AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 26 luglio 2021, n. 509
IVA in importazione e contratto di consignment stock
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
Alfa (di seguito, “Società” o “Istante”) rappresenta di essere una società stabilita nel Regno Unito che opera nel settore della produzione dei prodotti X.
La Società ha stipulato un contratto di consignment stock con il proprio cliente italiano, Beta (di seguito anche “acquirente italiano” o “cessionario italiano”).
Alla luce di tale accordo, l’Istante introduce merci in Italia con spedizione da altri Paesi UE (incluso il Regno Unito, prima della Brexit) nel magazzino del proprio acquirente italiano, situato in Italia.
Tali beni sono nella disponibilità dell’acquirente italiano, ma rimangono di proprietà della Società. L’effetto traslativo della proprietà avviene nel momento in cui i beni sono prelevati dal cessionario italiano.
Considerando che, a seguito della Brexit, le semplificazioni in materia di consignment stock/call-off stock previste per i trasferimenti di merce tra Paesi UE non trovano più applicazione per le merci provenienti dal Regno Unito, la Società ha deciso di interrompere prudenzialmente le spedizioni di beni dal Regno Unito verso l’Italia nell’ambito del menzionato contratto di consignment stock.
L’Istante sta valutando di ricominciare a spedire merci dal Regno Unito nell’ambito del contratto consignment stock già in essere con il cessionario italiano, chiedendo a quest’ultimo di agire in qualità di importatore nonostante i beni importati siano di proprietà della Società al momento della loro introduzione nel territorio italiano.
In considerazione di quanto sopra e con riferimento ai beni che saranno spediti dal Regno Unito all’Italia nell’ambito del citato contratto di consignment stock, l’Istante chiede di sapere se e quali adempimenti sarà tenuta a effettuare in Italia in relazione ai beni provenienti dal Regno Unito.
Chiede inoltre se l’IVA assolta al momento dell’importazione dei beni di proprietà della Società possa essere detratta dal cessionario italiano.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante rappresenta che ai sensi dell’articolo 19 del d.P.R n. 633 del 1972 “Per la determinazione dell’imposta dovuta a norma del primo comma dell’articolo 17 o dell’eccedenza di cui al secondo comma dell’articolo 30, è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione. […]”.
La Società ricorda altresì che con riferimento al diritto alla detrazione dell’IVA assolta in dogana, con la sentenza n. 7016, del 22 febbraio 2001 (depositata il 23 maggio 2001), la Corte di Cassazione ha chiarito che “tutti i soggetti cui compete la qualità di debitori dell’Iva in relazione a operazioni d’importazione hanno, in astratto, il diritto di detrazione del tributo pagato, purché ricorrano le ulteriori condizioni per la nascita di tale diritto, e principalmente l’impiego del bene importato per l’esercizio dell’impresa e per il compimento di operazioni soggette ad Iva, ovvero, secondo l’espressione corrente nella prassi italiana, l’inerenza all’esercizio dell’impresa”.
Il citato principio è stato ribadito anche dall’Agenzia delle Entrate con le risoluzioni n. 96/E dell’11 maggio 2007 e n. 346/E del 5 agosto 2008, che riguardano rispettivamente un contratto di prestito d’uso di platino e un contratto di consignment stock.
Per l’Istante, con le citate risoluzioni, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “per i beni importati […] l’IVA deve essere accertata, liquidata e riscossa in dogana all’atto della loro introduzione nel territorio nazionale”. Inoltre, “la proprietà dei beni importati non è condizione necessaria per ottenere la detrazione dell’IVA pagata, bensì occorre che i beni o servizi acquisiti presentino un nesso immediato e diretto con l’oggetto dell’attività d’impresa, ossia siano ad essa inerenti”.
La risoluzione n. 346/E del 2008, relativa a un contratto di consignment stock, ha anche chiarito quali adempimenti devono essere osservati in relazione al prelievo delle merci dal conto deposito in Italia.
Per quanto riguarda il soggetto tenuto al pagamento dell’IVA all’importazione, la Società fa presente che ai sensi dell’articolo 201 della direttiva citata, “All’importazione l’IVA è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d’importazione”.
Per la normativa comunitaria, dunque, coerentemente con la prassi e la giurisprudenza italiana sopra richiamata, la proprietà dei beni importati non è un requisito necessario per esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA assolta in dogana, essendo solo richiesto che tali beni siano impiegati ai fini dell’effettuazione di operazioni soggette ad IVA.
L’Istante chiede conferma di tale assunto in considerazione di quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE, con la decisione nella causa C-187/14 (DVS Road), che sembra porsi in contrasto con la predetta ricostruzione normativa. In questa pronuncia, infatti, la Corte di giustizia dell’UE ha concluso che l’IVA all’importazione non può essere detratta da un trasportatore se il valore dei beni importati non rientra nei costi che compongono i prezzi fatturati per le prestazioni di trasporto.
