IVA esclusa l'esenzione per le aziende che gestiscono magazini per l'export - Cassazione sentenza n. 2697 del 2014La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n.2697, depositata il 6 febbraio 2014 intervendo in tema di esenzioni IVA ha statuito che l’attività di gestione di un magazzino (pulizie e servizi) in cui transitano merci destinate all’import/export comunitario non può essere assimilata ad attività di importazione ed esportazione, pertanto non è applicabile l’esenzione IVA. Per cui, per la Corte, l’esenzione vale quando vi è attività di consegna della merce comunitaria in senso stretto

La vicenda nasce dalla notifica di un avviso di accertamento ad una società che gestiva i magazzini per l’import e l’export, fornendo servizi di pulizia e affitto locali, al fine di rettificare l’IVA, l’IRPEG e l’IRAP che la società non aveva versato avvalendosi dell’esenzione.

La società contribunente avverso l’atto impositivo ricevuto propone ricorsoinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accolgono le doglianze della ricorrente. L’Amministrazione Finanziaria impugna la decisione del giudice di prime cure dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che, però, confermano la sentenza appellata. I giudici territoriali, in particolare, affermano che “l’attività svolta dalla contribuente rientra tra tutte le operazioni e prestazioni inerenti all’esportazione ed importazione di beni e servizi “latu sensu”.

Per la cassazione della pronuncia del giudce di seconde cure l’Agenzie delle Entrate propone ricorso, basato su un unico motivo di censura, alla Corte Suprema.

Gli Ermellini accolgono il ricorso del Fisco, cassano la sentenza impugnata e decidono nel merito rigettando il ricorso introduttivo del contribuente. I giudici di legittimità affermano che l’agevolazione fiscale è ammessa solo in relazione alle attività di consegna della merce comunitaria in senso stretto.

I giudici del Palazzaccio nel ricordare che l’agevolazione riguarda solo l’IVA e non le imposte dirette quali IRPEG e IRAP, riaffermano che  “in tema di depositi fiscali ai fini Iva, previsti dall’articolo 50 bis del Dl 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1993, n. 427, l’esenzione dall’Iva all’importazione per l’ammissione in libera pratica di beni non comunitari, presuppone l’effettivo immagazzinamento della merce, essendo la materialità del deposito, anche se non esplicitamente prevista dalla norma, insita nella stessa nozione civilistica del termine, e richiesta dalla corrispondente disciplina comunitaria (artt. 98-110 del Regolamento Cee n. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992, istitutivo del codice doganale comunitario, applicabile “ratione temporis”), con la conseguenza che, in mancanza di tale presupposto, l’Iva all’importazione è dovuta, in via solidale, da tutti i soggetti che abbiano concorso all’irregolare introduzione della merce compreso il gestore del deposito, il quale è responsabile a tale titolo, a prescindere dal fatto che l’articolo 50 bis lo renda comunque responsabile del mancato assolvimento dell’Iva interna”.

La società in oggetto gestiva i depositi e questo tipo di attività, non costituendo operazione di import-export in senso stretto, “non può sfuggire all’imposizione”.