 2012 – Articolo 11, co. 1, lett. a) legge 27 luglio 2000, n. 212
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente
Quesito
La società fiduciaria ALFA (di seguito, “ALFA”) svolge l’attività di amministrazione di beni di terzi in forza di mandato fiduciario nonché l’attività di investimento di proprie eccedenze finanziarie.
ALFA, quale soggetto abilitato, intende ricevere mandati, da propri clienti persone fisiche residenti fiscalmente in Italia, per l’istituzione, amministrazione e la gestione di Piani individuali di risparmio (di seguito, “PIR”) di cui all’articolo 1, commi da 100 a 114 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, come modificati dall’articolo 57, comma 2 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96 (di seguito, anche “normativa PIR”).
Al fine consentire all’investitore-fiduciante l’accesso al predetto regime fiscale, ALFA chiede di conoscere se rientrano tra gli investimenti “qualificati” di cui al comma 102:
– le quote di PMI costituite nella forma giuridica di SRL, comprese le start-up innovative, di cui agli articoli 25 e ss. del decreto legge 18 ottobre 1972, n. 179, e le PMI innovative, di cui all’articolo 4 del decreto legge 24 gennaio 2015, n. 3, collocate anche tramite portali di equity crowdfunding ai sensi dell’articolo 100-ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e della delibera Consob n. 18592 del 26 giugno 2013 e successive modificazioni ed integrazioni, recante il “Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio tramite portali on-line”;
– i crediti in denaro erogati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali (c.d. Peer to Peer Lending), gestite da società iscritte nell’albo degli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (di seguito, “TUB”) o da istituti di pagamento di cui all’articolo 114 del TUB, autorizzati dalla Banca d’Italia. Trattasi di prestiti (di seguito, “Prestiti P2P”) che, pur non rientrando nella nozione di strumenti finanziari, producono, ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lett. d-bis) del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), redditi di capitale assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta a cura del gestore della piattaforma.
ALFA, inoltre, intende investire le proprie eccedenze finanziarie, ossia la liquidità derivante da utili di esercizio non distribuiti ai soci, in strumenti finanziari partecipativi (SFP) emessi da start-up innovative costituite in forma di SRL. In proposito, in risposta alla richiesta di documentazione integrativa, ALFA ha chiarito che due sono le tipologie di SFP in cui intende investire:
a. SFP convertibili in quote di SRL (start-up innovativa). Alla data di sottoscrizione il controvalore incassato dalla società emittente è contabilizzato tra i debiti. Alla data della conversione in quota di SRL il debito incrementa il capitale sociale nominale, oltre al sovrapprezzo, della start-up innovativa;
b. SFP non convertibili in quote di SRL (start-up innovativa), ma il cui controvalore è rimborsabile solo in occasione della liquidazione della società e congiuntamente alle quote del capitale sociale nominale.
In relazione ai suddetti investimenti, ALFA intende beneficiare della deduzione dal reddito di impresa di una somma pari al 30% dell’investimento effettuato in start-up innovative, alle condizioni e ai limiti di cui all’articolo 29 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 e successive modificazioni e integrazioni, secondo le disposizioni attuative contenute nel decreto 30 gennaio 2014, emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero dello sviluppo economico.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Con riferimento all’individuazione dei valori che possono essere inseriti nei PIR, ALFA ritiene che le quote di SRL, pur non comprese nella definizione di strumento finanziario contenuta nel TUF (e alla quale sembrerebbe fare riferimento la circolare 3/E del 26 febbraio 2018), dovrebbero essere inserite nell’ambito di un PIR, in ragione delle finalità della normativa PIR.
Infatti, come ricordato dalle Linee guida MEF del 4 ottobre 2017 e dalla predetta circolare 3/E del 2018, la norma istitutiva dei PIR ha come obiettivo sia quello di incentivare fiscalmente il risparmio a lungo termine dei piccoli investitori sia quello di promuovere l’accesso delle imprese e delle PMI in particolare cui è riservato almeno il 21% dei valori destinati al PIR, al mercato dei capitali, favorendo, al contempo, l’allargamento dei mercati finanziari nazionali e le prospettive di rendimento degli investitori persone fisiche.
