Corte di Cassazione, sezione II, ordinanza n. 19833 depositata il 18 luglio 2024
cessione quote sociali – omissione dei vincoli gravanti sulla società
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale Cagliari, per quanto rileva, ha respinto le domande della T.E. SRL di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare del 22.6.2006 di vendita ad essa della quota del 51% della S.F.C. SRL (S.C.), che gestiva una palestra ginnica nell’immobile di proprietà di Cagliari, via M. 37 (ed aveva ad oggetto l’organizzazione di attività sportive e ricreative), al prezzo di € 1.600.000,00 da parte dei soci della stessa V.P., M.D. e M.V., in subordine di annullamento per errore, o dolo, e di risarcimento dei danni subiti a causa dell’inadempimento, avendo la T.E. rinunciato in corso di causa all’originaria domanda principale avanzata ex art. 2932 cod. civ. con riduzione del prezzo, ritenendo non provato l’inadempimento dei soci e considerando i vincoli di destinazione e di trasferibilità a terzi derivanti dai contributi e crediti agevolati concessi ai soci dalla Regione Sardegna in base alle leggi regionali 28/1994 e 40/1993 e non dichiarati nel preliminare come non inerenti all’oggetto del preliminare, rappresentato dalla partecipazione societaria e non dall’immobile vincolato, mentre ha accolto la riconvenzionale dei soci accertando che essi erano receduti legittimamente dal preliminare in quanto la T.E. non li aveva convocati nel previsto termine di 25 giorni per la conclusione del contratto di vendita della quota al prezzo pattuito, con conseguente loro diritto alla ritenzione della caparra confirmatoria ricevuta di € 100.000,00.
La Corte d’Appello di Cagliari, con la sentenza n. 1018/2016 del 21.9/28.12.2016, accogliendo in parte l’appello della T.E., che aveva chiesto nell’impugnazione la risoluzione (rectius il recesso) e la restituzione del doppio della caparra versata, ha riformato la sentenza di primo grado, ritenendo di contro gravemente inadempienti i soci, dichiarando la risoluzione del preliminare e condannandoli per la quota di spettanza di ciascuno alla restituzione alla T.E. della caparra confirmatoria ricevuta di complessivi €100.000,00 oltre interessi dalla domanda ed alle spese del doppio grado.
In particolare l’impugnata sentenza, per quanto rileva, ha evidenziato che i soci nel preliminare avevano specificamente garantito la piena proprietà e libera disponibilità delle rispettive quote della S.C. SRL, mentre in realtà la normativa regionale sulla base della quale erano stati concessi all’insaputa della T.E. contributi e mutui agevolati alla S.C. SRL prevedeva che la cessione di quote della società beneficiaria a soggetti, come la T.E., – operante nel diverso settore del trattamento rifiuti – , privi di determinate caratteristiche soggettive (partecipazione come soci di almeno tre soggetti, di cui almeno il 60% di età compresa tra 18 e 35 anni non compiuti, iscritti nelle liste di collocamento) comportasse la decadenza dai benefici concessi, con l’obbligo di restituire in unica soluzione quanto erogato (importo addirittura superiore al valore stimato della S.C. SRL), ed imponeva la preventiva comunicazione della cessione alla Regione ai fini della sua autorizzazione, mentre la T.E., come emerso dalla prova testimoniale espletata, era stata edotta solo delle rate dei finanziamenti che dovevano essere pagate periodicamente dalla S.C. SRL.
La sentenza ha poi evidenziato che vi é stata anche violazione dell’art. 1497 cod. civ. da parte dei soci promittenti venditori, che non hanno informato la T.E. dei vincoli di destinazione d’uso derivanti, all’immobile di Cagliari via M. 37, dalla normativa regionale, in dipendenza dei contributi gratuiti e dei finanziamenti agevolati dei quali la S.C. SRL aveva fruito (vincolo di destinazione turistica alberghiera ventennale correlato al finanziamento agevolato, e vincolo ventennale di attività sportiva e ricreativa correlato al contributo gratuito erogato dalla Regione Sardegna per la palestra).
