ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO – Nota 23 gennaio 2020, n. 596
Lavoro a domicilio negli istituti di pena
Nel far seguito ad un quesito sottoposto dall’Ispettorato territoriale del lavoro di Padova, cui si è già dato riscontro, si ritiene opportuno condividere alcuni principi concernenti la tematica in oggetto e confermati dall’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Va premesso che nel nostro ordinamento l’occupazione lavorativa dei detenuti costituisce un elemento di carattere obbligatorio del trattamento rieducativo che non può comportare un inasprimento della pena (cfr. artt. 15 e 21 L. n. 354/1975).
L’art. 47 del D.P.R. n. 230/2000 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) stabilisce che il lavoro svolto dai detenuti, sia all’interno che all’esterno dell’Istituto, può essere organizzato e gestito dalle Direzioni degli Istituti stessi oppure “da imprese pubbliche e private, e in particolare, in particolare, da imprese cooperative sociali, in locali concessi in comodato dalle Direzioni”.
L’attività lavorativa può quindi svolgersi anche in locali concessi in comodato d’uso dall’Istituto che diventano a pieno titolo locali dell’azienda, fatta salva la possibilità del libero accesso da parte della Direzione per motivi inerenti la sicurezza dell’Istituto.
Gli obblighi gravanti su azienda ed Istituto vengono definiti con apposita convenzione. L’azienda, in particolare, assume gli obblighi inerenti la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nonché la corresponsione della retribuzione, l’adempimento degli oneri previdenziali ed assicurativi sulla base della tipologia contrattuale prescelta.
Con riferimento all’ammissibilità del lavoro a domicilio non sembrano sussistere, in termini generali, preclusioni normative atteso che, al contrario, tale tipologia di lavoro risulta espressamente richiamata dall’art. 47, comma 10, e dall’art. 52 del citato D.P.R. n. 230/2000, nonché dall’art. 19, comma 7, L. n. 56/1987, sempreché siano rispettate le modalità di cui all’art. 51 del medesimo Regolamento.
È tuttavia necessario che le attività lavorative svolte siano ontologicamente compatibili con le specificità della disciplina del lavoro a domicilio. A tale riguardo, quindi, la verifica dell’organo di vigilanza deve essere effettuata secondo i medesimi criteri di valutazione adottati per le attività lavorative svolte presso il domicilio privato, a prescindere dalla contingente condizione di detenzione.
Si rammenta, infine, che nella determinazione del compenso del lavoratore a domicilio, va tenuto conto di quanto previsto dall’art. 22 della L. n. 354/1975, secondo il quale “la remunerazione per ciascuna categoria di detenuti e internati che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria è stabilita, in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato, in misura pari ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi”.
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