La lavoratrice sosteneva che tutti i suddetti contratti violavano l’art. 1 della legge 230 del 1962 e, pertanto, chiedeva che venisse accertata la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, essere reintegrata nel posto di lavoro e un risarcimento per i danni subiti.
La sentenza del giudice di primo grado non convinse le parti del giudizio che proposero entrambe ricorso in appello e, anche in seguito, un contrasto di orientamenti sull’applicazione delle norme sopravvenute nel corso del processo (in particolare i vari commi dell’art.32, 1. n. 183 del 2010) ha portato la questione innanzi alle Sezioni Unite.
Le Sezioni Unite vengono investite a dirimere il contrasto sull’interpretazione dell’art. 360 n.3 del codice di procedura civile che, come noto, ammette il ricorso in Cassazione per “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto”, nella specie, sopravvenute. Il caso processuale concerneva in particolare l’applicazione di norme più favorevoli al datore di lavoro promulgate dopo la sottoscrizione di un contratto collettivo nazionale che, al contrario, sosteneva il favor lavoratoris.
La sentenza oggetto del nostro commento presenta i seguenti aspetti peculiari: a) l’efficacia di una legge sopravvenuta alla risoluzione della controversia processuale ed il rapporto con l’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile che, a sua volta, rimanda all’art. 25 della Costituzione; b) l’interpretazione stessa del giudicato.
Per i Giudici i principi guida in materia di efficacia della legge nel tempo sono contenuti dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile. Pertanto una legge non può che disporre per l’avvenire salvo un’espressa dichiarazione di retroattività dei suoi effetti. Non vi sarebbero obiezioni di sorta dunque in merito al principio dettato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite ove non si considerasse che il ricorso per cassazione, come pacificamente riconosciuto, è a criticità vincolata nel senso che, nel processo di legittimità, è importante stabilire la conformità o meno all’ordinamento giuridico della sentenza impugnata e, conseguenzialmente, approfondire gli sviluppi della norma ritenuta violata dalla parte ricorrente.
I giudici della Corte Suprema hanno stabiliti i seguenti principi di diritto:
Ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta dotata di efficacia retroattiva. Il ricorso, però, incontra il limite del giudicato a meno che la sentenza si componga di più parti connesse fra loro in modo che l’accoglimento dell’impugnazione della parte principale determini anche la caducazione del resto
“la violazione di norme di diritto può concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata qualora siano applicabili al rapporto dedotto in giudizio perché dotate di efficacia retroattiva”.
Ed è proprio partendo da tale ultima considerazione che le SS UU hanno stabilito l’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto contro una sentenza che abbia sì correttamente applicato la legge all’epoca vigente ma che oramai non è più uniforme al diritto per il sopravvenire di una norma chiaramente dotata di efficacia retroattiva.
L’esame del ricorso dunque (e forse questo è l’aspetto più rilevante) può procedere anche se la “lex nova” sia intervenuta dopo la notifica del ricorso stesso e, ovviamente, senza l’articolazione in esso di uno specifico motivo sul punto.
L’unico limite posto (o imposto) a tale “estensione” del giudizio è dato proprio dal giudicato formatosisu un punto controverso. Eppure, anche sull’esame del giudicato, si aprono spiragli interpretativi che relativizzano tale limite.
Vi sono due diversi orientamenti sulla nozione di giudicato interno e gli Ermellini delle SS UU, con la decisione in commento, prediligono quello per cui, in assenza di una specifica impugnazione su un punto della sentenza, su questo non può formarsi giudicato interno qualora l’eventuale accoglimento di altri motivi di gravame comportino la caducazione anche della statuizione sui motivi connessi e conseguenti ancorchè non impugnati. Ed allora va interpretata e valutata la domanda giudiziale per comprendere su quali punti effettivamente le parti hanno prestato acquiescenza e se i vari capi del decisum (non relativi solo al dispositivo ma chiaramente ricomprendenti anche la motivazione) siano collegati in modo tale che l’impugnazione principale comporti l’automatico venir meno degli altri punti.