La sentenza medesima ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale minoritario della Suprema Corte che considera le quote delle società di capitali come beni di secondo grado non totalmente distinti e separati da quelli ricompresi nel patrimonio sociale, con conseguente applicabilità dell’art. 1497 cod. civ. per vizi attinenti ai beni patrimoniali, e non direttamente alla quota, solo a fronte di specifiche garanzie contrattuali, anche diversamente qualificate, evincibili dal contratto (riferimenti alla consistenza del patrimonio sociale, o a particolari caratteristiche dei beni in esso ricompresi), ma ha richiamato anche la sentenza n. 3370/2004 di questa Corte, che ha ritenuto comunque sufficiente anche il richiamo al principio della buona fede quando il divario di valore dei beni del patrimonio sociale, rispetto a quello indicato in contratto, sia tale da riflettersi sulla stessa solidità economica e produttività dell’impresa sociale e quindi anche sul valore delle quote sociali, ed ha perciò accertato, sulla base dell’espletata CTU, che i vincoli derivati dalla normativa regionale, che erano stati taciuti dai soci, avevano determinato una diminuzione di circa il 25% del valore delle quote e non dell’8%, come erroneamente ritenuto dal Tribunale di Cagliari.
La sentenza stessa ha però condannato i soci inadempienti solo alla restituzione della caparra confirmatoria ricevuta di € 100.000,00, ritenendo che la domanda di accertamento della legittimità del recesso con condanna al pagamento del doppio della caparra confirmatoria, fosse stata avanzata, dalla T.E., solo nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado e nell’atto di appello, e quindi tardivamente, richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. un. n. 553/2009; Cass. n. 4546/2015) che aveva qualificato come domanda nuova inammissibile in appello, quella volta ad ottenere l’accertamento della legittimità del recesso e la condanna alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata, rispetto a quella avanzata in primo grado, di risoluzione contrattuale per inadempimento e risarcimento dei danni conseguenti.
Contro tale sentenza, non notificata, hanno proposto ricorso a questa Corte, notificato il 28.12.2017 alla T.E. ora in liquidazione, i soci della S.C. SRL, con due motivi, e resiste la T.E. in liquidazione con controricorso e ricorso incidentale notificato il 2.2.2018 con un unico motivo.
La sola T.E. ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
Col primo motivo di ricorso i soci della S.C. SRL lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 1470, 1490 e 1497 cod. civ.. Si dolgono i ricorrenti principali che l’impugnata sentenza, aderendo alla giurisprudenza minoritaria della Suprema Corte abbia considerato le quote sociali come beni di secondo grado, identificando l’oggetto della cessione con l’immobile presente nel patrimonio sociale, applicando estensivamente gli articoli 1490 e 1497 cod. civ. in ragione della presenza sull’immobile dei vincoli derivanti dalla leggi regionali n. 28/1984 e n. 40/1993, determinanti la diminuzione di valore dell’immobile, e richiamano in senso contrario la giurisprudenza maggioritaria di questa Corte (Cass. 19.7.2007 n. 16031; Cass. 13.12.2006 n. 26690; Cass. 28.3.1996 n. 2843; Cass. 29.8.1995 n. 9067), secondo la quale la consistenza patrimoniale della società nell’ambito della cessione di quote od azioni di quest’ultima rileva solo in presenza di una specifica garanzia del valore del patrimonio assunta dalla parte cedente, ovvero nel caso di dolo di un contraente che renda annullabile il contratto, in quanto l’oggetto immediato della cessione é la partecipazione sociale, sicché le carenze, o i vizi relativi alla consistenza ed alle caratteristiche dei beni ricompresi nel distinto patrimonio sociale possono giustificare la risoluzione solo se al riguardo sono state fornite dal cedente specifiche garanzie contrattuali, nella specie mancanti, dovendosi riferire il difetto di qualità ai diritti ed obblighi che in concreto la partecipazione sociale é idonea ad attribuire e non ai beni patrimoniali che ne facciano parte.