In quest’ottica, considerato che la maggior parte delle PMI sono costituite nella forma di SRL, sarebbe irragionevole fornire un’interpretazione letterale del termine “strumento finanziario”, considerato anche che le quote di SRL rientrano comunque nella nozione di prodotto finanziario di cui all’articolo 1, comma 1, lett. u) del TUF (ossia un investimento atto alla negoziazione sul mercato dei capitali).
In merito alla possibilità di inserire in un PIR, nella quota qualificata del 70% o in quella non qualificata del 30%, prestiti alle imprese, produttrici dei redditi di cui all’articolo 44, lett. d-bis) del TUIR, ALFA ritiene che i redditi dei Prestiti P2P rispondono alle caratteristiche dei redditi di cui al comma 100, anche se tali prestiti non sono tecnicamente strumenti finanziari. Pertanto, ALFA ritiene che anche i Prestiti P2P, al pari delle quote di SRL, possano rientrare nella nozione di prodotto finanziario di cui all’art. 1, comma 1, lett. u) del TUF e, pertanto, possano essere oggetto di impiego delle somme o dei valori destinati ad un PIR.
In relazione alla seconda questione interpretativa riguardante gli investimenti di proprie eccedenze finanziarie in strumenti finanziari partecipativi (SFP) emessi da start-up innovative costituite in forma di SRL, ALFA ritiene di poter beneficiare della deduzione dal reddito di impresa di una somma pari al 30% dell’investimento stesso per i seguenti motivi.
In caso di investimenti in SFP convertibili in quote di SRL start-up innovative, all’atto della conversione si verifica un incremento reale, in denaro, del capitale sociale oltre a un eventuale sovrapprezzo, per cui dovrebbe trovare applicazione la medesima disposizione prevista dal decreto attuativo per le obbligazioni convertibili in azioni, in particolare ove gli SFP abbiano le caratteristiche di cui all’articolo 2411, terzo comma, del codice civile. In tal caso è lo stesso codice ad applicare agli SFP la medesima disciplina delle obbligazioni, anche di quelle convertibili in azioni. Tuttavia, anche nel caso non operi la equiparazione ex lege degli SFP alle obbligazioni ai sensi dell’articolo 2411, terzo comma, citato la convertibilità degli SFP in quote di nuova emissione rispetterebbe pienamente le condizioni di effettivo e reale incremento del capitale sociale e del relativo sovrapprezzo richiesto dalla disposizione normativa agevolativa.
In caso di investimenti in SFP non convertibili in quote di SRL start-up innovative, all’atto dell’emissione degli SFP la società emittente incassa il controvalore in denaro e iscrive nel patrimonio netto una riserva da apporto SFP, il cui grado di rigidità civilistica è analogo a quello del capitale sociale, quindi superiore a quella della riserva sovrapprezzo. Pertanto, se la riserva sovrapprezzo è investimento agevolabile ai sensi dell’articolo 3 del decreto attuativo, lo sarebbe maggiormente una riserva da apporto con superiori vincoli civilistici.
Parere dell’agenzia delle entrate
La legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di Bilancio 2017) ha previsto all’articolo 1, commi da 100 a 114, l’introduzione di un regime di esenzione dei redditi di capitale e diversi, con esclusione di quelli che concorrono alla formazione del reddito complessivo del contribuente e di quelli derivanti da partecipazioni che sono considerate “qualificate” ai sensi della lettera c), comma 1, dell’articolo 67 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), percepiti, al di fuori di attività d’impresa, da persone fisiche residenti in Italia e rinvenienti da strumenti finanziari inseriti in un piano individuale di risparmio (c.d. “PIR”).
In relazione alla tipologia di investimenti conferibili in un PIR, in generale, l’articolo 1, comma 102, della Legge di bilancio 2017, fa riferimento espressamente agli “strumenti finanziari” e la relativa relazione di accompagnamento precisa che l’obiettivo “della normativa in esame è, in particolare, quello di indirizzare il risparmio delle famiglie, attualmente concentrato sulla liquidità, verso gli strumenti finanziari di imprese industriali e commerciali italiane ed europee radicate sul territorio italiano per le quali maggiore è il fabbisogno di risorse finanziarie e insufficiente è l’approvvigionamento mediante il canale bancario”.
