La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15325 del 19 giugno 2013 interviene in materia di IRAP e presupposto oggettivo dell’imposta ed ha affermato che l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo costituisce, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello proposto da una Consulente del lavoro, confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso della contribuente avverso la cartella di pagamento relativa all’IRAP per l’anno di imposta 2001.
I giudici di prime cure avevano accertato che il reddito della contribuente non potesse essere imputato unicamente al suo lavoro personale ma anche alla presenza di un’autonoma struttura organizzativa in quanto la stessa aveva esercitato la sua attività con l’impiego di personale dipendente e con l’ausilio di collaboratori esterni.
La ricorrente nel ricorrere in Cassazione lamentava che la Commissione Tributaria Regionale aveva qualificato, come voci rilevanti ai fini della sussistenza dell’organizzazione necessaria per l’applicazione dell’IRAP, le spese quali costi per il personale dipendente e collaboratori esterni mentre avrebbe dovuto correttamente qualificare tali esborsi come borsa studio tirocinanti e spese per sviluppo software, ovvero costi del tutto privi di significati organizzativi e, quindi, totalmente irrilevanti ai predetti fini.
Gli Ermellini hanno ritenuto che la sentenza impugnata dalla ricorrente abbia applicato correttamente i principi di diritto in tema di IRAP ed hanno evidenziato ai fini della configurabilità dei presupposti per l’applicazione dell’IRAP, i dati dichiarati dalla contribuente. Infatti, i costi per il personale dipendente (e non per l’assegnazione di una borsa di studio alla figlia tirocinante presso lo studio) e per l’ausilio di collaboratori esterni (e non per sviluppo software o elaborazione dati) sono stati indicati nella sua dichiarazione dei redditi.
La Corte ha concluso che queste voci rappresentino costi suscettibili di valutazione, riservata esclusivamente al Giudice di merito, in ordine alla loro attinenza all’organizzazione dell’attività esercitata.
Le doglianze mosse dalla ricorrente alla sentenza, in punto di vizio motivazionale, per omessa valutazione di fatti decisivi non appaiono quindi idonee allo scopo.
Non può, pertanto, ritenersi che la valutazione da parte del Giudice di appello di tali fatti (o meglio, la diversa “qualificazione” dei costi nel senso propugnato dalla ricorrente), avrebbe necessariamente portato ad una ricostruzione fattuale idonea a dare luogo ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata in sede di merito.
Piuttosto, le doglianze, nei termini in cui sono state formulate in ricorso, appaiono dirette, nella sostanza, a chiedere, inammissibilmente, a questa Corte di rinnovare le valutazioni circa i fatti di causa che sono riservati al Giudice di merito.
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