AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 26 novembre 2019, n. 500
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Iva addebitata a titolo di rivalsa e non incassata
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
[ALFA], di seguito istante, ha esposto quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
L’istante, che svolge la funzione di […], all’inizio del 2019, ritenendo erroneamente di avere i requisiti per beneficiare del regime forfetario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha emesso quattro fatture senza addebitare l’Iva e senza esporre la ritenuta d’acconto. Le predette fatture sono state pagate dalla […].
Dopo essersi avveduto dell’errore, l’istante ha emesso, ai sensi dell’articolo 26,comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e trasmesso alla […], alcune note di variazione in diminuzione elettroniche a storno delle predette fatture, nonché le nuove fatture elettroniche, in sostituzione delle precedenti, tutte rifiutate dalla […].
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante non propone alcuna soluzione interpretativa.
Parere dell’agenzia delle entrate
Il regime forfetario, disciplinato all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge n. 190 del 2014, è destinato agli operatori economici di ridotte dimensioni.
Possono accedere al regime forfetario sia i contribuenti che iniziano una nuova attività di impresa, arte o professione e presumono di conseguire ricavi o compensi non superiori a 65.000 euro, sia coloro che già sono in attività e, nell’anno precedente all’applicazione del regime forfetario, hanno conseguito ricavi o compensi entro la soglia indicata.
Chi applica il regime forfetario beneficia di una serie di semplificazioni contabili, tra le quali, per quel che qui rileva, la possibilità di non esercitare la rivalsa ai fini Iva e di non essere soggetti alla ritenuta d’acconto.
Nel caso in esame l’istante, nei primi mesi dell’anno 2019, ritenendo erroneamente di avere i requisiti per beneficiare del regime forfetario, ha quindi emesso quattro fatture, per la sua attività di […], senza addebitare l’Iva e senza esporre la ritenuta d’acconto.
Tale errore può essere rettificato adottando una delle seguenti modalità:
a) emettendo, ai sensi dell’articolo 26, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, e trasmettendo al committente note di variazione in aumento, ad integrazione delle fatture originarie, addebitando a titolo di rivalsa l’Iva da versare all’erario ed esponendo la ritenuta d’acconto;
b) emettendo, ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, e trasmettendo al committente note di variazione in diminuzione a storno delle fatture originarie ed emettendo nuove fatture, in sostituzione delle precedenti, addebitando a titolo di rivalsa l’Iva da versare all’erario ed esponendo la ritenuta d’acconto.
Tanto premesso, l’istante, in base a quanto riferito sommariamente nell’istanza, sembra avere correttamente adottato la soluzione sub b) e, conseguentemente, il rifiuto della […] non sembra trovare una giustificazione nella normativa tributaria.
Con specifico riferimento all’Iva addebitata a titolo di rivalsa, il soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile e versa l’imposta all’erario in base all’articolo 17, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, ha l’obbligo di addebitare la relativa imposta a titolo di rivalsa al proprio cessionario/committente, come previsto dall’articolo 18, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972.
L’esercizio della rivalsa trova concreta applicazione attraverso l’addebito dell’Iva nella fattura.
In base all’articolo 19, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, l’addebito dell’imposta in fattura, a titolo di rivalsa, consente all’acquirente del bene o al committente del servizio – se soggetto passivo d’imposta – di esercitare la detrazione dell’Iva corrisposta. Si realizza quindi la piena corrispondenza tra la somma dovuta all’erario dal fornitore e quella ammessa in detrazione in capo al soggetto acquirente.
Dal compimento dell’operazione imponibile discendono, quindi, tre rapporti che,pur essendo collegati, non interferiscono tra loro, ovvero:
1. tra l’Amministrazione finanziaria e il cedente/prestatore, relativamente al pagamento dell’imposta;
2. tra il cedente/prestatore ed il cessionario/committente, in ordine alla rivalsa;
3. tra l’Amministrazione finanziaria ed il cessionario/committente, per ciò che attiene alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa.
Tuttavia, l’effettiva riscossione del credito Iva da parte del cedente/prestatore è ininfluente ai fini del funzionamento del meccanismo dell’imposta. L’obbligo di riversare all’erario l’Iva indicata in fattura sorge, comunque, al momento dell’emissione della fattura indipendentemente dal saldo della medesima, che potrebbe essere effettuato in un momento successivo o addirittura non avvenire affatto.
Ciò in quanto, in base all’articolo 17, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di Iva il rapporto tributario pubblicistico, sia per quanto riguarda la debenza che per quanto concerne la misura dell’imposta, si instaura esclusivamente tra il cedente/prestatore – unico soggetto passivo dell’imposta – e l’Amministrazione finanziaria.
Diversamente, come affermato dalla Corte di cassazione (c.f.r. sentenze n. 17174 del 26 agosto 2015 e n. 24794 del 24 novembre 2005) la rivalsa si effettua sulla base di un rapporto di natura non tributaria, ma privatistica, autonomo rispetto al rapporto tributario che lega il cedente/prestatore e l’Amministrazione finanziaria.
Conseguentemente, la possibilità di recuperare l’Iva, correttamente versata all’erario dall’istante in seguito ad emissione delle nuove fatture ed addebitata a titolo di rivalsa, ma non versata dal committente, non trova soluzione nel sistema fiscale,salvo che non si proceda con una procedura esecutiva individuale rimasta infruttuosa.In tal caso trova applicazione l’articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972.
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