FONDAZIONE STUDI CDL – Circolare 08 marzo 2021, n. 5
Le novità 2021 su Fisco, Lavoro e Previdenza – 28° Forum Lavoro/Fiscale
SOMMARIO
Introduzione
1. La Certificazione Unica e il Modello 730 del 2021, cosa cambia
1.1 Premio 100 euro ai lavoratori dipendenti
2. Gli effetti dell’emergenza sanitaria sui bilanci 2020
3. Dichiarazione dei redditi 2021: ulteriori cause di esclusione dagli Isa per il 2020
4. Principali novità IVA per il 2021
4.1 Registrazioni delle fatture peri contribuenti con liquidazione trimestrale dell’IVA
4.2 Dichiarazione precompilata IVA
4.3 Cenni sulle novità IVA per vaccini Covid-19 e strumentazione per diagnostica
5. Superbonus, fino al 30/06/2022 gli interventi superagevolati
6. Incentivi all’assunzione ed efficacia occupazionale degli sgravi
7. Incentivi e temporary framework
8. Sul contratto a tempo determinato
8.1 Sul blocco licenziamenti: le eccezioni ex art. 1 comma 311 legge 178/2020
9.1 trattamenti cig Covid-19
10. Smart working, dai nuovi modelli organizzativi all’impatto sulle aziende
11. Il tema vaccini nella battaglia contro la pandemia
12. Fondo nuove competenze per la formazione dei lavoratori
12.1 Come funziona
12.2 Il ruolo della Fondazione Consulenti per il Lavoro
13. Focus sul contratto di espansione
14. SPID e accesso informatico: criticità e soluzioni
Introduzione
A poco più di 2 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 178/2020 restano da sciogliere alcuni dubbi sulla gestione del mercato del lavoro nel vorticoso sistema di norme emergenziali volte a frenare l’emergenza economica scaturita dalla pandemia da Covid – 19. Luci e ombre delle principali disposizioni in materia di lavoro, fisco e previdenza, introdotte in questo provvedimento per generare lavoro e liquidità nelle imprese, sono state analizzate dagli esperti della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro lo scorso 25 febbraio in occasione del 28° Forum Lavoro/Fiscale. Le maggiori evidenze emerse nel corso della trasmissione sono state riassunte nella presente circolare.
1. LA CERTIFICAZIONE UNICA E IL MODELLO 730 DEL 2021, COSA CAMBIA
In materia di Certificazione Unica tra le principali novità del 2021 si segnala l’accorpamento delle scadenze: da quest’anno, infatti, la Certificazione Unica va rilasciata entro il 16 marzo 2021 al percettore delle somme utilizzando il modello “sintetico”. Sempre entro il 16 marzo va effettuata la trasmissione all’Agenzia delle Entrate, in via telematica, utilizzando il modello “ordinario”.
Se le Certificazioni Uniche contengono esclusivamente redditi esenti o non dichiarabili mediante la dichiarazione dei redditi precompilata, la trasmissione telematica può avvenire entro il termine di presentazione della dichiarazione dei sostituti d’imposta: ovvero entro il 31 ottobre 2021, scadenza spostata al 2 novembre 2021 dal momento che il 31 ottobre cade di domenica.
Per quanto riguarda il flusso telematico delle CU anche quest’anno è data facoltà ai sostituti d’imposta di suddividere il flusso telematico inviando, oltre il frontespizio ed eventualmente il quadro CT, le certificazioni dati lavoro dipendente e assimilati separatamente dalle certificazioni dati lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi. È possibile effettuare flussi telematici distinti anche nel caso di invio di sole certificazioni dati lavoro dipendente, qualora questo risulti più agevole per il sostituto (ad esempio quando si hanno più filiali o si tratta di aziende plurilocalizzate).
Per l’annullamento o la sostituzione di una certificazione già validamente trasmessa è sempre necessario predisporre una nuova “Comunicazione” contenente esclusivamente le sole certificazioni da annullare o sostituire. Pertanto, nel medesimo invio non potranno essere presenti Certificazioni Uniche ordinarie e Certificazioni Uniche da sostituire o annullare.
Clausola di Salvaguardia (articolo 128 del decreto legge n. 34 del 2020) A seguito di quanto previsto dall’articolo 128 del decreto legge n. 34/2020, al comma 1, per l’anno 2020 il sostituto d’imposta ha riconosciuto ai lavoratori dipendenti che hanno fruito degli ammortizzatori sociali speciali concessi dal decreto “Cura Italia”, il bonus Irpef di cui all’articolo 13, comma 1 – bis, del Tuir e il trattamento integrativo di cui all’articolo 1 del decreto legge n. 3 del 5 febbraio 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2 aprile 2020, anche se l’imposta lorda calcolata sui redditi di cui all’articolo 49, con esclusione di quelli indicati nel comma 2, lettera a), e all’articolo 50, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis) e I) del Tuir, sia stata di importo inferiore alla detrazione spettante ai sensi dell’articolo 13, comma 1, del medesimo testo unico, per effetto delle misure a sostegno del lavoro contenute negli articoli 19, 20, 21, 22, 23 e 25 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020. L’erogazione del bonus e del trattamento integrativo è stata possibile assumendo, in luogo degli importi delle predette misure di sostegno, la retribuzione contrattuale che sarebbe spettata in assenza dell’emergenza sanitaria da Covid-19.
Pertanto, il sostituto d’imposta che ha applicato questa particolare clausola di salvaguardia, è tenuto a darne le informazioni necessarie all’Agenzia delle Entrate mediante la compilazione dei punti 478, 479 e 480 della CU 2021, In particolare dovrà:
– barrare il punto 478, nel caso in cui siano state erogate somme a sostegno del reddito;
– compilare il punto 479, indicando il reddito da lavoro dipendente di cui all’articolo 49 con esclusione di quelli indicati nel comma 2, lettera a), e all’articolo 50, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis) e I) del Tuir effettivamente erogato;
– compilare il punto 480, indicando il reddito contrattuale che sarebbe stato erogato in assenza dell’emergenza sanitaria da Covid-19.
Sui citati punti, le specifiche tecniche aggiornate al 24/02/2021 precisano che:
– punto 478, il campo DB001478 può essere barrato solo se risulta compilato il campo DB001391 (bonus Irpef) oppure il campo DB001400 (trattamento integrativo) indipendentemente che i valori assegnati siano stati 1 oppure 2;
– punto 479, i campi DB001479 e DB001480 possono risultare compilate solo se risulta compilato il campo DB001478;
– punto 480, se risulta compilato il campo DB001478 deve risultare compilato il campo DB001480.
Nell’ipotesi in cui vengano conguagliate più Certificazioni Uniche il sostituto che effettua le operazioni di conguaglio dovrà compilare i citati punti 478, 479 e 480 considerando anche il minor reddito derivante dagli ammortizzatori sociali erogato dal precedente sostituto.
1.1 Premio 100 euro ai lavoratori dipendenti
L’articolo 63 del decreto legge n. 18 del 2020 stabilisce che ai titolari di redditi di lavoro dipendente di cui all’articolo 49, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986 con un reddito complessivo da lavoro dipendente dell’anno precedente di importo non superiore a 40.000 euro, spetta un premio, per il mese di marzo 2020, che non concorre alla formazione del reddito, pari a 100 euro da rapportare al numero di giorni di lavoro svolti nella propria sede di lavoro nel predetto mese. Pertanto, i sostituti d’imposta di cui agli articoli 23 e 29 del D.P.R. n. 600/1973 potevano riconoscere, in via automatica, l’incentivo a partire dalla retribuzione corrisposta nel mese di aprile 2020 e comunque entro il termine di effettuazione delle operazioni di conguaglio di fine anno. Se nel corso del 2020 ne è avvenuta l’erogazione, al punto 476 occorre riportare il premio erogato ai lavoratori dipendenti che hanno prestato la loro attività lavorativa nel mese di marzo 2020 come previsto dall’articolo 63 del D.L. n. 18 del 2020. Nel caso in cui si debba procedere al recupero del premio precedentemente riconosciuto l’importo da riportare al presente punto deve intendersi nettizzato dell’importo recuperato.
