IRAP: impresa familiare ed assoggettamento all’Irap
La Cassazione nella sentenza n. 10777 del 08 maggio 2013 ha stabilito che il titolare dell’impresa familiare è soggetto a IRAP in relazione ai redditi percepiti dall’azienda mentre sono da escludere dall’Irap i parenti suoi collaboratori.
La vicenda nasce dalla richiesta di rimborso per l’IRAP versata presentato dal contribuente all’Agenzia delle Entrate.
I giudici di merito hanno ritenuto che il ricorso del contribuente non era meritevole di accoglimento. pertanto lo stesso ricorreva ai Giudici di Legittimità con la doglianza di falsa applicazione agli artt. 1 d.lgs. 446/1997, 38 DPR 602/1973 non essendo il termine di decadenza previsto da tale ultima disposizione, testualmente riferibile alle “sole imposte sui redditi”, applicabile anche alle istanze di rimborso dell’IRAP versata in eccesso, ed all’art.3 del d.lgs.446/1997, istitutivo dell’IRAP, non essendovi ricompresa l’impresa familiare tra i soggetti passivi dell’IRAP.
Gli Ermellini nella sentenza in esame hanno puntualizzato che l’imposta istituita dal D.Lgs. 446 del 1997 colpisce, a differenza delle altre imposte dirette, non il reddito o il patrimonio in sé, ma lo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi. Per cui, mentre il reddito derivante dall’impresa familiare e risultante dalla dichiarazione dei redditi viene imputato, a determinate condizioni, proporzionalmente alla rispettiva quota di partecipazione dei partecipanti (condizione essenziale è che l’imprenditore deve essere titolare come minimo del 51%), l’imprenditore familiare, non i familiari collaboratori, è anche soggetto passivo IRAP, poiché l’imposta colpisce il valore della produzione netta dell’impresa e la collaborazione dei partecipanti all’impresa familiare integra quel “quid pluris” dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare (etero-organizzazione dell’esercente l’attività). L’elencazione delle figure che sono soggette al tributo, contenuta nell’articolo 3 del D.Lgs. 446/1997, è esemplificativa e non tassativa.
Con l’occasione i Giudici della Suprema Corte ribadisce che l’istanza di rimborso dell’IRAP, ritenuta illegittimamente versata, deve essere presentata entro il termine di decadenza di cui all’articolo 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, “che ha portata generale, riferendosi a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all’adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e quindi ad errori tanto connessi ai versamenti, quanto riferibili all’an o al quantum del tributo, là dove il termine ordinario di cui all’art. 37 del citato decreto è applicabile alle sole ipotesi di ritenuta diretta, operata dalle amministrazioni dello Stato nei confronti dei propri dipendenti” (cfr. Cass. n. 24058 del 2011).
La stessa Corte di Cassazione nella sentenza 20 dicembre 2012, n. 23562 chiarisce il termine di decadenza di quarantotto mesi per richiedere il rimborso dell’IRAP decorre dal versamento dell’acconto e non da quando viene presentata la dichiarazione. Il tenore letterale dell’articolo 38 del D.P.R. n. 602 del 1973 infatti è chiaro: “il soggetto che ha effettuato il pagamento diretto può presentare […] istanza di rimborso entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data di versamento dello stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”.
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