FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 22 aprile 2020
L’autodichiarazione mendace – Riflessi penali
Da quali falsità può risultare affetta l’autodichiarazione per gli spostamenti, divenuta necessaria per chi ha necessità di muoversi in questi giorni di pandemia da Covid-19 e quali sono le fattispecie penali astratte che possono derivare da eventuali dichiarazioni mendaci? Il presente documento mira a rispondere a queste domande alla luce delle norme che hanno introdotto e regolano tale strumento.
PREMESSA
In data 8 marzo 2020, il Presidente del Consiglio dei Ministri, in attuazione del decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6 (oggi quasi in toto abrogato), ha emanato un decreto con il quale ha adottato alcune misure “allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 nella regione Lombardia” e in alcune province del Piemonte, del Veneto, dell’Emilia Romagna e delle Marche.
Tra le misure vi è quella – prevista alla lett. a) del comma 1 dell’art. 1 – di “evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.
Lo stesso giorno, il Ministro dell’Interno ha emanato la direttiva n. 15350/117(2) allo scopo di fornire “indicazioni su alcune disposizioni del citato provvedimento” e per dettare “specifiche modalità di vigilanza sull’osservanza delle cennate prescrizioni, anche ai fini della verifica della rispondenza delle motivazioni addotte dagli interessati ai presupposti indicati dalla disposizione sopra citata”.
Infatti, come affermato nella stessa direttiva, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri “non contempla l’adozione di procedure di autorizzazione preventiva agli spostamenti”.
Secondo l’atto in esame, le “comprovate esigenze lavorative”, le “situazioni di necessità” o i “motivi di salute”, che permettono gli spostamenti in deroga a quanto stabilito alla lett. a) del comma 1 dell’art. 1 del DPCM 8 marzo 2020, possono essere riscontrati anche mediante “elementi documentali”, idonei a provare la “effettiva sussistenza” di tali situazioni.
Aspetto di particolare importanza, che si riscontra nella direttiva del Viminale, è quello secondo cui “l’onere di dimostrare la sussistenza delle situazioni che consentono la possibilità di spostamento incombe sull’interessato”.
Secondo il Ministro dell’Interno, tale onere “potrà essere assolto producendo un’autodichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione dei moduli appositamente predisposti in dotazione agli operatori delle Forze di polizia e della Forza pubblica”.
È, infine, da evidenziare che “la veridicità delle autodichiarazioni potrà essere verificata ex post”.
Successivamente, in data 25 marzo 2020, è stato emanato il decreto legge n. 19, con il quale, sempre “per contenere e contrastare i rischi derivanti dalla diffusione del virus COVID-19”, è stato attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di adottare diverse misure, tra cui quella di limitare la circolazione delle persone, “anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni” (lett. a del comma 2 dell’articolo 1).
È da mettere in evidenza che, in punto di autodichiarazione, le circolari, emesse in data 26 e 29 marzo 2020 dal Capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno, nulla hanno aggiunto a quanto disposto nella direttiva 8 marzo 2020 sopra citata.
LE FATTISPECIE PENALI
Si tratta, a questo punto, di stabilire da quali falsità può risultare affetta l’autodichiarazione in parola e di individuare le fattispecie penali astratte che queste possono integrare. Per compiere tale indagine è indispensabile prendere le mosse dalla normativa che regola l’autodichiarazione.
Orbene, l’atto che – secondo la direttiva 8 marzo 2020 del Ministro dell’Interno – è idoneo a provare la “effettiva sussistenza” di “comprovate esigenze lavorative”, di “situazioni di necessità” o di “motivi di salute”, “che consentono la possibilità di spostamento”, è la “dichiarazione sostitutiva”, resa ai sensi degli articoli 46 (dichiarazione sostitutiva di certificazioni) e 47 (dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà) del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. La veridicità del contenuto di tale dichiarazione è tutelata dalla norma ex art. 76 del D.P.R. n. 445/2000, la quale punisce, “ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia”, “chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico”. Ora, poiché il terzo comma del citato articolo 76 stabilisce che le “dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 (…) sono considerate come fatte a pubblico ufficiale”, la norma, alla quale fare riferimento in una ipotesi di dichiarazione sostitutiva mendace, è prima facie quella prevista dall’articolo 495 del codice penale, che sottopone a sanzione penale “chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona”.