Tra le principali novità che caratterizzano, invece, il Modello 730/2021:
– riduzione della pressione fiscale del lavoratore dipendente, dal 1° luglio 2020 il trattamento integrativo di cui all’articolo 1 del decreto legge, n. 3 del 5 febbraio 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2 aprile 2020, sostituisce il bonus Irpef di cui all’articolo 13, comma 1 – bis, del Tuir. Pertanto, ai lavoratori dipendenti in possesso di un reddito complessivo fino a 28.000 euro spetta il trattamento integrativo, mentre a quelli in possesso di un reddito complessivo da 28.000 a 50.000 euro spetta un’ulteriore detrazione il cui importo diminuisce all’aumentare del reddito;
– riduzione in base al reddito di alcune detrazioni d’imposta di cui alla sezione I del quadro E, si riducono all’aumentare del reddito fino ad azzerarsi al raggiungimento di un reddito complessivo pari a 240.000 euro;
– credito d’imposta “bonus Vacanze”, detrazione pari al 20 % dell’importo sostenuto se il credito d’imposta Vacanze è stato fruito entro il 31 dicembre 2020;
– detrazione per ristrutturazione “Superbonus” (artt. 119 e 121 del D.L. n. 34/2020), riguarda le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022 per le quali spetta una detrazione nella misura del 110%, a fronte di specifici interventi finalizzati all’efficienza energetica, nonché al consolidamento statico o alla riduzione del rischio sismico degli edifici, effettuati su unità immobiliari residenziali. Altra novità riguarda la detrazione per “bonus Facciate” con detrazione del 90% per le spese riguardanti gli interventi finalizzati al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici esistenti;
– credito d’imposta per monopattini elettrici e servizi di mobilità elettrica, necessario avere rottamaio almeno due autovetture per aver diritto ad un credito d’imposta di importo massimo di 750 euro per le spese sostenute dal 1 ° agosto 2020 al 31 dicembre 2020 per l’acquisto di monopattini elettrici, biciclette elettriche o muscolari, abbonamenti al trasporto pubblico, servizi di mobilità elettrica in condivisione o sostenibile;
– due per mille alle associazioni culturali, nuovo riquadro nel modello 730-1 per destinare nuovamente il due per mille a favore delle associazioni culturali iscritte in un apposito elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
2. GLI EFFETTI DELL’EMERGENZA SANITARIA SUI BILANCI 2020
La legislazione emergenziale (art. 7 del D.L. n. 23 dell’8 aprile 2020) ha stravolto le regole codicistiche inerenti i criteri di valutazione delle poste in bilancio nella prospettiva della continuazione dell’attività (art. 2423-bis, comma 1, n. 1, c.c.).
Infatti, la funzione informativa del bilancio volta al buon governo societario è risultata ampiamente vulnerata dal suddetto precetto normativo. L’art. 7 del D.L. n. 23/2020 ha attribuito all’imprenditore la facoltà di derogare all’applicazione dei criteri di valutazione degli elementi del bilancio nella prospettiva della continuazione dell’attività. Va ricordato come il documento OIC n. 11, ai paragrafi 23 e 24, prevede che la deroga alla valutazione nell’ottica della prosecuzione dell’attività è ammessa solo in due casi:
– quando non vi sono ragionevoli alternative alla cessazione dell’attività;
– qualora sia accertata dagli amministratori la verificazione di una causa di scioglimento.
L’emergenza sanitaria ha così autorizzato il legislatore ad inserire una non circoscritta deroga attuabile solo se la società ha chiuso ed approvato prima del 23 febbraio 2020 un bilancio con criteri di continuazione dell’attività (v. OIC n. 6). Gli amministratori, qualora optino per l’applicazione della suddetta eccezione, dovranno motivare la stessa in modo analitico in seno alla nota integrativa.
Il legislatore ha altresì disciplinato, in deroga ai precetti codicistici, la gestione delle riduzioni del capitale delle società di capitali (art. 6 del D.L. n. 23 dell’8 aprile 2020). Le ipotesi regolamentate dall’art. 6 del D.L. n. 23/2020 sono due:
– la perdita superiore ad 1/3 del capitale sociale;
– la perdita che erode il capitale sociale al di sotto del minimo legale (50.000 euro per le S.p.A. mentre l’importo è 10.000 euro per le S.r.l. ordinarie e da 1 a 9.999 euro per le S.r.I.s.).
In entrambi i casi non opera alcuna causa di scioglimento per la perdita verificatasi e la stessa può essere sanata entro il quinto esercizio successivo. Nell’ipotesi del capitale sociale diminuito al di sotto del minimo legale, l’amministratore deve convocare senza indugio l’assemblea. Nelle due fattispecie gli amministratori sono tenuti ad evidenziare e motivare la superiore scelta operativa nella nota integrativa. È bene evidenziare come la novella non abbia introdotto alcuno scudo penale in favore degli amministratori e dei sindaci che hanno proseguito l’attività d’impresa, nonostante la perdita, nel caso in cui intervenga il fallimento della società prima del ripianamento della perdita.
Infine, il binomio Governo-Parlamento ha attribuito agli amministratori la facoltà di derogare alla regola dell’ammortamento del costo delle immobilizzazioni in base alla residua possibilità di utilizzazione (art. 60, commi da 7-bis a 7-quinquìes, D.L. n. 104 del 14/08/2020). La novella, infatti, consente di non imputare ovvero di computare parzialmente le quote di ammortamento dei beni nell’esercizio in corso al 14 ottobre 2020. In tal caso il piano di ammortamento viene prolungato di un anno. L’OIC 9 esemplifica l’ipotesi di impossibilità di ampliamento del piano di ammortamento (ad esempio diritti di sfruttamento di un software a termine) nel qual caso occorrerà incrementare proporzionalmente le singole quote di ammortamento del piano esistente. L’applicazione della sospensione degli ammortamenti impone l’evidenza nella nota integrativa e l’iscrizione di una riserva indisponibile in bilancio, pari al valore delle quote di ammortamento non inserite nel conto economico, mediante l’utilizzo di riserve di capitale disponibili ovvero di utili futuri. Il problema posto dalla presente previsione è rappresentato dal mancato raccordo fiscale. Ciò significa che nella determinazione del reddito fiscale il contribuente dovrà computare anche le quote di ammortamento non inserite in bilancio in ragione della deroga emergenziale.
3. DICHIARAZIONE DEI REDDITI 2021: ULTERIORI CAUSE DI ESCLUSIONE DAGLI ISA PER IL 2020
Il decreto del 2 febbraio 2021 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 33 del 9 febbraio 2021, ha approvato delle modifiche all’applicazione degli indici sintetici di affidabilità fiscale (Isa) per il periodo d’imposta 2020, in particolare prevedendo nuove ulteriori cause di esclusione, al fine di tenere conto degli effetti di natura straordinaria della crisi economica conseguente all’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19 (come previsto dall’articolo 148 del D.L. n. 34 del 2020).
Il decreto prevede che, per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2020, gli Isa in vigore per il medesimo periodo d’imposta, non si applicano nei confronti dei soggetti:
– che hanno subito una diminuzione dei ricavi di cui all’articolo 85, comma 1, esclusi quelli di cui alle lettere c), d), e) ovvero dei compensi di cui all’articolo 54, comma 1, del Tuir (D.P.R. n. 917/1986), di almeno il 33% nel periodo d’imposta 2020 rispetto al periodo d’imposta precedente;
– che hanno aperto la partita IVA a partire dal 10 gennaio 2019;
– che esercitano, in maniera prevalente, le attività economiche individuate dai codici attività riportati nell’elenco di cui all’allegato 1 al decreto. Si tratta di 85 codici Ateco che riguardano essenzialmente operatori appartenenti ai settori del commercio e dei servizi (ad esempio attività di ristorazione, servizi alla persona, attività sportive, ecc.), i quali sono stati sottoposti alle misure di sospensione, più o meno prolungata, dell’attività, previste dai D.P.C.M. del 24 ottobre e del 3 novembre 2020. Tali ulteriori sospensioni si sono sommate, per questi specifici soggetti, alle chiusure definite nei D.P.C.M. del 9 marzo, dell’11 marzo e del 22 marzo 2020.
