AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 412 del 2 agosto 2023
IVA – Aliquota applicabile alla cessioni di pasti. Numero 80) della tabella A, parte terza, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972 – Articolo 1, comma 40, della legge 27 dicembre 2020, n. 178.
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona istante (”… di seguito ”APSP” o ”Istante”) fa presente di aver stipulato con una ONLUS che si occupa di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale un contratto con il quale si impegna a eseguire le seguenti prestazioni:
- «la preparazione […] dei pasti destinati agli utenti» di un centro socio educativo e di una comunità alloggio, secondo il fabbisogno;
- «il confezionamento dei pasti nei contenitori termici utilizzati per la consegna»;
- «il conseguente lavaggio di detti contenitori».
Secondo quanto rappresentato, la ONLUS:
- mette a disposizione i contenitori e le casse termiche necessari al trasporto dei pasti;
- prende in carico i pasti presso la cucina dell’Istante;
- consegna i contenitori e le casse termiche necessari al trasporto dei pasti (privi di eventuali resti di cibo);
- fornisce le bevande, i condimenti, le stoviglie e tutto il necessario per la distribuzione e la somministrazione dei pasti agli utenti.
L’Istante rappresenta di aver applicato fino ad oggi l’Iva nella misura agevolata del 10 per cento, ai sensi del numero 121) della Tabella A, Parte III, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e che, recentemente, l’ONLUS, facendo presente che una parte dei pasti è consumata dal proprio personale, ha richiesto, «limitatamente ai suddetti pasti», l’applicazione dell’aliquota del 4 per cento, ai sensi del numero 37), della Tabella A, Parte II, allegata medesimo decreto.
L’Istante chiede, pertanto, chiarimenti in ordine alla corretta aliquota da applicare.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante ritiene che la predetta aliquota Iva ridotta del 4 per cento non sia applicabile alla fattispecie in argomento in quanto, poiché la prestazione si esaurisce con il ritiro dei pasti da parte della ONLUS committente presso la sua cucina, la fattispecie è quella della vendita di alimenti e bevande rientranti tra le cessioni di beni di cui all’articolo 2 del citato d.P.R. n. 633 del 1972.
Conseguentemente, al relativo corrispettivo deve applicarsi l’Iva in funzione della tipologia di bene che viene ceduto secondo quanto previsto dal numero 121) della Tabella A, Parte III, allegata allo stesso d.P.R. n. 633 o quanto stabilito dal numero 80) della medesima Tabella A, Parte III.
In particolare, l’Istante è del parere che alle predette cessioni di pasti, siano essi destinati agli utenti sia, in minima parte, al personale della ONLUS, si renda applicabile l’aliquota Iva ridotta del 10 per cento.
Parere dell’agenzia delle entrate
Per quanto concerne l’aliquota applicabile alla fattispecie in oggetto, si fa presente che il numero 121) della Tabella A, Parte III, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 prevede l’applicazione dell’aliquota Iva del 10 per cento alle «somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande».
Il numero 80) della predetta Tabella A, Parte III, prevede, tra l’altro, che l’aliquota agevolata del 10 per cento si applica alle «preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove […]».
Al riguardo, si rileva che l’articolo 1, comma 40, della legge 27 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio per il 2021) prevede che «la nozione di preparazioni alimentari di cui al numero 80) della tabella A, parte III, (…) deve essere interpretata nel senso che in essa rientrano anche le cessioni di piatti pronti e di pasti cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto».
Con la suddetta disposizione, il legislatore ha inteso fornire una soluzione alla problematica concernente la qualificazione, agli effetti dell’Iva, dell’attività di preparazione dei cibi da consegnare a domicilio o da asporto, in ordine alla quale, anteriormente, erano sorti dubbi se dovesse considerarsi quale ”cessione di beni” o ”prestazione di servizi” (in quanto somministrazioni di alimenti).
Tale distinzione rileva in quanto il contratto di somministrazione di alimenti e bevande viene inquadrato nell’ambito delle fattispecie assimilate alle prestazioni di servizi dall’articolo 3,secondo comma, n. 4) del medesimo d.P.R. n. 633 del 1972 e risulta caratterizzato dalla commistione di ”prestazioni di dare” e ”prestazioni di fare”. Tale elemento distingue le prestazioni di somministrazione dalle vendite di beni da asporto, che sono a tutti gli effetti cessioni di beni in virtù del prevalente obbligo di dare (cfr. risoluzione 17 novembre 2016, n. 103/E).
La diversa qualificazione incide ai fini della individuazione dell’aliquota Iva da applicare, in quanto la ”somministrazione” è assoggettata all’aliquota Iva del 10 per cento, ai sensi del citato numero 121), mentre la ”cessione” è assoggettata ad Iva con l’aliquota propria applicabile in relazione alla singola tipologia di bene alimentare venduto (cfr. anche risposta n. 581 pubblicata il 14 dicembre 2020; principio di diritto n. 9 pubblicato il 22 febbraio 2019).
