La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 6635 depositata il 12 febbraio 2014 intervenendo in tema di sequestro per equivalente ha affermato che l’accordo tra l’Amministrazione Finanziaria e il contribuente per la rateizzazione dell’omessa IVA non fa venire meno le ragioni che giustificano il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, ma consente all’indagato di richiedere e ottenere la riduzione proporzionale della misura con riferimento agli importi già versati.
La vicenda ha avuto origine con l’accusa all’amministratore di una società di capitale del reato di cui all’art. 10-ter, d.Igs. n. 74/00, perché, in tempi diversi e con più azioni ed omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, quale legale rappresentante pro-tempore, nonché firmatario della dichiarazione, aveva omesso il versamento IVA entro il termine del versameto dell’acconto.
Il GIP, su proposta del PM, con ordinanza disponeva il sequestro preventivo per equivalente sui beni dell’amministratore indagato. Il legale rappresentante della società proponeva avverso l’ordinanza del GIP richiesta di riesame inanzi al Tribunale che rigettava la predetta richiesta dell’indagato chiedendo riduzione del sequestro “per equivalente” in virtù dell’accordo intervenuto tra l’indagato e il Fisco per il versamento dilazionato dell’imposta dovuta e l’avvenuto pagamento delle prime rate.
Per la cassazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame l’indagato, per il tramite del suo difensore, proponeva ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso, limitatamente alla rideterminazione dell’importo sequestrabile, dell’indagato annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale, limitatamente alla rideterminazione dell’entità della somma sequestrabile.
I giudici di legittimità hanno affermato che se è ben vero che il mantenimento della misura ablativa è giustificato fino al momento in cui si realizza il recupero delle imposte evase in favore dell’Amministrazione Finanziaria, con corrispondente “deminutio” del patrimonio personale del contribuente (momento superato il quale non ha più ragione di essere mantenuto in vita il sequestro preventivo), è altrettanto innegabile che il raggiungimento di un accordo per la rateizzazione del debito tributario con l’Erario non può ritenersi esplicare i suoi effetti nel limitato campo amministrativo, estendendo infatti la sua portata anche nel campo penale e, segnatamente, incidere sul “quantum” della somma sequestrata per equivalente in relazione al profitto derivato dal mancato pagamento dell’imposta evasa.
Nel caso esaminato dalla Corte l’indagato ha dimostrato l’avvenuto pagamento di alcuni ratei mediante la produzione delle quietanze rilasciate da Equitalia e dei modelli F24. Pertanto il Tribunale, in considerazione della diminuzione del debito tributario, avrebbe dovuto ridurre l’entità del sequestro per equivalente disposto dal GIP. Ciò, spiega la Suprema Corte, “in quanto il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca nel suo quantum iniziale, nonostante il pagamento – sebbene parziale – del debito erariale, darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato” (cfr. Cass. sentenze n. 3260 del 2012).