I precedenti criteri, seguiti per l’individuazione delle cause di esclusione, sono stati individuati in continuità logica con quelli adottati per l’individuazione dei soggetti destinatari di contributi a fondo perduto o di ristori, ad opera dei provvedimenti che si sono succeduti nel corso del 2020, per fronteggiare le difficoltà economiche che hanno interessato alcune categorie di soggetti particolarmente colpiti dall’emergenza epidemiologica da Covid-19. La metodologia seguita per individuare tali criteri è oggetto di una approfondita analisi riportata nell’allegato 2 al decreto.
II decreto del 2 febbraio 2021 prevede, inoltre, che i contribuenti esclusi dall’applicazione degli Isa, in base alle nuove ipotesi, sono comunque tenuti alla comunicazione dei dati economici, contabili e strutturali previsti dal comma 4 dell’articolo 9-bis del D.L. n. 50/2017, convertito dalla I. n. 96/2017; ciò al fine di garantire continuità alla banca dati Isa.
Si segnala che l’articolo 148 del D.L. n. 34 del 2020, c.d. decreto “Rilancio”, ha differito la data ultima per l’approvazione degli indici e per la loro eventuale integrazione, per il periodo d’imposta 2020, rispettivamente, al 31 marzo ed al 30 aprile 2021, al fine di tenere conto degli effetti della pandemia (in deroga a quanto previsto dall’articolo 9-bis, comma 2, del D.L n. 50 del 2017, in base al quale gli Isa sono approvati entro il 31 dicembre del periodo d’imposta per il quale sono applicati).
Nella stessa data del 2 febbraio, infatti, è stato emanato un ulteriore decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 42 del 19 febbraio 2021, supplemento ordinario n. 12, con il quale sono stati approvati 87 nuovi indici di affidabilità fiscale, validi a partire dal periodo d’imposta 2020. In particolare, 2 di essi sono relativi al comparto dell’agricoltura, 21 al comparto del commercio, 5 alle attività professionali, 37 all’area dei servizi e 22 al comparto delle manifatture. Con tale decreto, all’articolo 3, sono state confermate alcune cause di esclusione dall’applicazione degli Isa, già previste per i precedenti periodi di imposta, cui si aggiungono quelle straordinarie legate all’emergenza Covid-19, analizzate in precedenza.
4. PRINCIPALI NOVITÀ IVA PER IL 2021
4.1 Registrazioni delle fatture per i contribuenti con liquidazione trimestrale dell’IVA
L’art. 1, comma 1102 della legge di Bilancio 2021 modifica l’articolo 7 del D.P.R. n. 542 del 14 ottobre 1999 che prevede la possibilità per i contribuenti minori di effettuare trimestralmente, anziché mensilmente, le liquidazioni periodiche e i relativi versamenti dell’imposta. il nuovo comma 3-bis introdotto dalla disposizione in esame prevede che l’obbligo di annotazione nel registro delle fatture emesse possa essere adempiuto entro la fine del mese successivo al trimestre di effettuazione delle operazioni. A titolo di esempio, una fattura emessa in data 10 gennaio 2021 deve essere annotata nei registri entro il 30 aprile 2021; tale fattura concorre alla liquidazione IVA del primo trimestre 2021.
4.2 Dichiarazione precompilata IVA
L’articolo 16 del decreto legge n. 124 del 26 ottobre 2019 (decreto fiscale 2019), sostituendo integralmente l’articolo 4 del decreto legislativo n. 127 del 5 agosto 2015 prevede che a partire dalle operazioni IVA effettuate dal 10 luglio 2020, in via sperimentale, nell’ambito di un programma di assistenza on line basato sui dati delle operazioni acquisiti con le fatture elettroniche e con le comunicazioni delle operazioni transfrontaliere nonché sui dati dei corrispettivi acquisiti telematicamente, l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione dei soggetti passivi dell’IVA residenti e stabiliti in Italia, in apposita area riservata del sito internet dell’Agenzia stessa, le bozze dei seguenti documenti:
– registri delle fatture e degli acquisti (articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 26 ottobre 1972);
– comunicazioni delle liquidazioni periodiche dell’IVA.
Successivamente l’articolo 142 del decreto legge n. 34/2020 ha disposto lo slittamento dell’avvio della fase sperimentale alle operazioni IVA effettuate dal 1° gennaio 2021. L’articolo 1, comma 1106 della legge di Bilancio 2021 introduce alcune norme volte a integrare le disposizioni che disciplinano la consultazione e la predisposizione da parte dell’Agenzia delle Entrate dei documenti precompilati IVA. Nel dettaglio la lettera a) del comma 1106 specifica che per la predisposizione dei citati documenti precompilati IVA, l’Agenzia può utilizzare – oltre ai dati provenienti dalle operazioni acquisite con le fatture elettroniche e con le comunicazioni, da quelle transfrontaliere e dai corrispettivi acquisiti telematicamente – anche i dati fiscali presenti nel sistema dell’Anagrafe Tributaria.
La lettera b) del comma 1106 chiarisce che gli intermediari abilitati, per accedere ai documenti precompilati IVA per conto dei clienti, devono essere in possesso della delega per l’utilizzo dei servizi di fatturazione elettronica.
4.3 Cenni sulle novità IVA per vaccini Covid-19 e strumentazione per diagnostica
I commi 452 e 453, della legge di Bilancio 2021 esentano da IVA dal 1 ° gennaio 2021 al 31 dicembre 2022:
– le cessioni della strumentazione per diagnostica per Covid-19, sia le prestazioni di servizi strettamente connesse;
– le cessioni di vaccini anti Covid-19, autorizzati dalla Commissione Europea o dagli Stati membri, e le prestazioni di servizi strettamente connesse a detti vaccini.
Per tali novità e le altre misure in ambito IVA previste dall’articolo 124 del D.L n. 34/2020, tese al contrasto della pandemia, si rimanda alla lettura dell’approfondimento del 29 gennaio 2021 a cura della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
5. SUPERBONUS, FINO AL 30/06/2022 GLI INTERVENTI SUPERAGEVOLATI
Il rilancio dell’edilizia, motore trainante della ripartenza economica, passa dalla legge di Bilancio del 2021 con la proroga al 30 giugno del termine ultimo per sostenere le spese per interventi di efficientamento energetico o adeguamento antisismico, che consentano di detrarre il 110% sulle spese sostenute, e con altri piccoli dettagli che rendono tali interventi altamente convenienti. Allo stesso tempo, però, il rispetto della normativa e degli adempimenti sono molto rigorosi: ragion per cui la scelta dei tecnici asseveranti, e dei professionisti che in caso di cessione ovvero sconto in fattura asseverano il rispetto dei presupposti normativi all’Agenzia delle Entrate, non può essere lasciato al caso.
Tra i soggetti abilitati dalla norma ad asseverare nei casi appena descritti, che includono poi la stragrande maggioranza degli interventi in Superbonus, rientrano i Consulenti del Lavoro, già titolati da tempo all’asseverazione fiscale e all’apposizione del visto di conformità, che ora possono contare su una nuova opportunità professionale da spendere in questi quindici mesi che ci separano, per il momento, alla scadenza delle agevolazioni. Se lo sconto in fattura, poco applicato, e la cessione del credito agli istituti di credito (in primis) sono le opzioni maggiormente esercitate dai contribuenti che accedono a tale agevolazione, la detrazione in proprio del bonus maturato resta la scelta più conveniente in presenza, però, di una capienza di imposta che contenga l’intero bonus concesso. L’agevolazione, infatti, si detrae in cinque annualità ed ottenere il 10% di montante sulle spese effettuate in un arco temporale così limitato diventa, egli stesso, un investimento doppiamente conveniente: in termini di maggiore efficienza dell’immobile e di un rendimento aggiuntivo, su quanto investito, impossibile da ottenere per operazioni non speculative.
Il sistema bancario, fortemente interessato alla cessione del credito, registra di contro una sorta di “cartello” nei confronti delle richieste di cessione da parte dei contribuenti (si rammenta che con la cessione la banca restituisce al richiedente l’importo concesso a titolo di bonus al netto di oneri e commissioni) con l’applicazione di circa il 10% sulle operazioni di Superbonus ad eccezione di Poste Italiane che, ad oggi, risultano di gran lunga più convenienti sia per la percentuale di oneri applicata, (generalmente non oltre il 5%), sia per la rapidità dell’iter di richiesta che, completamente online, si esaurisce in pochi giorni.