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione delle leggi della Regione Sardegna n. 28/1994 e n. 40/1993 in tema di erogazione di contributi finanziari alle imprese e dell’art. 1376 cod. civ.. Sostengono i soci della S.C. SRL, che sia il vincolo di destinazione turistico alberghiera, connesso alla concessione delle agevolazioni contributive e finanziarie della Regione Sardegna, sia il rischio della decadenza dalle agevolazioni creditizie in caso di cessione della quota societaria ad altra società sprovvista dei requisiti soggettivi (partecipazione come soci di almeno tre soggetti, di cui almeno il 60% di età compresa tra 18 e 35 anni non compiuti, iscritti nelle liste di collocamento), non erano di per sé ostativi al trasferimento della quota societaria di loro proprietà, che sarebbe comunque avvenuto, in base al principio consensuale, solo a seguito della vendita, e deducono che in realtà la T.E. era a conoscenza dei suddetti vincoli sulla base delle trattative intercorse, e che la Corte d’Appello aveva omesso di considerare che il contratto preliminare era stato concluso anche per persona da nominare, per cui esisteva la possibilità che mutasse la composizione sociale della T.E. prima del perfezionamento della vendita, in modo tale da garantire il rispetto dei requisiti soggettivi previsti dalla normativa regionale per la conservazione delle agevolazioni concesse.
I due motivi, attinenti entrambi alle ragioni che hanno indotto la Corte d’Appello di Cagliari a ritenere gravemente inadempienti gli attuali ricorrenti agli obblighi assunti col contratto preliminare di cessione, anche per persona da nominare, della quota del 51% complessivo della S.C. SRL, entro 25 giorni dal 22.6.2006, al prezzo di € 1.600.000,00, vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.
Osserva la Corte che un proprio primo indirizzo, prevalente (Cass. n.5053/2024; Cass.n. 21590/2019; Cass. n. 7183/2019; Cass. n.16963/2014;Cass. n. 17948/2012; Cass. n. 16031/2007; Cass. n.26690/2006), afferma che la cessione delle azioni, o delle quote, di una società di capitali, ha come oggetto immediato la partecipazione sociale, e solo quale oggetto mediato, la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale e, di conseguenza, alla consistenza economica della partecipazione possono giustificare la sua risoluzione o la riduzione del prezzo pattuito solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali.
Tale interpretazione si fonda sull’individuazione dell’oggetto del negozio di modificazione della partecipazione sociale. Un bene, la partecipazione sociale, che attribuisce al titolare diritti amministrativi e diritti patrimoniali da esercitare nella società per effetto dell’acquisizione della qualità di socio. Un bene, la partecipazione sociale, che non si limita, quindi, ad attribuire al socio diritti patrimoniali parametrati al valore del patrimonio della società, ma che, in relazione a ciascun tipo societario prescelto, attribuisce anche diritti amministrativi, che consentono al socio di partecipare alla vita della società, esercitando tutte le facoltà concesse dalla legge e dallo statuto, rispetto alle quali l’aspettativa di redditività connessa all’esercizio dei diritti patrimoniali costituisce non più che un aspetto del complessivo status di socio. L’assetto patrimoniale del valore della partecipazione, in quanto corrispondente all’esercizio dei diritti patrimoniali spettanti al socio, è solo una parte dell’utilità che l’acquirente della partecipazione riceve per effetto del suo acquisto.
Lo status di socio attribuisce, quindi, diritti più ampi e ulteriori rispetto a quelli legati al concorso alla distribuzione degli utili, ipotesi nella quale potrebbe sussistere un interesse ad attribuire sempre e comunque rilevanza all’effettivo valore dei beni che costituiscono il patrimonio della società, in dipendenza di vizi che ne diminuiscano il valore, con conseguente ammissibilità delle azioni contrattuali a difesa dell’effettivo valore del bene mediato, in assenza di specifiche garanzie.
