FONDAZIONE degli STUDI dei CDL – Approfondimento del 14 marzo 2023
Legge di bilancio 2023: le ulteriori novità fiscali
PREMESSA
La legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di Bilancio 2023) ha introdotto, tra le varie misure, alcune modifiche al regime forfetario, con l’innalzamento a 85mila euro della soglia di ricavi e compensi, che consente di applicare un’imposta forfetaria del 15% sostitutiva di quelle ordinariamente previste. Nonché la c.d. “flat tax incrementale”, vale a dire un nuovo regime di tassazione al 15% da applicare alla parte degli aumenti di reddito calcolata rispetto ai redditi registrati nei tre anni precedenti, limitatamente all’anno 2023 e valido per le persone fisiche titolari di reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo con redditi fino a 40mila euro, che non aderiscono al regime forfetario. Sono state introdotte, inoltre, delle disposizioni volte a rafforzare l’attività di presidio preventivo connesso all’attribuzione e all’operatività delle partite IVA da parte dell’Agenzia delle Entrate.
MODIFICHE AL REGIME FORFETARIO (ARTICOLO 1, COMMA 54)
L’articolo 1, comma 54, della legge di Bilancio 2023 apporta una serie di modifiche all’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 per quanto attiene al regime forfetario.
In particolare, al comma 54, lettera a), le parole “euro 65.000” sono sostituite dalle parole “euro 85.000”. Ciò significa che viene innalzato a 85mila euro (rispetto al precedente limite previsto a 65mila euro) il limite dei ricavi conseguiti o compensi percepiti nell’anno precedente per accedere al regime forfetario agevolato.
Va ricordato che la disciplina del regime forfetario è riservata alle persone fisiche titolari di redditi d’impresa o di lavoro autonomo che nell’anno precedente hanno conseguito ricavi o percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 85mila euro e che hanno sostenuto spese per un importo complessivo non superiore a 20mila euro lordi Gli Approfondimenti della per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori. In estrema sintesi, l’accesso a tale regime comporta i seguenti sconti fiscali:
– determinazione agevolata del reddito imponibile mediante l’applicazione ai ricavi conseguiti o compensi percepiti di un coefficiente di redditività stabilito ex lege, con deduzione dei contributi previdenziali obbligatori, compresi quelli corrisposti per conto dei collaboratori dell’impresa familiare fiscalmente a carico;
– applicazione al reddito imponibile di un’unica imposta, nella misura del 15%, sostitutiva di quelle ordinariamente previste (imposte sui redditi, addizionali regionale e comunale, Irap).
Inoltre, la lettera b) modifica il comma 71, disponendo che chi avrà compensi o ricavi superiori ai 100mila euro uscirà immediatamente dal forfetario, senza aspettare l’anno fiscale successivo. Conseguentemente, sarà dovuta l’imposta sul valore aggiunto a partire dalle operazioni effettuate che comportano il superamento del predetto limite.
Chi invece supererà la nuova soglia degli 85mila euro, restando sotto i 100mila euro, uscirà dal regime forfettario a partire dall’anno successivo, come già previsto dalla legislazione vigente. In particolare, al comma 71 sono aggiunti i seguenti periodi: “Il regime forfetario cessa di avere applicazione dall’anno stesso in cui i ricavi o i compensi percepiti sono superiori a 100.000 euro. In tale ultimo caso è dovuta l’imposta sul valore aggiunto a partire dalle operazioni effettuate che comportano il superamento del predetto limite”.
Proprio al fine di evitare utilizzi impropri della disciplina, è dettata una clausola antielusione, in virtù della quale il regime forfetario cessa di essere applicabile dallo stesso anno in cui i ricavi/compensi superano la soglia di 100mila euro, con la conseguenza che, in tale circostanza, si rientra immediatamente nel regime ordinario ed è dovuta l’IVA a partire dalle operazioni che determinano lo sforamento del tetto. Invece, in caso di ricavi o compensi di ammontare superiore a 85mila e fino a 100mila euro, il regime forfetario cessa di avere applicazione a partire dall’anno successivo.