6. INCENTIVI ALL’ASSUNZIONE ED EFFICACIA OCCUPAZIONALE DEGLI SGRAVI
Negli ultimi anni il legislatore ha introdotto numerose tipologie di incentivi volti a promuovere forme di occupazione stabile e, di conseguenza, incrementare le assunzioni a tempo indeterminato dei lavoratori nel nostro territorio. L’ultimo tentativo introdotto in merito a tale fattispecie, si riscontra con la legge n. 178/2020 (legge di Bilancio 2021), entrata in vigore dal 10 gennaio 20021.
Il piano di incentivi contributivi per le nuove assunzioni, introdotto nella legge n. 178/2020, prosegue e in parte arricchisce la struttura già in essere delle agevolazioni che, diversamente dalle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015, risulta fortemente orientata a promuovere occupazione stabile tra i segmenti più marginali del mercato del lavoro, in particolare i giovani e le donne. Con particolare riferimento all’occupazione giovanile stabile, all’art. 1, commi da 10 a 15 della suddetta legge, è stato disposto che, per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e per le trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato effettuate nel biennio 2021-2022, l’esonero contributivo di cui all’articolo 1, commi da 100 a 105 e 107, della legge n. 205 del 27 dicembre 2017 è riconosciuto nella misura del 100%, per un periodo massimo di 36 mesi, nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro annui, con riferimento ai soggetti che alla data della prima assunzione incentivata non abbiano compiuto il trentaseiesimo anno di età.
Sul tema è importante rammentare che l’articolo 1, commi da 16 a 19, della medesima legge n. 178/2020 ha previsto, in via sperimentale, l’esonero contributivo totale per l’assunzione di donne. In verità, non si tratta di una agevolazione del tutto nuova, in quanto richiama espressamente quella già prevista dalla legge n. 92 del 28 giugno 2012 – cd. legge Fornero – che, sin dal 2013, prevede una riduzione del 50% dei contributi a carico del datore che assuma lavoratrici in determinate condizioni soggettive. La novella disciplina, ora, ha stabilito che l’esonero contributivo di cui all’articolo 4, commi da 9 a 11, di quella legge, nel periodo 2021-2022, si applichi nella misura del 100% dei contributi a carico del datore di lavoro, nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro annui. Salvo le specifiche disposizioni previste dalla stessa legge di Bilancio, la normativa applicabile è pertanto quella prevista dalla legge n. 92/2012.
Tutto ciò premesso, è lecito interrogarsi sul possibile andamento futuro di tali misure, in un anno, il 2021, in cui si assisterà presumibilmente alla perdita di oltre un milione di posti di lavoro nelle sole piccole e medie imprese italiane.
Appare altresì legittimo sollevare qualche perplessità in merito all’opportunità di proseguire su una logica di intervento per target generazionali e di genere, oltre che territoriale, in un momento in cui la crisi occupazionale presenta un effetto trasversale sulla platea dei lavoratori. L’inclinazione del legislatore di incentivare le assunzioni di specifiche categorie, peraltro, può produrre un effetto negativo occupazionale per una quota consistente di potenziali lavoratori, le cui assunzioni a tempo indeterminato non sono incentivate.
Pur condividendo la ratio ispiratrice della norma, volta ad incentivare l’assunzione di soggetti rientranti in categorie più svantaggiate, risulta necessario introdurre disposizioni volte ad una gestione più flessibile dei rapporti di lavoro, contribuendo così ad aumentare la produttività e la competitività delle imprese e riducendo in modo sostanziale il costo del lavoro. È anche importante individuare una regolazione finalizzata a rispondere in modo efficace alle richieste di un mercato che, complice la crisi sanitaria, sta velocemente cambiando. In tal senso sarà utile prevedere opportune misure che possano essere di ausilio per rispondere ai nuovi modelli organizzativi del lavoro subordinato.
7. INCENTIVI E TEMPORARY FRAMEWORK
La maggior parte degli incentivi introdotti dai provvedimenti collegati all’emergenza epidemiologica, da ultimi anche nella legge di Bilancio 2021, sono stati concessi facendo riferimento alla comunicazione della Commissione Europea C (2020) 1863 final, del 19 marzo 2020, recante un “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del Covid-19” – cd. Temporary Framework – ed in particolare alla sezione 3.1. Tale comunicazione è stata adottata dalla Commissione per fornire una risposta economica coordinata dei Paesi dell’Unione all’emergenza epidemiologica e individua specifiche condizioni di compatibilità con la normativa europea degli aiuti di Stato concessi nel quadro dell’emergenza.
Il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come è noto, agli articoli 107 e seguenti disciplina gli aiuti di Stato fissando le regole ed autorizzazioni per la concessione. Col Temporary Framework la Commissione è intervenuta per introdurre una disciplina derogatoria ulteriore e straordinaria rispetto a quelle già esistenti (es. regolamento (UE) De Minimis o Reg. sugli aiuti generale di esenzione per categoria reg. (UE) n. 651/2014). La predetta disciplina derogatoria si applica a tutte quelle ipotesi in cui il legislatore prevede la concessione degli incentivi, richiamando il Temporary Framework, e comporta l’obbligo di rispettare le condizioni previste.
Prima di analizzare le condizioni, occorre preliminarmente ricordare che la Commissione Europea ha apportato cinque modifiche alla Comunicazione Europea C (2020) 1863 final del 19 marzo 2020. In particolare, le modifiche sono state apportate con:
– Comunicazione della Commissione del 3 aprile 2020, C (2020) 2215;
– Comunicazione della Commissione dell’8 maggio 2020, C (2020) 3156;
– Comunicazione della Commissione del 29 giugno 2020, C (2020) 4509;
– Comunicazione della Commissione del 13 ottobre 2020, C (2020) 7127;
– Comunicazione della Commissione del 28 gennaio 2021, C (2021) 564.
Le condizioni fondamentali per la concessione e l’utilizzo delle misure di aiuto concesse in base alla sezione 3.1 del TF prevedono:
– un termine entro cui gli incentivi devono essere concessi;
– il plafond di aiuti che possono essere concessi ad un’impresa (per impresa occorre fare riferimento alla definizione comunitaria d’impresa);
– la verifica che il beneficiario non fosse un soggetto già in difficoltà al 31 dicembre 2019, sempre secondo le regole previste dalla disciplina comunitaria.
Sotto il primo profilo, gli incentivi devono essere concessi entro il 31 dicembre 2021. Il totale degli aiuti non deve invece superare 1.800.000 euro per ciascuna impresa (al lordo di qualsiasi imposta o altro onere), ovvero non superiore a 270.000 euro per ciascuna impresa operante nel settore della pesca e dell’acquacoltura, ovvero non superiore a 225.0 euro per ciascuna impresa operante nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli. Per impresa deve intendersi la singola unità economica e quindi occorre fare riferimento all’impresa unica (cfr. art. 2, par. 2 Reg. (UE) n. 1407/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013).
Nel calcolare l’importo totale degli aiuti, occorre computare solo quelli concessi ai sensi del TF per cui non occorre considerare quelli riconosciuti ai sensi del Reg. (UE) n. 651/2014 ovvero del Regolamento De Minimis. L’altra condizione prevede che gli aiuti non possono essere concessi ad imprese che risultavano già in difficoltà al 31 dicembre 2019. È prevista peraltro una deroga a tale condizione nel caso di microimprese o piccole imprese in quanto gli aiuti possono essere concessi anche a quelle che risultavano già in difficoltà al 31 dicembre 2019, purché non siano soggette a procedure concorsuali per insolvenza ai sensi del diritto nazionale e non abbiano ricevuto aiuti per il salvataggio o aiuti per la ristrutturazione. È utile ricordare che le imprese in difficoltà sono quelle così definite dall’art. 2 p. 18 Reg. (UE) n. 651/2014. Per l’individuazione delle microimprese o piccole imprese si veda il decreto del Ministero delle Attività produttive del 18 aprile 2005, che recepisce la raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE del 6 maggio 2003 relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese.