La sentenza impugnata ha richiamato l’orientamento minoritario di questa Corte (Cass. ord. 12.9.2019 n. 22790; Cass. 9.9.2004 n. 18181), secondo cui le azioni (e le quote) delle società di capitali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività sociale.
Tale orientamento, che comunque non é in contrasto con quello prevalente, evidenzia che comunque le azioni esperibili a tutela dell’effettivo valore della partecipazione discendono da un’applicazione del generale canone di buona fede, e sono limitate alle ipotesi in cui la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incida sulla solidità economica e sulla produttività della società, e quindi sul valore delle azioni o delle quote, che sono l’oggetto immediato della cessione, potendo per tale via integrare una mancanza delle qualità essenziali della cosa, ovvero essere indizio del fatto che i beni confluiti nel patrimonio siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti (vedi in tal senso Cass. n. 3370/2004 richiamata nella sentenza impugnata e Cass. n.2843/1996).
La decisione impugnata, in linea con tale ultima giurisprudenza, non si é limitata a fare derivare la mancanza di qualità ex art. 1497 cod. civ. dall’esistenza sull’immobile adibito a palestra, l’unico ricompreso nel patrimonio della società cedenda, dei vincoli di destinazione non dichiarati (secondo le prove testimoniali valutate) connessi ai contributi ed alle agevolazioni finanziarie concesse alla S.C. SRL dalla Regione Sardegna, in quanto alle pagine 19, 20 e 21 ha correttamente considerato le specifiche ripercussioni da ciò derivate, secondo la CTU espletata, sul valore della stessa quota societaria cedenda (diminuzione di valore del 25%), ossia dell’oggetto immediato della cessione, ha evidenziato che nel preliminare di cessione delle quote era stato fatto all’art. 3 uno specifico riferimento alla determinazione del prezzo in €1.600.000,00 in considerazione della situazione contabile dell’unico immobile, di circa 1250 mq su due livelli e di tutte le attrezzature, avente primaria importanza per le parti, ed ha ritenuto che pertanto la T.E. avesse legittimamente fatto affidamento, secondo i canoni della buona fede, in tale valutazione, risultata frustrata dall’omessa dichiarazione dei soci della S.C. SRL, in fase precontrattuale, circa il vincolo di destinazione e circa i limiti soggettivi di trasferibilità della stessa quota, che derivavano dalla celata fruizione delle contribuzioni e dei finanziamenti agevolati regionali.
La sentenza impugnata, inoltre, ha evidenziato che i soci della S.C. SRL nel preliminare avevano dichiarato che le quote della società non solo erano nella loro esclusiva proprietà, circostanza veritiera, ma anche nella loro “libera disponibilità”, fornendo quindi sul punto una garanzia specifica alla T.E., che viceversa, solo dopo la firma del preliminare, in base alla documentazione in seguito consegnatale, ha potuto scoprire che la quota societaria, a seguito dei contributi a titolo gratuito e dei finanziamenti agevolati fruiti dalla S.C. SRL, non poteva esserle trasferita senza la preventiva comunicazione ed autorizzazione della Regione Sardegna, e senza il rispetto dei requisiti soggettivi della normativa regionale sui beneficiari (partecipazione come soci di almeno tre soggetti, di cui almeno il 60% di età compresa tra 18 e 35 anni non compiuti, iscritti nelle liste di collocamento), la cui violazione avrebbe comportato la decadenza immediata dai benefici a suo tempo concessi alla cedente, con conseguente obbligo di restituzione in un’unica soluzione dell’intero importo fruito, ben superiore alle rate di mutuo altrimenti da restituire delle quali era stata edotta.