L’incentivo tributario accordato dalla normativa PIR impone la creazione di un “contenitore” fiscale, denominato piano di risparmio, idoneo ad accogliere tutti gli strumenti finanziari esistenti sul mercato retail il cui ambito principale è individuato negli strumenti finanziari emessi o stipulati da imprese residenti in Italia o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo, purché aventi una stabile organizzazione in Italia.
Al riguardo, la circolare 26 febbraio 2018, n. 3/E ha chiarito che, ai fini dell’individuazione degli strumenti ammissibili, si deve fare riferimento prima facie alla definizione di “strumento finanziario” rinvenibile nell’articolo 1 del testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF). In particolare, l’articolo 1, comma 2 del TUF precisa che per “strumento finanziario” “si intende qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell’Allegato I. Gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari”. Il predetto Allegato I (sezione C – Strumenti finanziari) elenca:
1) i “valori mobiliari”;
2) gli “strumenti del mercato monetario”;
3) le “quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio”;
4) i “contratti derivati aventi determinate caratteristiche”.
5) i “contratti derivati e le operazioni su valute individuate, ai sensi dell’articolo 18, comma 5, TUF, dal Ministero dell’economia e delle finanze”;
6) i “contratti finanziari differenziali”.
Nonostante l’elencazione di singole categorie di strumenti finanziari, la nozione contenuta nel TUF è da considerarsi aperta, in grado di adeguarsi all’evoluzione dei mercati finanziari. Le categorie di “valore mobiliare”, “strumenti del mercato monetario” e “quote di OICR” presenti nel suddetto elenco, infatti, rinviano ad altre definizioni normative e regolamentari. In particolare, l’articolo 1, comma 1-bis del TUF specifica che per “valori mobiliari” “si intendono categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali, quali ad esempio:
a) azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e ricevute di deposito azionario;
b) obbligazioni e altri titoli di debito, comprese le ricevute di deposito relative a tali titoli;
c) qualsiasi altro valore mobiliare che permetta di acquisire o di vendere i valori mobiliari indicati alle lettere a) e b) o che comporti un regolamento a pronti determinato con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure”.
La classe dei “valori mobiliari”, dunque, è definita mediante una tecnica esemplificativa, essendo in essa espressamente ricomprese anche fattispecie diverse da quelle indicate purché assimilabili. In estrema sintesi, i “valori mobiliari” sono quelle categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali.
La negoziabilità intesa come idoneità ad essere negoziabile rappresenta caratteristica comune agli strumenti finanziari. Tale idoneità, nella sostanza, consiste nella possibilità giuridica di essere oggetto di atti dispositivi e nella possibilità concreta di essere oggetto di circolazione all’interno di un mercato finanziario.
Ciò significa che la circolazione dei predetti strumenti non dev’essere occasionale e limitata ad un ristretto numero di operatori, né subordinata a vincoli così restrittivi da renderla di fatto pressoché impossibile. La negoziabilità, inoltre, dipende da caratteristiche proprie dello strumento, quali la standardizzazione e la divisibilità.
Ciò premesso, con riferimento specifico alle quote di società a responsabilità limitata, l’articolo 2468, primo comma, del codice civile stabilisce che le quote di partecipazione “dei soci non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari”.
Tuttavia, l’articolo 100-ter, comma 1-bis), del TUF prevede che in “deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, primo comma, del codice civile, le quote di partecipazione in piccole e medie imprese costituite in forma di società a responsabilità limitata possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali, nei limiti previsti dal presente decreto”.
Detta disposizione, pur non avendo ricondotto le predette quote di partecipazione nel novero degli strumenti finanziari, ha previsto che le PMI costituite sotto forma di società a responsabilità limitata, possano raccogliere capitale di rischio tramite piattaforme on line (cd. equity crowdfunding) operanti nei limiti previsti dalla normativa TUF.