Dalla comunicazione del 19 marzo la Commissione ha apportato ben cinque modifiche, l’ultima delle quali è quella del 28 gennaio 2021, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 1° febbraio 2021.
Alla luce di tutte le modifiche introdotte e tenendo conto in particolare dell’ultima, particolarmente rilevante, è stato:
– esteso l’arco temporale in cui è possibile concedere gli aiuti sulla base del TF: 31 dicembre 2021 (originariamente il termine era 31 dicembre 2020, poi 30 giugno 2021, infine 31 dicembre 2021);
– è stato incrementato il plafond, il limite massimo di aiuti concedibili: da 800.000 euro per la generalità d’imprese (per alcuni settori il limite è più basso) è stato elevato a 1,8 milioni.
La disciplina sugli aiuti di Stato e la verifica delle condizioni previste dai regolamenti derogatori prevede che il perimetro di osservazione debba riguardare le regole di concessione applicabili e le eventuali scelte dall’impresa beneficiarie. Pertanto, il limite va verificato in relazione ai soli aiuti concessi ai sensi della comunicazione TF del 19 marzo 2020, senza cumulare gli aiuti concessi ad esempio con la regola De Minimis. A questo proposito, è utile segnalare un documento di prassi che conferma quanto affermato: la circolare n. 5531 del Dipartimento per le Politiche Europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 18 giugno 2020. Tale documento conferma altresì che il calcolo del limite massimo debba essere individuato tenendo conto non solo dell’impresa beneficiaria, ma facendo riferimento al concetto di singola unità economica (cioè l’impresa unica). Su questo punto si è pronunciata più volte la Corte di Giustizia di Strasburgo, che sostanzialmente ha affermato come occorra tenere conto anche di quelle controllate o collegate. Si ricordi, infine, che la nostra legislazione prevede quali siano le imprese controllate e collegate all’art. 2359 del codice civile.
8. SUL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO
In via preliminare sul tema del contratto a tempo determinato si sottolinea che la disposizione dell’art. 1, c. 279, L. 178/2020 non è sostitutiva della disciplina dell’art. 93 D.L. n. 34/2020. Le due norme prese in considerazione sono:
– art. 93 del D.L. n. 34/2020: In conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, in deroga all’articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 e fino al 31 dicembre 2021, ferma restando la durata massima complessiva di ventiquattro mesi, è possibile rinnovare o prorogare per un periodo massimo di dodici mesi e per una sola volta i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
– art. 1, comma 279 della L. n.178/2020: All’articolo 93 del decreto legge 19 maggio 2020 n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, al comma 1, le parole:
«31 dicembre 2020» sono sostituite dalle seguenti: «31 marzo 2021».
Da quanto sopra si evince che fino al 31 marzo 2021, in deroga all’art. 21 del decreto legislativo n. 81/2015, è possibile prorogare o rinnovare contratti a tempo determinato per un periodo massimo di 12 mesi e per una sola volta, nel rispetto del termine di durata massima di 24 mesi senza necessità delle causali di cui all’articolo 19, comma 1, dello stesso decreto legislativo.
Prendendo spunto dalla nota INL n. 713/2020:
– si ritiene che la disposizione permetta la deroga alla disciplina sul numero massimo di proroghe e sul rispetto dei cosiddetti “periodi cuscinetto”. Ne consegue che laddove il rapporto sia stato oggetto di quattro proroghe sarà comunque possibile prorogarne ulteriormente la durata per un periodo massimo di 12 mesi così come sarà possibile rinnovarlo anche prima della scadenza del cosiddetto periodo cuscinetto sempre nel rispetto della durata massima di 24 mesi;
– si ritiene che il termine del 31 marzo 2021 sia riferito esclusivamente alla formalizzazione della proroga o del rinnovo. Il rapporto può, quindi, proseguire anche nel 2021 o 2022.
Inoltre, non è consentito adottare la nuova proroga o il rinnovo “agevolato” qualora il medesimo rapporto di lavoro sia stato prorogato o rinnovato in applicazione del previgente art. 93 del D.L. n. 34/2020 (ciò perché la norma della legge di bilancio, come sopra specificato, non è sostitutiva della disciplina dell’art. 93 citato).
Il rinnovo in deroga assistita ex art. 19, c. 3, D.Lgs. n. 81/2015 richiede la presenza delle condizioni (cfr. INL note 713/2020 – 81/2019). Si ricorda che l’art. 93, comma 1 – bis, D.L. n. 34/2020, secondo il quale i contratti di apprendistato non professionalizzante e i contratti di lavoro a termine (anche in regime di somministrazione) devono essere prorogati in misura equivalente al periodo per il quale i medesimi lavoratori erano stati sospesi dall’attività in ragione delle misure di emergenza epidemiologica da Covid-19, il 15 agosto 2020 è stato abrogato. Ebbene la proroga automatica testé menzionata è neutra ai fini della durata massima dei 24 mesi (Cfr. INL nota 713/2020).
La legislazione emergenziale ha natura provvisoria; tuttavia, la sospensione dell’applicazione del decreto dignità per oltre un anno suggerisce le seguenti considerazioni:
– l’attuale declinazione del contratto a tempo determinato è inidonea a supportare una ripresa economica delle aziende e del Paese; diversamente non ne sarebbe stata sospesa l’operatività;
– occorrerebbe quantomeno: 1) portare la acausalità a 24 mesi; 2) introdurre le causali per successivi 12 mesi; 3) eliminare la causalità dei rinnovi.
8.1 Sul blocco licenziamenti: le eccezioni ex art. 1 comma 311 legge 178/2020
Le sospensioni e le preclusioni di cui ai commi 309 e 310 della legge n. 178/2020 non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile, o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo. A detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1 del decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015 (NASpI). Rispetto a quanto sopra, si precisa che deve trattarsi di cessazione definitiva dell’attività d’impresa, conseguente alla messa in liquidazione della società, non essendo, a tale scopo, sufficiente la chiusura di una o più unità produttive. Per quanto concerne l’ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, va detto che l’adesione del lavoratore potrà essere espressa in una delega esplicita al sindacato e in un successivo accordo individuale (sottoscritto in sede protetta) di recepimento del menzionato accordo collettivo aziendale.
Importante, infine, ricordare che sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
9. I TRATTAMENTI CIG COVID-19
L’art. 11, comma 10-bis, del decreto legge n.183/2020, c.d. “Milleproroghe 2021”, stabilisce – entro determinati limiti di spesa – che i termini di decadenza per l’invio delle domande di accesso ai trattamenti di integrazione salariale collegati all’emergenza epidemiologica da Covid-19 e i termini di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi, scaduti entro il 31 dicembre 2020, sono differiti al 31 marzo 2021.
Per l’applicazione della disposizione si ritiene necessario un chiarimento della prassi Inps al fine di conoscere quali saranno le soluzioni tecnico-procedurali ammesse, atteso il susseguirsi delle disposizioni d’urgenza che, nel 2020, hanno regolamentato il ricorso agli ammortizzatori emergenziali.
La confusione che si è determinata al riguardo ha sollecitato la necessità di una riforma più ampia, inerente all’intero settore degli ammortizzatori sociali. Sebbene la riforma degli ammortizzatori sociali in costanza di lavoro, attuata con il D.Lgs. n. 148/2015, abbia recato lo scopo di razionalizzare e riordinare la normativa in materia, collocando in un unico testo di legge le diverse disposizioni alluvionalmente sedimentatesi nell’ordinamento dagli anni ’40 del Millenovecento, si registrano ad oggi almeno 50 diversi tipi di intervento se consideriamo anche la cassa integrazione in deroga di competenza delle Regioni e i diversi Fondi di solidarietà bilaterali.
Da questo si ricava che la razionalizzazione auspicata dal D.Lgs. n. 148/2015 ha fallito in radice, in quanto si individuano situazioni normative, procedimentali e informatiche diverse e tali da imporre l’emanazione di una costante ed estenuante prassi amministrativa spesso legata anche alle necessarie modificazioni dei sistemi informatici.