Orbene, per verificare se la falsità della dichiarazione sostitutiva sia da ricondurre nell’alveo della fattispecie criminosa di cui all’art. 495 cod. pen., si rende necessario mettere a confronto il contenuto in cui si articola l’autodichiarazione prevista dalla direttiva del Ministro dell’Interno con quello del modello legale di dichiarazione sostitutiva di cui agli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000. Per quanto riguarda l’autodichiarazione, che deve essere compilata al fine di effettuare uno spostamento, da un esame del modulo predisposto dal Ministero dell’Interno, emerge che essa è composta sostanzialmente di due parti. Nella prima, devono essere indicati le generalità e gli estremi del documento di identificazione del soggetto che rilascia la dichiarazione; nella seconda, devono essere riportate: 1) informazioni che riguardano il proprio stato di salute (“non essere risultato positivo al COVID-19”) o la condizione di isolamento sanitario (“non essere sottoposto alla misura della quarantena”); 2) l’asserzione di essere a conoscenza delle “misure di contenimento del contagio (…), concernenti le limitazioni alle possibilità di spostamento delle persone fisiche” e delle “sanzioni previste dall’art. 4 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19”; 3) l’indicazione dei motivi dello spostamento.
Orbene, non vi è dubbio che, nel caso in cui siano rese dichiarazioni mendaci le quali afferiscono alla propria “identità” (v. art. 495 cod. pen.) e al proprio stato (“data e luogo di nascita” e “residenza”, v. lett. a) e lett. b) del comma 1 dell’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000), il soggetto incorre nella violazione della norma di cui all’art. 495 del codice penale.
Altrettanto è da dirsi per quanto concerne la falsità che riguardi il proprio stato di salute o la condizione di isolamento dovuta alla possibilità di diffondere il contagio. È, infatti, fuori discussione che affermare di essere risultati negativi al COVID-19, mentre, in realtà, si è positivi, ovvero di non essere in una condizione di “segregazione” domiciliare, integra il reato di cui all’art. 495 del codice penale, poiché il soggetto mente su una propria qualità, nel caso di specie, fisica o sul suo “status libertatis” dovuto alla quarantena. Rimane da stabilire se costituisca una condotta censurabile ai sensi del combinato disposto degli articoli 76 del D.P.R. n. 445/2000 e 495 del codice penale la falsità che colpisca le altre dichiarazioni di “scienza” che il soggetto è tenuto a rendere nel compilare il modulo approntato dal Ministero degli Interni.
Ora, premesso che le dichiarazioni di “conoscenza”, racchiuse nella cosiddetta “seconda parte” del modulo non rientrano ictu oculi tra quelle specificamente indicate nell’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000, è, tuttavia, da mettere in evidenza che la norma “gemella” ex art. 47 del medesimo D.P.R. – la quale disciplina “l’atto di notorietà” – stabilisce, al comma 1, che tale atto può riguardare anche “fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato” e, al comma 3, che “nei rapporti con la pubblica amministrazione” (…) “tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46 sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà”.
In buona sostanza, il dettato contenuto nell’articolo 47 del D.P.R. n. 445/2000 potrebbe essere considerato come una sorta di “norma di chiusura” posta a tutela della veridicità di qualsiasi dichiarazione resa alla pubblica amministrazione rispetto ai “fatti” dei quali l’interessato è a “diretta conoscenza” e a “tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46”.
È agevole rilevare che, sottoscrivendo il modulo de quo, il cittadino dichiara a un pubblico ufficiale (l’operatore di polizia, che appartiene a una pubblica amministrazione: quella della Difesa, se l’autodichiarazione viene consegnata a militari dell’Arma dei Carabinieri o dell’Interno, se esibita ad appartenenti alla Polizia di Stato) di essere a conoscenza di “fatti”, che, nel caso di specie, sono le “misure di contenimento del contagio”, le “ulteriori limitazioni disposte con provvedimenti” regionali e le “sanzioni previste dall’art. 4 del decreto legge 25 marzo 2020, n.19”.