La sentenza impugnata ha poi escluso, a pagina 16, che la circostanza che la T.E. avesse la mera possibilità di nominare un altro soggetto come acquirente della quota, potesse rendere ininfluente la circostanza che il cessionario definitivo della quota societaria dovesse presentare i suddetti requisiti soggettivi, essendo stato fissato un termine di appena 25 giorni dal preliminare per la cessione definitiva, nel quale evidentemente sarebbe stato pressoché impossibile, per l’ignara T.E., soddisfare i requisiti soggettivi necessari ad evitare la decadenza dalle agevolazioni concesse alla S.C. SRL dalla Regione Sardegna, e comunque non é invocabile l’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., in quanto la circostanza in questione é stata già considerata, anche se sinteticamente, dalla Corte d’Appello.
Merita invece accoglimento il ricorso incidentale tardivo della T.E. in liquidazione, che ha lamentato, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 e 4 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1385 comma 2° cod. civ..
Si duole la T.E. in liquidazione che l’impugnata sentenza, pur avendo correttamente riconosciuto il grave inadempimento dei promittenti venditori della quota della S.C. SRL, fuorviata dalla ricostruzione dello svolgimento del processo riportata dalla sentenza di primo grado, abbia ritenuto a pagina 14, che la T.E. avesse avanzato per la prima volta la domanda di accertamento della legittimità del suo recesso e di pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado dell’11.1.2008, e quindi non nella citazione e nell’istanza di fissazione di udienza, e quindi tardivamente, reiterando poi la domanda inammissibilmente, perché domanda nuova, nell’atto di appello (in proposito l’impugnata sentenza ha richiamato Cass. n. 553/2009 e Cass. n. 4546/2015).
In contrario la T.E. in liquidazione osserva che dall’atto di citazione del giudizio di primo grado (pagina 26) risultava che già nell’atto di citazione, anche se in via ulteriormente subordinata o alternativa rispetto ad altre domande, essa aveva chiesto tempestivamente di accertare l’efficacia del suo recesso dal contratto preliminare per l’inadempimento dei convenuti agli obblighi da esso derivanti e di condannare gli stessi al pagamento ex art. 1385 comma 2° cod. civ. in suo favore di € 200.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, ribadendo tale richiesta nella comparsa conclusionale dell’11.1.2018, e poi nell’atto di appello, e richiama altresì la sentenza n. 849/2012 di questa Corte, che ha ritenuto consentita anche in appello, escludendo che si tratti di domanda nuova, la domanda di accertamento della legittimità del recesso e di condanna alla restituzione del doppio della caparra versata della parte, che in primo grado, abbia richiesto la risoluzione per inadempimento del medesimo contratto ed il risarcimento dei danni subiti a causa di tale inadempimento.
Il ricorso incidentale della T.E. in liquidazione é fondato, in quanto, come emerge dalla lettura dell’atto di citazione del giudizio di primo grado, consentita nella specie, perché in sostanza si lamenta una violazione di tipo processuale per l’erronea tardività della domanda rilevata, anche se impropriamente si é fatto riferimento alla violazione di legge dell’art. 1385 cod. civ., la T.E., già alla pagina 26 dell’originario atto introduttivo, aveva concluso sia pure in via ulteriormente subordinata per l’accertamento dell’efficacia del suo recesso dal contratto preliminare per l’inadempimento dei convenuti agli obblighi da esso derivanti e per la condanna degli stessi al pagamento ex art. 1385 comma 2° cod. civ. in suo favore di € 200.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, domande che sono state poi reiterate nella comparsa conclusionale di primo grado dell’11.1.2008, con conseguente esclusione di qualsivoglia rinuncia, e quindi nell’atto di appello.
L’impugnata sentenza va quindi cassata in relazione all’accoglimento del ricorso incidentale, con rinvio alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità e di inibitoria.
Sussistono i presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo a carico dei ricorrenti principali in solido ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa l’impugnata sentenza in relazione all’unico motivo del ricorso incidentale e rinvia alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità e di inibitoria. Visto l’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo a carico dei ricorrenti principali in solido.