Un esempio della confusione originata dalla prassi può essere ricavato dalla recente circolare n. 28/2021 dell’lnps che, riguardo all’assegno ordinario del FIS di cui alla legge n. 178/2020, ha modificato l’originario orientamento relativamente al requisito occupazionale necessario per accedervi. In particolare, l’atto di prassi ha disposto che, in discontinuità con quanto previsto al paragrafo 3, quarto capoverso, della circolare Inps n. 84/2020, l’assegno ordinario venga concesso ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque addetti nel semestre precedente la data di inizio del periodo di sospensione. Secondo tale presupposto, un datore di lavoro, che a gennaio avesse rilevato di aver occupato mediamente meno di cinque dipendenti nel semestre precedente, ai fini della valutazione delle nuove richieste di assegno ordinario per periodi che presentino o meno soluzione di continuità, avrebbe dovuto tener conto del requisito occupazionale posseduto al momento della definizione della nuova domanda e non più della prima domanda ancorché la stessa fosse stata presentata nel 2020.
Atteso che la richiamata circolare n. 28 reca la data del 17 febbraio 2021, un datore di lavoro che avesse già presentato l’istanza avrebbe dovuto, in caso di modifica del numero degli addetti, presentare una nuova istanza a seguito del provvedimento conseguentemente adottato dall’lnps.
La fitta e tempestiva interlocuzione del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro con i vertici dell’Istituto ha portato ad una importante semplificazione. Infatti, con il messaggio n. 769 del 23 febbraio 2021 l’Istituto ha precisato che la valutazione del requisito dimensionale, per determinare l’ammortizzatore invocabile (assegno ordinario o cassa integrazione in deroga), sarà necessaria esclusivamente per le domande proposte da datori di lavoro che non hanno precedentemente richiesto l’assegno ordinario. Con ciò significando che nulla è cambiato per i datori di lavoro che nel corso del 2020 hanno richiesto l’assegno ordinario, i quali dovranno tener conto del requisito al momento della prima domanda.
Sotto un diverso profilo e per un diverso argomento, tra l’altro, sono sorti numerosi dubbi in merito all’accreditamento figurativo conferito per i periodi ammessi ad integrazione salariale o assegno ordinario. Sul punto si deve osservare che l’accredito dei contributi figurativi può essere effettuato qualunque sia la durata dell’ammortizzatore sociale invocato. Tale meccanismo di salvaguardia della futura pensione dei lavoratori con orario ridotto o sospensione dovuta a contrazione delle attività produttive con erogazione di ammortizzatori sociali opera, non solo per le forme classiche di cui al D.Lgs. n. 148/2015, ma anche per le soluzioni emergenziali Covid-19.
Il dipendente ha quindi diritto alla copertura figurativa per tutte le ore di sospensione o riduzione di orario come se avesse lavorato. Pertanto, l’anzianità contributiva matura ai fini del diritto alla pensione, nello stesso modo, sia per integrare il requisito dei 20 anni di anzianità contributiva per la pensione di vecchiaia, sia per il maggiore requisito contributivo (41 anni e 10 mesi le donne oppure 42 anni e 10 mesi per gli uomini, i 41 anni per i precoci o 38 anni per quota 100) per la pensione anticipata, ma anche per tutte le pensioni derogatorie, come Quota 100 o opzione donna.
Si potrà osservare che la materia degli ammortizzatori sociali è divenuta estremamente complessa. Ne deriva la necessità di una revisione complessiva del sistema in modo tale da determinare una reale semplificazione ad ampio spettro, operando sui fronti tecnico, normativo, informatico e di coordinamento, nel quale siano coinvolti anche i Consulenti del Lavoro.
10. SMART WORKING, DAI NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI ALL’IMPATTO SULLE AZIENDE
Non è una questione di mera semantica il distinguere lo smart working dall’home working o lavoro da remoto. Se, infatti, le aziende non si impegnano a comprendere cosa distingue un modello organizzativo dall’altro rischiano di introdurre un modello che genera inadeguatezza da un punto di vista organizzativo e di gestione del business. Sappiamo bene che spesso le aziende valorizzano la presenza confondendola con la fedeltà, e addirittura le performonces assumono una funzione meramente complementare. Sono i leader per primi a dover modificare i propri scenari e a dover modificare, di conseguenza, l’approccio al lavoro delle persone che rispondono al loro potere direttivo al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati.
Sono due gli elementi cardine di questo nuovo modello organizzativo: da un lato l’assunzione di responsabilità dello smart worker che, nella discrezionalità di poter determinare luoghi e tempi di lavoro deve comunque avere l’obiettivo di perseguire nel migliore dei modi i traguardi che si è posto, dall’altro la fiducia del leader che lo coordina e che lo rende ingranaggio di un team. Questo nuovo modello organizzativo impone quindi una definizione di obiettivi chiari e misurabili sui quali valutare l’operato delle persone, di scadenze e modalità di verifica dei risultati che debbono essere ricondotti e cristallizzati in accordi individuali e /o collettivi (anche sindacali). Ulteriormente imprescindibile è un alert sul tema della formazione e dello sviluppo delle persone facendo particolare attenzione anche alla comunicazione che rimane il grande problema di questo modello organizzativo: bisogna creare un modello comunicativo che permetta una “contaminazione positiva” del team attraverso il recupero delle relazioni individuali. Il riferimento normativo è la legge n. 81/2017 che esplicita chiaramente che la ratio della norma è la conciliazione dei tempi di vita e lavoro ma, in realtà, apporta novità ben più consistenti: il sinallagma tipico del lavoro subordinato, retribuzione a fronte di prestazione lavorativa in un determinato luogo e tempo, si modifica.
Da un punto di vista giuridico siamo di fronte ad una svolta epocale, una rivoluzione dei paradigmi del lavoro subordinato, uno scardinamento degli archetipi degli ultimi due secoli. Un’inversione del paradigma per cui si retribuisce il tempo a prescindere dai risultati, per lasciare il passo invece ad una valutazione dei risultati a prescindere del tempo occorso per raggiungerli. È possibile descriverla con quello che può sembrare la formula: you get what you measure. Per la prima volta sono le performances ad essere valutate. Non può essere sfuggito che vi è una deriva (per certi aspetti pericolosa) verso le caratteristiche del rapporto di lavoro autonomo. E questo è un bene. Il pericolo risiede nel fatto che potrebbe verificarsi una inversione di rotta dei contenziosi. La prestazione di collaborazione coordinata e continuativa più genuina che esiste, quella per cui il collaboratore presta effettivamente la propria prestazione dove vuole, quando vuole, con un obbligo di risultato e con il mero coordinamento da parte del committente, potrebbe essere rivendicata quale lavoro subordinato in modalità di smart working. Significa che quelli che sono gli indicatori residuali di subordinazione acquisiranno maggiore rilievo rispetto a quelli di presunzione di automatica riconduzione alla fattispecie lavoro subordinato previsti dal D.Lgs n. 81/2015. Altro elemento che impatta a livello giuridico è il fatto che questo modello organizzativo ammette, anzi impone, una valutazione delle performance del lavoratore e per questo (novità in quello che è l’impianto giuridico e giurisprudenziale contemporaneo) sarà possibile finalmente andare nella direzione della contestazione dello “scarso rendimento” che ad oggi è una chimera, una fantasticheria.
11. IL TEMA VACCINI NELLA BATTAGLIA CONTRO LA PANDEMIA
Il tema dei vaccini è centrale nella battaglia contro la pandemia, non soltanto per le ovvie ragioni di tutela della salute e per il fatto che la vaccinazione si profila quale unica arma possibile per debellare definitivamente il virus, ma anche per le implicazioni che ne derivano in connessione con la gestione del rapporto di lavoro.