La Società sottolinea come il principio affermato nella citata decisione è stato recepito in Italia con la Risposta ad istanza di interpello n. 6 del 2019, dove in materia di detrazione sono richiamati anche i principi affermati dalla stessa Corte nella causa C-132/16 (Iberdrola Inmobiliaria Real Estate Investments).
L’Istante fa infine presente che con l’ordinanza dell’8 ottobre 2020, relativa alla causa C-621/19 (Weindel Logistik Service), la Corte di Giustizia UE ha confermato che la Direttiva IVA deve essere interpretata nel senso che il diritto alla detrazione dell’IVA è precluso all’importatore quando questi non dispone dei beni come un proprietario e quando i costi di importazione a monte sono inesistenti o non sono incorporati nel prezzo delle particolari operazioni a valle o nel prezzo dei beni e servizi forniti dal soggetto passivo nell’ambito delle sue attività economiche.
La Società ritiene che i principi richiamati dalla Corte di Cassazione e dall’Agenzia delle Entrate siano ancora in linea con le disposizioni della Direttiva 2006/112/CE e siano applicabili alle importazioni che saranno effettuate dal cessionario italiano.
Parere dell’Agenzia delle entrate
Il presente parere è reso assumendo acriticamente la descrizione presentata dalla Società, per come illustrata nel presente interpello, fermo restando ogni successivo potere di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.
L’articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972 (in seguito, “Decreto IVA”) individua le operazioni che costituiscono importazioni in relazione alle quali l’IVA – ai sensi del successivo articolo 70 – deve essere accertata, liquidata e riscossa dall’Agenzia delle dogane e dei Monopoli all’atto della immissione in libera pratica, per ciascuna operazione.
Per l’articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (T.U.L.D.) «Ogni operazione doganale deve essere preceduta da una dichiarazione in dogana…», che può essere fatta da chiunque presenti in dogana la merce [cfr. articolo 170 del Regolamento (UE) 9 ottobre 2013, n. 952].
L’importazione si considera effettuata all’atto dell’accettazione della dichiarazione d’importazione da parte dell’autorità doganale che provvede a riscuotere anche la corrispondente imposta. Il documento assume così il valore di dichiarazione doganale e attesta l’avvenuto pagamento dei diritti dovuti o l’adempimento delle formalità richieste.
Il debitore d’imposta (soggetto passivo dell’obbligazione doganale) è invece individuato dall’articolo 38 del T.U.L.D., secondo cui «Al pagamento dell’imposta doganale sono obbligati il proprietario della merce … e, solidalmente, tutti coloro per conto dei quali la merce è stata importata od esportata». In proposito, l’articolo 77 del Regolamento (UE) n. 952 del 2013 precisa che «Il debitore è il dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta, è debitrice anche la persona per conto della quale è fatta la dichiarazione in dogana».
In senso conforme l’articolo 201 della direttiva 2006/112/CE (in breve, “Direttiva IVA”) prevede che «All’importazione l’IVA è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d’importazione».
Per individuare il soggetto obbligato, le disposizioni unionali non fanno dunque riferimento né all’importatore né al proprietario della merce ma al dichiarante in dogana, ossia al proprietario della merce o al soggetto tramite il quale si effettua l’importazione (cfr. articolo 38 del T.U.L.D sopra riportato).
In merito al diritto alla detrazione, si ricorda brevemente che ai sensi dell’articolo 19 del Decreto IVA:
– «è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni e ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione»;
– «Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile – n.d.r. ossia -… nel momento in cui è effettuata l’importazione di beni» [cfr. articolo 70 della Direttiva IVA e articolo 77, comma 2 del Regolamento (UE) n. 952 del 2013], fermo restando che il soggetto passivo deve «essere in possesso di un documento comprovante l’importazione che lo indichi quale destinatario o importatore e che menzioni l’ammontare dell’IVA dovuta o ne consenta il calcolo» [v. articolo 178 e) della Direttiva IVA].
Ai fini del presente interpello giova anche richiamare la costante giurisprudenza dell’Unione in materia di diritto alla detrazione secondo cui “la sussistenza di un nesso diretto ed immediato tra una specifica operazione a monte ed una o più operazioni a valle, che conferiscono il diritto a detrazione, è necessaria, in via di principio, affinché il diritto a detrazione dell’IVA assolta a monte sia riconosciuto al soggetto passivo e al fine di determinare la portata di siffatto diritto. Il diritto a detrarre l’IVA gravante sull’acquisto di beni o servizi a monte presuppone che le spese compiute per acquistare questi ultimi facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione (…).
Il diritto a detrazione è tuttavia ammesso a beneficio del soggetto passivo anche in mancanza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, qualora i costi dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce. Spese di tal genere presentano, infatti, un nesso diretto e immediato con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo” (cfr. Corte di Giustizia, 14 settembre 2017, C-132/16, Iberdrola, punti 28 e 29 e giurisprudenza ivi richiamata).
