La sentenza della Cassazione n. 21362 del 20 maggio 2013 interviene nella vicenda un imprenditore, che sottoposto alla verifica degli organi di controllo, risultava avere alle proprie dipendenze un lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno.I giudici del Tribunale di primo e di secondo grado condannavano l’imprenditore per il reato ascritto. L’imputato, tramite il proprio difensore, proponeva ricorso avversa la sentenza per cassazione. Il ricorso era basato su due motivazioni. Osserva sul punto la difesa ricorrente che il reato è attualmente punito a titolo di dolo e come delitto.
Gli Ermellini hanno ritenuto fondato, con alcuni paletti, il motivo inerente alla ricorrenza nella fattispecie dell’elemento psicologico del reato.
Fermo restando che è illegittimo utilizzare “lavoratori stranieri privi di permessi di soggiorno” occorre prestare attenzione nell’analisi del comportamento del datore di lavoro, ossia la consapevolezza o meno della posizione irregolare del dipendente illegalmente presente in Italia.
La norma incriminatrice punisce, prescindendo pertanto dalla fase specifica e precipua dell’assunzione, “chi occupa alle proprie dipendenze”, condotta questa la quale, come reso palese dal significato letterale delle parole utilizzate, fa riferimento all’occupazione lavorativa, condotta che può realizzarsi con l’assunzione, ma non soltanto con essa. Ai sensi di legge risponde infatti del reato in esame non soltanto chi assume il lavoratore straniero che si trovi nelle condizioni indicate dalla fattispecie incriminatrice, bensì anche chi, pur non avendo provveduto direttamente ad essa (assunzione), se ne avvalga tenendo alle sue dipendenze, eppertanto occupando più o meno stabilmente, il cittadino extracomunitario (Cass., sez. I, 18/05/2011, n. 25615).
Distinguo assolutamente non secondario, perché – chiariscono i giudici della Cassazione –, alla luce dell’evoluzione normativa, “il fatto è punito solamente se connesso con dolo”, e ciò significa che “l’errore, ancorché colposo, del datore di lavoro sul possesso di regolare permesso di soggiorno, da parte dello straniero impiegato, comporta l’esclusione della responsabilità penale”.
Principio, questo, delineato dinanzi alla vicenda riguardante un “esercizio commerciale esercente la attività di preparazione e concia di pelli di cuoio”, la cui titolare è stata condannata, sia in primo che in secondo grado, a due mesi di arresto e 3 mila e 500 euro di ammenda: l’addebito è quello di aver “occupato alle proprie dipendenze” un cittadino indiano “sprovvisto di permesso di soggiorno”. Ma, sottolineano i giudici, nel percorso giudiziario è mancato l’approfondimento del comportamento dell’imprenditrice per valutarne il “dolo”.
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