Al netto, cioè, della polemica sulla gestione della vaccinazione e sulla disponibilità delle dosi, un tema che ha coinvolto sempre più gli operatori del diritto è quello della possibilità di ritenere o meno il vaccino quale profilassi obbligatoria per consentire l’accesso sul luogo di lavoro e se, in generale, sia prospettabile un qualche provvedimento disciplinare nei confronti dei lavoratori che nonostante l’invito del datore di lavoro, e gli ovvi vantaggi che ne deriverebbero in termini di sicurezza dal contagio, rifiutano di sottoporsi al vaccino anti Covid-19. Se si trascurano alcuni slanci intraprendenti, provenuti da parte della dottrina pure autorevole, che si è spinta addirittura a contemplare il rifiuto del vaccino quale giusta causa di licenziamento, le opinioni sono tutte ragionevolmente ricondotte nel senso di non assegnare tale gravità al diniego. Ciò alla luce di una serie di riflessioni oggettive, per la verità tutte condivisibili, nonostante la conferma della importanza della vaccinazione. Queste si fondano tutte sostanzialmente sull’impossibilità di considerare una violazione, tanto meno apprezzabile dal punto di vista disciplinare, addirittura sino a giustificare il licenziamento del lavoratore, un rifiuto di un obbligo soltanto presunto (l’inoculazione del vaccino) e tuttavia non previsto da nessuna disposizione di legge.
Risulta pacifico, infatti, che nell’impianto costituzionale del nostro ordinamento, anche la tutela della salute non può consentire di prevaricare quelli che sono i principi fondamentali della tutela della libertà personale, per effetto dei quali un obbligo di vaccinazione come quello auspicato avverso il Covid-19 è plausibile, ma deve essere espressamente codificato da una norma di legge che lo imponga. In assenza di questa, la vaccinazione non è un obbligo e il suo rifiuto non può essere oggetto di provvedimento disciplinare. Tutt’al più, laddove dovessero sussistere esigenze specifiche che richiedano la vaccinazione dei lavoratori, in ragione delle particolari condizioni di lavoro o della prestazione lavorativa stessa, l’assenza della vaccinazione comporterebbe per il datore di lavoro la necessità di assegnare il lavoratore senza profilassi ad altre mansioni, compatibili con il suo status. A tal fine però, come ha chiarito di recente l’Autorità garante per la tutela dei dati personali, il datore di lavoro non può svolgere alcuna indagine per verificare il possesso o meno di questo particolare requisito in capo ai propri dipendenti. Il compito di individuare eventualmente la necessità di sottoporre a vaccinazione il personale o una parte di esso, in funzione di determinate e specifiche esigenze, è da ritenersi riconosciuta in via esclusiva in capo al medico competente, che in virtù delle attribuzioni che gli sono riconosciute dal Testo Unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (D.Lgs. n. 81/2008), determina le condizioni di obbligatorietà della vaccinazione. Neppure lui però potrà comunicare queste informazioni al datore di lavoro, che in caso di rifiuto del vaccino, non potrà acquisirle neppure dai diretti interessati, dovendo arrestarsi alla notifica di una eventuale inidoneità alle mansioni, senza ulteriore specifica delle ragioni che l’hanno determinata.
Su questa scia, di recente, il caso degli infermieri liguri che, proprio a causa della particolarità della loro occupazione lavorativa, erano stati inclusi tra i vaccinandi in via prioritaria, ma che si erano rifiutati ed avevano contratto il virus. Si è perciò posto il problema della possibilità di configurare il contagio quale infortunio sul lavoro, essendo acclarato il luogo e l’occasione del contagio, considerato il rifiuto del vaccino.
Tuttavia l’Inail, sulla scorta delle riflessioni precedenti, ha confermato anche per queste particolari categorie la possibilità di rifiutare il vaccino, ritenendo che (nota dell’Istituto del 1° marzo 2021) “il rifiuto di sottoporsi al vaccino, espressione comunque della libertà di scelta del singolo individuo, non può comportare l’esclusione per l’infortunato dalla tutela Inail”. Anche se a rifiutarlo sono degli operatori sanitari.
12. FONDO NUOVE COMPETENZE PER LA FORMAZIONE DEI LAVORATORI
L’Anpal ha recepito il decreto interministeriale del 22 gennaio 2021, che proroga al 30 giugno 2021 il termine per accedere ai contributi a fondo perduto per la formazione e la riqualificazione professionale dei lavoratori e modificato una serie di scadenze per garantire la chiusura delle attività entro fine anno. La data del 30 giugno 2021, specifica il decreto direttoriale dell’Anpal, in attuazione di quanto già previsto dal provvedimento del Ministero del Lavoro e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, vale sia come termine ultimo per la sottoscrizione degli accordi collettivi per la rimodulazione dell’orario di lavoro e la realizzazione dei percorsi formativi che per la presentazione delle domande di accesso al Fondo nuove competenze.
12.1 Come funziona
Istituito dal decreto “Rilancio” con una dotazione iniziale di 230 milioni di euro a valere sul Programma Operativo Nazionale SPAO 2014-2020. il Fondo nuove competenze è stato rifinanziato dal D.L. n. 104/20, con ulteriori 200 milioni di euro per l’anno 2020 e altri 300 milioni di euro per l’anno 2021. Per la formazione dei lavoratori c’è quindi un tesoretto di 730 milioni, che potrà essere incrementato con risorse messe a disposizione dalle Regioni, dai Programmi operativi nazionali e regionali (PON e POR) del Fondo Sociale Europeo (FSE) e dai Fondi paritetici interprofessionali, e che nelle intenzioni del precedente Governo avrebbe attinto anche ai fondi europei del Recovery Pian.
L’obiettivo dello strumento è permettere alle imprese di realizzare specifiche intese di rimodulazione dell’orario di lavoro per mutate esigenze organizzative e produttive dell’azienda, in base alle quali una parte dell’orario di lavoro viene usata per percorsi formativi. Il Fondo nuove competenze copre gli oneri relativi alle ore di formazione, comprensivi dei relativi contributi previdenziali e assistenziali e può essere utilizzato anche per favorire la realizzazione di percorsi di ricollocazione dei lavoratori. A partire dal 18 gennaio, imprese e datori di lavoro devono trasmettere le istanze di contributo attraverso il servizio Fondo nuove competenze, che consentirà di presentare online le domande e sostituirà il precedente invio tramite PEC che non darà più accesso alla procedura di valutazione.
Il servizio sarà raggiungibile accedendo a MyAnpal, con le credenziali SPID, dal menu “Servizi attivi”. In particolare, l’Anpal con decreto 69 del 17.02.2021 ha disposto che per le domande presentate successivamente al 17 febbraio:
– il termine, previsto dall’art. 4 dell’avviso (Istruttoria delle istanze), entro il quale i datori di lavoro devono presentare integrazioni e/o chiarimenti alle istanze presentate è fissato in 7 giorni di calendario dalla data di richiesta di integrazioni e/o chiarimenti da parte di Anpal;
– il termine, previsto dall’art. 6.2 dell’avviso (Richiesta di saldo), entro il quale deve essere presentata la richiesta di saldo è individuato in 20 giorni di calendario dalla conclusione dei percorsi di sviluppo delle competenze;
– il termine, previsto dall’art. 6.3 (Quantificazione del saldo) dell’avviso, entro il quale i datori di lavoro sono tenuti a presentare integrazioni e/o chiarimenti alla richiesta di saldo è fissato in 10 giorni di calendario dalla data di richiesta di integrazioni e/o chiarimenti da parte di Anpal.
12.2 Il ruolo della Fondazione Consulenti per il Lavoro
La Fondazione Consulenti per il Lavoro, assieme all’associazione Nuovi Lavori, mette a disposizione della Categoria il proprio know how in materia di gestione della formazione per fornire un servizio di assistenza all’adesione al Fondo nuove competenze. Il Consulente del Lavoro delegato della Fondazione potrà richiedere sulla scorta di una preventiva analisi dei bisogni formativi delle aziende assistite, un ausilio nella redazione sia dell’accordo collettivo che del piano formativo. Sarà prevista anche la messa in trasparenza delle competenze e la relativa attestazione all’esito finale del percorso formativo. Qualora richiesto, si potrà procedere anche alla presentazione delle istanze e all’assistenza alla rendicontazione utile ai fini dell’erogazione del saldo da parte dell’Anpal. Per tali servizi verrà richiesto un contributo economico legato al valore del progetto. Sono in programma diverse sessioni informative per permettere ai Consulenti del Lavoro delegati di valutare questo nuovo servizio della Fondazione, volto a veicolare e facilitare nuove opportunità professionali.