Occorre, dunque, che l’IVA assolta rappresenti una spesa connessa in via diretta e immediata con “il complesso delle attività economiche del soggetto passivo” (così la richiamata sentenza della Corte di Giustizia, 14 settembre 2017, C-132/16; cfr. anche giurisprudenza ivi citata).
In sostanza, l’IVA assolta sulle importazioni rileva se e nella misura in cui la stessa rappresenti una spesa relativa alle predette importazioni in grado di influenzare il prezzo delle complessive operazioni poste in essere dal soggetto passivo nell’esercizio della propria attività d’impresa.
Sulla scorta di tali principi, la giurisprudenza unionale ha escluso la detrazione dell’IVA all’importazione gravante sul trasportatore “che non è né l’importatore né il proprietario delle merci”: tale soggetto si è limitato a assicurare il trasporto e il trattamento doganale nell’ambito della sua attività di trasporto merci. Il valore delle merci trasportate quindi non concorre alla formazione del corrispettivo del trasportatore per la sua prestazione di trasporto merci (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 25 giugno 2015, C-187/14, DVS Road A/S).
Tali principi sono stati confermati da ultimo dalla stessa Corte di Giustizia UE con l’Ordinanza dell’8 ottobre 2020, relativa alla causa C-621/19 (Weindel Logistik Service) dove è stato precisato che non spetta la detrazione dell’IVA ai sensi dell’articolo 168, lett e) della Direttiva IVA a un importatore quando questi non disponga dei beni come un proprietario e i costi d’importazione a monte siano inesistenti o non siano incorporati nel prezzo delle operazioni particolari a valle ovvero nel prezzo dei beni ceduti e dei servizi resi dal soggetto passivo nell’ambito delle sue attività economiche. In questo caso, il soggetto che chiedeva la detrazione non era proprietario dei beni e non ne aveva sostenuto i costi di importazione (vedi punto 44 dell’ordinanza).
Ai fini della detrazione è invece necessario che il soggetto che provvede al pagamento dell’IVA in dogana sia anche colui che utilizza i beni importati nell’esercizio dell’attività propria così da realizzare il “nesso diretto ed immediato” – più volte citato dalla Corte di giustizia UE- tra operazioni attive, e operazioni passive, inerenti all’attività d’impresa.
Ne consegue che non può detrarsi l’IVA assolta in dogana il soggetto che paga questa imposta per conto di un altro soggetto (ad esempio, il rappresentante in dogana) in quanto i beni non formano l’oggetto della propria attività o comunque non sono inerenti ad essa (cfr. Risposta interpello n. 4 del 13 gennaio 2020).
Ciò opportunamente premesso, riguardo al quesito oggetto del presente interpello si fa presente che con il contratto di consignment stock i beni di proprietà del fornitore (in genere materie prime o semilavorati) sono trasferiti presso un deposito del cliente. Quest’ultimo, con esclusiva d’acquisto, ha la facoltà, in base alle sue esigenze, di effettuare prelievi in qualsiasi momento, fermo restando i limiti temporali, specificati contrattualmente.
Il trasferimento della proprietà dei beni si realizza solo al momento del prelievo della merce da parte del cliente, che può avvenire sia in blocco che a più riprese. In tal modo, il compratore riesce ad avere la disponibilità della merce in magazzino senza essere tenuto ad effettuare alcun pagamento, che avverrà soltanto al momento dell’effettivo prelievo.
Nella fattispecie oggetto del presente interpello, il differimento del momento in cui si realizza l’effetto traslativo della proprietà non influenza l’esigibilità dell’imposta relativa all’operazione. L’IVA è comunque accertata, liquidata e riscossa in dogana al momento dell’immissione in libera pratica, anche se l’acquirente italiano non è proprietario della merce.
Il cessionario italiano può quindi immediatamente detrarre l’IVA dallo stesso assolta in dogana a condizione che i beni presentino un nesso immediato e diretto con la sua attività e la dichiarazione doganale venga annotata sul registro degli acquisti.
Nella fattispecie in commento si ritiene che l’esistenza di tale nesso sia in re ipsa, ossia è insita nel contratto di consignment stock: ad assolvere l’imposta in dogana è infatti il futuro cessionario dei beni, che verosimilmente li utilizzerà nell’ambito della propria impresa, entro i limiti temporali di stoccaggio previsti dal contratto (punto 4 della bozza di agreement allegata), in ogni caso inferiori a quelli dell’articolo 6, secondo comma, lettera d) del Decreto IVA.
Si concorda quindi con la soluzione sostenuta dall’Istante di considerare valide le istruzioni fornite a tal proposito con la risoluzione n. 346/E del 6 agosto 2008 dove la scrivente ha chiarito che, nonostante non si è ancora verificato il passaggio di proprietà al soggetto passivo italiano, perché “sospeso”, gli spetta comunque il diritto alla detrazione, previa annotazione della dichiarazione doganale nel registro IVA acquisti.
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