Sul punto appare utile richiamare quanto si legge nel documento pubblicato il 12 luglio 2013 dalla CONSOB (“Esiti della consultazione” sul “Regolamento in materia di “Raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line”) secondo cui i “particolari profili caratterizzanti le offerte al pubblico delle quote di start-up innovative aventi forma societaria di s.r.l. riconducono tali strumenti alla nozione di prodotti finanziari e dunque le fanno rientrare in un concetto “allargato” di strumenti finanziari”.
Permane, in ogni caso, il divieto di scambiare le quote nei mercati regolamentati e nei sistemi multilaterali di negoziazione e quindi, la negoziabilità (e, di conseguenza, la liquidità) di tali quote è, in ogni caso, inferiore a quella degli strumenti finanziari.
In proposito, si rileva che la normativa PIR non richiede necessariamente la negoziazione nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione e, dunque, nel novero degli strumenti finanziari qualificati ai fini PIR devono essere inclusi anche quelli non negoziati in detti mercati e sistemi multilaterali. Inoltre, la qualificazione di strumento finanziario, di per sé, non è sufficiente per far rientrare l’investimento tra quelli ammissibili ai fini della normativa in esame, ma occorre che lo strumento finanziario a cui sono destinate le somme del PIR presenti caratteri e finalità compatibili con l’impianto previsto dalla normativa (si veda, ad esempio, quanto precisato con riferimento agli investimenti in strumenti finanziari derivati nella circolare n. 3/E del 2018, par. 6).
Alla luce delle modifiche intervenute nell’ambito della normativa regolamentare sopra citata, in linea con la ratio ispiratrice del regime PIR, si ritiene che limitatamente agli investimenti in quote di SRL offerte al pubblico tramite piattaforme di equity crowdfunding legittimamente operanti, queste possono essere inserite tra gli investimenti qualificati di un piano di risparmio a lungo termine costituito ai sensi del comma 100 e seguenti dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2017, fermo restando il rispetto di tutti i limiti e divieti ivi previsti, quali ad esempio il divieto di detenzione di partecipazioni qualificate e il limite alla concentrazione degli investimenti, di cui rispettivamente ai commi 100 e 103 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2017.
Con riferimento ai Prestiti P2P, si fa presente che l’esercizio di detta attività di finanziamento è riconducibile al contratto di mutuo definito dall’articolo 1813 del codice civile, ossia “il contratto nel quale una parte consegna all’altra una quantità determinata di denaro o di altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie o qualità” con l’aggiunta, ai sensi del successivo articolo 1815, degli interessi, se espressamente previsti dal contratto, in quanto il prestito di denaro tra privati non si configura come esercizio professionale dell’attività creditizia, bensì a prestiti personali non finalizzati.
Dette tipologie di prestito, pertanto, non risultano riconducibili nell’ambito della nozione di strumento finanziario e, dunque, non possono costituire oggetto di investimento ai fini della applicazione del regime PIR.
In ordine al quesito relativo al riconoscimento del beneficio fiscale consistente nella deduzione dal reddito di impresa di una somma pari al 30% dell’investimento in strumenti finanziari partecipativi (SFP) emessi da start-up innovative costituite in forma di SRL, si osserva quanto segue.
Si evidenzia, infatti, che l’articolo 29 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 riconosce ai soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società la detassazione di un importo pari al 30 per cento della somma investita nel capitale sociale di una start-up innovativa.
Con il successivo decreto attuativo del 25 febbraio 2016, all’articolo 3, comma 1, è stato specificato che l’agevolazione si applica ai conferimenti in denaro iscritti alla voce del capitale sociale e della riserva da sovrapprezzo delle azioni o quote delle start-up innovative anche in seguito alla conversione di obbligazioni convertibili in azioni o quote di nuova emissione.
Pertanto, sentito il Ministero per lo Sviluppo Economico, si ritiene, agevolabile esclusivamente l’investimento in SFP che prevedono clausole di convertibilità in quote di start-up innovative, a condizione che la conversione abbia effettivamente luogo. Laddove invece essi si configurassero come meri strumenti di credito, per quanto subordinati, non potranno considerarsi agevolabili.
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