13. FOCUS SUL CONTRATTO DI ESPANSIONE
Il contratto di espansione, originariamente introdotto nell’estate del 2019 dal decreto “Crescita” per le sole imprese con più di 1.000 unità lavorative, è stato oggetto di profonde innovazioni dalla legge di Bilancio del 2021, che lo ha prorogato fino alla fine del 2021.
Le migliorie apportate dalla manovra del 2021 si concentrano sul prepensionamento che potrà essere attivato entro la fine di quest’anno. La platea dei datori di lavoro che potranno attivare lo scivolo fino a fine 2021 dovranno avere almeno 250 lavoratori, tenendo conto della nuova facoltà di possibile raggruppamento in gruppi societari di aggregazione di imprese con finalità produttiva o di servizi, con una sostanziale apertura rispetto alla lettura del Ministero del Lavoro fornita con le due circolari apparse alla fine del 2019. Resta da chiarire se il prepensionamento è aperto ai soli datori di lavoro in campo cigs e a quelli dotati di fondi bilaterali, nonostante la rotio del legislatore induca a pensare una apertura più generalizzata. Il prepensionamento del contratto di espansione continuerà a richiedere una risoluzione del rapporto di lavoro su base consensuale e consentirà ai datori di lavoro di accompagnare i lavoratori, per non più di 60 mesi, alla forma di pensionamento (vecchiaia o anticipata) che arrivi per prima. Vi è una differenza fra le due forme di accesso a pensione: nel caso della pensione di vecchiaia il datore di lavoro corrisponderà al lavoratore solo la pensione maturata al momento dell’esodo senza versare alcun contributo e il costo del prepensionamento sarà alleggerito di un bonus corrispondente alla NASpl. Una formula conveniente per i datori di lavoro, ma penalizzante per la futura pensione dei cittadini. Se, invece, il primo ingresso a pensione sarà la pensione anticipata, l’azienda dovrà versare anche la contribuzione, con uno sconto corrispondente al valore della NASpl inclusa la contribuzione figurativa, con maggiore convenienza per i lavoratori.
Per le imprese con più di 1.000 lavoratori impegnate in piani di riorganizzazione o ristrutturazione strategici nel caso di accordi con obbligo di assunzione di un lavoratore ogni tre accompagnati a pensione, vi sarà un bonus supplementare calcolato su un’ulteriore annualità di NASpl. La norma ha introdotto la possibilità di corrispondere l’onere del prepensionamento a Inps in forma rateizzata mensile con l’introduzione della polizza fideiussoria bancaria già utilizzata per l’isopensione Fornero. In merito alla cigs derogatoria della durata massima di 18 mesi del c. 7 dell’articolo 41 del D.Lgs. n. 148/2015, questa resta accessibile alle sole imprese in campo cigs e appare ancora una volta esonerata dal contributo addizionale, a seguito dell’accesa diatriba interpretativa a oggi esaurita con l’ultima circolare Inps (143/2020), nonostante la relazione tecnica della manovra del 2021 avesse continuato a valorizzare il contributo addizionale ordinariamente applicato alle imprese che godono delle integrazioni salariali, anche in alcune forme derogatorie previste per l’emergenza sanitaria in caso di riduzioni di fatturato modeste o del tutto assenti.
La manovra ha poi prorogato anche lo strumento dell’Ape sociale, a carico dello Stato, fino alla fine del 2021.
I soggetti interessati possono presentare domanda di certificazione dei requisiti di accesso all’anticipo pensionistico entro i termini di scadenza del 31 marzo, 15 luglio e, comunque, non oltre il 30 novembre (finestra di ingresso residuale, solo in caso di risorse finanziarie disponibili). Resta confermata la tripletta di requisiti: 63 anni di età, 30 o 36 anni di contributi (con riduzioni per le donne fino a 2 anni con un anno di sconto per ogni figlio) e uno status soggettivo da certificare alternativo fra disoccupazione di lunga durata, care-giving, invalidità almeno pari al 74% o lavoro gravoso. L’assegno traghetta alla pensione di vecchiaia i soggetti con tutti i requisiti descritti con un assegno pari alla pensione maturata fino a 1500 euro mensili per 12 mensilità.
14. SPID E ACCESSO INFORMATICO: CRITICITÀ E SOLUZIONI
Il Codice dell’Amministrazione Digitale, come modificato dal D.L. n. 76/2020, prevede l’obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di utilizzare l’identità digitale per identificare i cittadini, le imprese e gli intermediari per l’accesso ai servizi in rete. Gli strumenti di identificazione sono SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale), CIE (Carta d’identità Digitale) e CNS (Carta Nazionale dei Servizi). La transizione verso i nuovi strumenti di identificazione digitale prevede due date: il 28 febbraio 2021, da cui c’è il divieto di rilasciare credenziali diverse da quelli digitali; il 30 settembre 2021, da cui non sarà possibile utilizzare le credenziali diverse da quelle digitali. La stessa norma rinvia ad un emanando decreto l’individuazione di specifica disciplina per i professionisti, anche in ordine ai tempi di adeguamento.
Pur in assenza di normativa, le istituzioni di riferimento (Inps, Inail e Ministero del Lavoro) hanno imposto un’accelerazione per la transizione all’identità digitale anche per i professionisti. Questo non ha colto di sorpresa i Consulenti del Lavoro che da sempre sono inclini all’innovazione tecnologica e dunque alla transizione digitale. Basti pensare all’adozione da anni di: DUI, tessera di riconoscimento contenente servizi digitali come il certificato di ruolo, la firma digitale e la PEC. L’adozione dell’identità digitale trova inoltre favorevole la Categoria in termini generali per la necessaria digitalizzazione del Paese e, nello specifico, in quanto è strumento di straordinaria utilità contro l’abusivismo professionale.
È bene precisare che attualmente lo SPID, il più utilizzato dei tre strumenti, non contiene il certificato di ruolo, quindi l’identità digitale serve alla PA unicamente per identificare l’identità del cittadino mentre lo status di professionista deve essere accertato in altro modo. Anche questo aspetto non coglie impreparati i Consulenti del Lavoro perché da anni il Consiglio Nazionale dell’Ordine, nell’ambito di collaborazioni interistituzionali, ha aperto le porte di dominio alla Pubblica Amministrazione permettendo l’interazione in tempo reale dell’albo unico con i vari portali delle Istituzioni. Questa modalità di interazione è già da tempo utilizzata con Inps e Inail. L’Agenzia delle Entrate con un recente provvedimento ha reso noto di essere pronta ad adottare il medesimo sistema.
Il Ministero del Lavoro, che attualmente implementa il proprio portale mediante aggiornamenti in formato excel, infine, si sta adeguando all’interfacciamento informatico.
Possiamo dunque affermare che le problematiche riscontrate e rappresentate dai colleghi non sono causate dall’utilizzo delle identità digitali, in quanto banalmente sostituiscono le vecchie credenziali, ma dai sistemi informatici delle varie amministrazioni soprattutto in relazione alle funzioni di sub delega ai collaboratori degli intermediari. Sarebbe, quindi, stata auspicabile una previa totale risoluzione delle problematiche prima dell’imposizione dell’uso dello SPID, soprattutto nel periodo di grande stress professionale che i Consulenti del Lavoro stanno vivendo. Ad ogni modo nell’interlocuzione con il CNO, l’Inps si è impegnato a differire l’abrogazione delle vecchie credenziali e la definitiva sostituzione con lo SPID alla risoluzione delle problematiche tecniche relative alle sub deleghe. Le problematiche più rilevanti, però, sono quelle riguardanti il portale informativo del Ministero del Lavoro, che in occasione dell’adozione delle identità digitali è stato anche reingegnerizzato e graficamente innovato. Le maggiori criticità, sulle quali c’è stato uno scambio epistolare piuttosto acceso con il Ministero, riguardano il frequente mancato riconoscimento dello status di Consulente del Lavoro a soggetti regolarmente iscritti all’albo e il mancato accesso ad alcuni servizi quali “cigs on line”, “deposito contratti”, “distacco transnazionale”, “smart working’, “lavoro intermittente”. Ma il Dicastero ha fatto presente alla Categoria che interverrà risolutivamente nel più breve tempo possibile.
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