In buona sostanza, l’interessato afferma, sotto la propria responsabilità, di conoscere la normativa adottata per “contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19”. Peraltro, risulta davvero arduo stabilire da quale circostanza o elemento possa essere desunta o constatata la falsità delle “attestazioni di conoscenza” della legge: da una specifica domanda posta dal pubblico ufficiale al momento del controllo, alla quale l’interessato – diciamo, “ingenuamente” ovvero “lealmente” o, invece, per simulata arrendevolezza, sperando di ottenere “clemenza” – fornisce una risposta negativa? Oppure in forza di una “presunzione”, cioè dal fatto che è stata riscontrata l’insussistenza del motivo addotto per giustificare lo spostamento? In altre parole, sembrerebbe che la responsabilità per il mendacio della dichiarazione sul punto della “conoscenza delle misure o delle ulteriori limitazioni” sia da ricavare dal fatto che è stato violato il divieto di allontanamento, non sussistendone il presupposto legittimante (violazione peraltro già assistita da sanzioni, a seconda dei casi, penali o amministrative, in forza di quanto fissato dall’articolo 4 del decreto legge n. 19/2020).
In conclusione, nel caso in cui, al momento del controllo, venga riscontrata l’insussistenza o la non veridicità del motivo dello spostamento, il soggetto potrebbe rispondere del reato di falso ai sensi del combinato disposto degli articoli 47 e 76 del D.P.R. n. 445/2000 e 495 del codice penale.
Merita, tuttavia, valutare se la falsità nell’autodichiarazione, resa secondo quanto prescritto nella direttiva del Ministro dell’Interno, possa integrare la fattispecie delittuosa prevista dall’articolo 483 del codice penale, che prevede un’ipotesi di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico. Tale norma punisce, infatti, “chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”. Si tratta, in primo luogo, di verificare se l’autodichiarazione in parola (dichiarazione sostitutiva) sia da considerare equipollente un atto pubblico destinato a provare la verità dei fatti in esso contenuti. Sul punto, si registra l’orientamento – peraltro, dominante – della Corte di Cassazione secondo cui, “integra il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.), la condotta di colui che, nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, attesti falsamente i propri redditi, in quanto detta autocertificazione riveste la funzione (art. 46 del D.P.R. n. 445 del 2000) di provare i fatti attestati, evitando al privato l’onere di provarli con la produzione di certificati e, così, collegando l’efficacia probatoria dell’atto al dovere del dichiarante di dichiarare il vero” (NOTA 1).
Si potrebbe, dunque, concludere che la fattispecie criminosa che meglio si adatta alla falsità nell’autodichiarazione in esame è quella contenuta nell’articolo 483 del codice penale.
È, peraltro, da ritenere che tale violazione concorra con una di quelle previste dalla norma di cui all’articolo 4 del decreto legge n. 19/2020, nel senso che, con un’unica azione, il soggetto avrà violato due diverse disposizioni di legge.
Nella circostanza in esame, si avrà, pertanto, a seconda dei casi:
1) un concorso di reati: falso ed epidemia colposa (art. 452 cod. pen.) oppure falso e inosservanza di un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo (art. 260 del Testo Unico delle leggi sanitarie) oppure falso e reati “più gravi” di quelli ora citati, legati dal nesso teleologico (art. 61, n. 2 cod. pen.), in quanto il falso nell’autodichiarazione è stato commesso per “eseguirne o occultarne un altro” o “per conseguire la impunità di un altro”;
ovvero
2) un concorso di un reato (falso) con un illecito di natura amministrativa (previsto dall’articolo 4 del decreto legge n. 19/2020).
—
Note:
(1) Cass. Pen., Sez. V, 12 novembre 2018, n. 17125/2019, Magisto; v. ex plurimis, Cass. Pen., Sez. V, 25 novembre 2008, n. 6063
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