Al riguardo, come rilevato nella citata risposta n. 581 del 2020, concernente la cessione di preparazioni alimentari e bevande presso ristoranti, anche alla luce della possibile coesistenza commerciale nello stesso locale della attività di somministrazione e di vendita, gli alimenti e le bevande possono essere forniti tanto nell’ambito di una più ampia prestazione di servizi di ”somministrazione”, quanto nell’ambito di una mera cessione nel caso della mera vendita da asporto. In merito alla distinzione in esame, come chiarito nella predetta risposta, la Corte di giustizia, nella sentenza relativa alle cause riunite C 497/09, C 499/09, C 501/09 e C 502/09 del 10 marzo 2011, ha chiarito che «al fine di stabilire se una prestazione complessa unica, quale quella oggetto delle varie cause di cui ai procedimenti principali debba essere qualificata cessione di beni o prestazione di servizi, occorre prendere in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l’operazione per ricercarne gli elementi caratteristici e identificarne gli elementi predominanti». In particolare, la Corte ha giudicato l’operazione di ristorazione come una prestazione di servizi solo se caratterizzata da una serie di elementi e di atti, dei quali la cessione di cibi rappresenta soltanto una parte e nel cui ambito risultano predominanti ampiamente i servizi, diversamente dal caso di un’operazione di mera cessione avente ad oggetto «alimenti da asportare non accompagnata da servizi volti a rendere più piacevole il consumo in loco in un ambiente adeguato».
In base a quanto sino ad ora esposto, pertanto, la sola fornitura di cibi e bevande nell’ambito dei servizi di ristorazione è considerata sia dal diritto unionale sia dall’Amministrazione finanziaria, una cessione di beni (cfr. anche risposta pubblicata n. 35 del 20 gennaio 2022).
Nel caso di specie, sulla base del «Contratto per il servizio di confezionamento pasti» tra l’APSP e la ONLUS (prodotto a seguito della richiesta di documentazione integrativa), l’APSP provvede alla preparazione dei pasti e al relativo confezionamento negli appositi contenitori termici per il trasporto, con materie prime e alimenti a suo carico all’intero della propria cucina e successivamente al consumo alla pulizia dei contenitori e delle casse termiche (cfr. articoli 1 e 3).
In base al contratto (cfr. articolo 5), invece, l’ONLUS si impegna, tra l’altro:
- a mettere a disposizione i contenitori e le casse termiche necessarie al trasporto dei pasti;
- a prendere in carico i pasti presso la cucina dell’APSP;
- a fornire le bevande e i condimenti, nonché le stoviglie, le posate e tutto il necessario per la distribuzione e la somministrazione dei pasti;
- a distribuire e somministrare i pasti medesimi.
L’ONLUS (committente), dunque, effettua una serie di attività tra le quali la presa in carico i pasti presso la cucina dell’APSP e la relativa distribuzione agli utenti, oltre alla fornitura di tutti i beni diversi dalle materie prime necessarie alla preparazione dei pasti, che porta a ricondurre l’attività resa dall’Istante più propriamente tra ”le preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove” di cui al richiamato numero 80) della Tabella A, Parte III, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, alla luce dell’interpretazione datane dall’articolo 1 della legge n. 178 del 2020.
In merito alla possibilità di applicare l’aliquota Iva del 4 per cento ai sensi del citato numero 37), della Tabella A, Parte II, allegata al d.P.R. n. 633, al corrispettivo relativo ai pasti consumati dal personale della ONLUS, si evidenzia il predetto numero 37) si applica per «le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate nelle mense aziendali ed interaziendali, nelle mense delle scuole di ogni ordine e grado, nonché nelle mense per indigenti anche se le somministrazioni sono eseguite sulla base di contratti di appalto o di apposite convenzioni».
Come chiarito con risoluzione 28 marzo 2001, n. 35/E, tale disposizione consente l’applicazione dell’aliquota ridotta a tutte le prestazioni aventi ad oggetto somministrazioni fornite al personale dipendente nei locali indicati dalla disposizione medesima. In particolare, è stato chiarito che il legislatore fiscale ha voluto oggettivamente agevolare in senso ampio l’attività di somministrazione ai dipendenti, purché realizzata nel locale ”mensa aziendale”.
Con la risoluzione 20 giugno 2002, n. 202/E è stato precisato il significato da attribuire alla locuzione ”mense aziendali”, intendendosi per tali quelle la cui gestione è data in appalto ad un’impresa specializzata ovvero effettuata direttamente dall’azienda, indipendentemente dal luogo in cui è situata la mensa; inoltre l’appaltatore deve assumere l’obbligo di fornire la prestazione esclusivamente ai dipendenti del soggetto appaltante.
Nel caso in esame, come detto, il contratto in esame non ha per oggetto la ”somministrazione” di pasti all’interno della mensa aziendale della ONLUS, bensì, la preparazione e confezionamento dei pasti, ritirati presso la cucina dell’Istante, che l’ONLUS distribuisce in minima parte anche al proprio personale. Pertanto, non si ritiene sussistente l’applicazione della predetta aliquota del 4 per cento.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto, fermi restando gli ordinari poteri esercitabili in sede di controllo.