La Corte di Cassazione, sezione I, con l’ordinanza n. 29798 depositata l’ 8 novembre 2024, intervenendo in sede fallimentare in tema di riconoscimento del credito di lavoro dipendente, ha ribadito il principio secondo cui “le buste paga e la C.U. provenienti dalla parte datoriale, in mancanza di altri elementi probatori (quali ad esempio quietanze, assegni, invii di bonifici) non costituiscono prova del pagamento del credito in essi documentato, in quanto provenienti dalla stessa parte interessata ad opporre il fatto estintivo.”
La vicenda ha riguardato un dipendente di un’azienda fallita, a cui il giudice delegato al fallimento non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato dal dipendente, atteso che dal CUD 2018 risultava l’intervenuta erogazione del trattamento richiesto. A seguito dell’opposizione presentata dal lavoratore il Tribunale riteneva che il pagamento del T.F.R. dovesse ritenersi adeguatamente dimostrato dal C.U.D., depositato dallo stesso lavoratore e facente fede nei confronti della curatela, la quale, essendo rimasta estranea al rapporto di lavoro, doveva essere considerata soggetto terzo. Il dipendente proponeva ricorso per cassazione fondato su due motivi.
I giudici di legittimità accoglievano il secondo motivo di ricorso, dichiaravano assorbito il primo, cassavano il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinviavano la causa.
Gli Ermellini evidenziano che la “giurisprudenza di questa sezione (cfr. Cass. 19820/2023), che il collegio condivide ed a cui intende dare continuità, ha di recente chiarito – proprio con riferimento a una fattispecie in cui il lavoratore, nell’azionare in sede fallimentare il proprio credito maturato a titolo di trattamento di fine rapporto, aveva allegato la C.U. al fine di dimostrare l’esistenza e la consistenza del proprio credito per T.F.R., malgrado lo stesso attestasse anche l’intervenuta corresponsione al dipendente degli importi esposti e, quindi, il fatto estintivo del diritto di credito – che, una volta allegata in giudizio la C.U., sia possibile isolarne gli effetti favorevoli per il soggetto che ha prodotto il documento (prova del diritto al T.F.R.) da quelli per lo stesso sfavorevoli (attestazione di avvenuto pagamento del T.F.R.) (come già era stato affermato da Cass. 2817/2022 e Cass. 34828/2022). Tale decisione, in particolare:
I) ha ribadito la validità del principio secondo cui «il documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa né determina inversione dell’onere probatorio in caso di contestazione» (v. Cass. 2817/2022, Cass. 31173/2018, 8290/2016, Cass. 9885/2000 e Cass. 5573/97), precisando, inoltre, come non sia possibile sostenere che il curatore è terzo rispetto al datore di lavoro perché, quando intende giovarsi di documenti provenienti dal soggetto fallito (e non opporsi ad essi), egli ne assume la medesima posizione processuale, con quanto ne consegue in termine di rilevanza probatoria di tali documenti (cfr. Cass. 34828/2022 e Cass. 31173/2018);
II) ha ricordato, inoltre, il principio secondo il quale la rituale acquisizione al processo di un mezzo di prova (documento, testimonianza, informazioni della P.A. ecc.) comporta la conseguenza che esso debba essere integralmente utilizzato dal giudice, sia a favore, sia contro la parte che ha esibito il documento o chiesto l’ammissione del mezzo istruttorio, precisando che chi ha esibito un documento non può scinderne il contenuto per affermare i fatti favorevoli e negare quelli a lui contrari, a meno che al momento dell’esibizione abbia fatto presente di voler invocare il documento solo in parte ed abbia dedotto prove idonee a contestare le circostanze sfavorevoli da esso desumibili (cfr. Cass. 7726/1990, Cass. 3383/1983 e Cass.4993/1981);
III) ha poi sottolineato che il principio dell’inscindibilità del contenuto del documento prodotto da una parte vale, tuttavia, solo se riferito ai documenti formati da un soggetto terzo rispetto alla parte che vuole avvalersi dei loro effetti favorevoli: in tale ipotesi la parte che esibisce il documento non può selezionare quanto in esso rappresentato ed espungere i fatti e le dichiarazioni incorporati nello scritto ad essa sfavorevoli; viceversa, quando il documento è formato da una delle parti in causa, rivive e prevale la ricordata regola probatoria secondo cui lo scritto proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa anche se versato in atti dalla controparte per provare i fatti costitutivi del proprio diritto; “