FLAT TAX INCREMENTALE (ARTICOLO 1, COMMI 55-57)
Un’ulteriore disposizione prevista dall’articolo 1, commi 55-57, della legge di Bilancio per il 2023 introduce la flat tax incrementale opzionale ai fini IRPEF per le persone fisiche titolari di reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo, diverse però da quelle che applicano il regime forfetario di cui all’articolo 1, commi 54 e successivi, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. Viene introdotta la possibilità, per il solo 2023, di assoggettare una parte della base imponibile a una “tassa piatta” meno onerosa dell’Irpef ordinaria (e delle relative addizionali regionale e comunale), ossia a un’imposta sostitutiva del 15%.
In particolare, limitatamente all’anno 2023, è assoggettata a tassazione agevolata nella misura del 15%, con un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e relative addizionali, l’eccedenza del reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo rispetto al più elevato importo del reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo dichiarato negli anni 2020, 2021 e 2022.
La base imponibile agevolata non può comunque superare l’ammontare di 40mila euro e l’eventuale eccedenza rispetto a tale importo è soggetta a IRPEF secondo i criteri ordinari. È, inoltre, disposta una franchigia pari al 5% dell’importo più elevato dichiarato negli anni dal 2020 al 2022, che resta assoggettata regolarmente all’IRPEF.
Viene stabilito, poi, che di tale eccedenza si tiene comunque conto ai fini della spettanza e per la determinazione di deduzioni, detrazioni o benefìci di qualsiasi titolo, anche di natura non tributaria, qualora il riconoscimento di detti benefici sia subordinato al possesso di requisiti reddituali.
La misura non incide sugli acconti dovuti per l’anno 2024, nel senso che questi dovranno essere determinati considerando, quale imposta del periodo precedente, quella che sarebbe emersa non applicando il regime sostitutivo.
ESEMPI DI CALCOLO
Vediamo ora alcuni esempi di calcolo:
a) Consulente del Lavoro che ha conseguito i seguenti redditi nel triennio di osservazione: 2020, 55mila euro; 2021, 60mila euro; 2022 80mila euro. Il reddito più alto tra il 2020 e il 2022 è 80mila euro. Ipotizzando che nel 2023 il reddito sarà di 115mila euro, sull’aumento di 35mila pagherà 4.650 euro di imposta sostitutiva (35mila – (cuscinetto 5% di 80mila = 4mila) x 15%), anziché 15.760 euro di cui IRPEF 15.050 euro e addizionali (ipotizzate le seguenti aliquote: comunale 0,8% e regionale 1,23) 710 euro. Con un risparmio di 11.110 euro per al 70,49%;
b) Consulente del Lavoro che ha conseguito i seguenti redditi nel triennio di osservazione: 2020, 20mila euro; 2021, 18mila euro; 2022, 23mila euro. Il reddito più alto tra il 2020 e il 2022 è 23mila euro. Ipotizzando che nel 2023 il reddito sarà di 40mila euro, sull’aumento di 17mila pagherà 2.377 euro di imposta sostitutiva (17mila – (cuscinetto 5% di 23mila = 1.150) x 15%), anziché 5.795 euro di cui IRPEF 5.450 euro e addizionali (ipotizzate le seguenti aliquote: comunale 0,8% e regionale 1,23) 345 euro. Con un risparmio di 3.418 euro per al 58,98%; c) Consulente del Lavoro che ha conseguito i seguenti redditi nel triennio di osservazione: 2020, 255mila euro; 2021, 160mila; 2022, 280mila. Il reddito più alto tra il 2020 e il 2022 è 280mila euro. Ipotizzando che nel 2023 il reddito sarà di 305mila euro, sull’aumento di 25mila pagherà 1.650 euro di imposta sostitutiva (25mila – (cuscinetto 5% di 280mila = 14mila) x 15%), anziché 11.257 euro di cui IRPEF 10.750 euro e addizionali (ipotizzate le seguenti aliquote: comunale 0,8% e regionale 1,23) 507 euro. Con un risparmio di 11.110 euro per al 70,49%.
PRESIDIO PREVENTIVO CONNESSO ALL’ATTRIBUZIONE E ALL’OPERATIVITÀ DELLE PARTITE IVA (ARTICOLO 1, COMMI 148-150)
Le disposizioni in esame, introdotte dalla legge di Bilancio 2023, rafforzano l’attività di presidio preventivo connesso all’attribuzione e all’operatività delle partite IVA. La norma riconosce all’Agenzia delle Entrate la possibilità di effettuare specifiche analisi del rischio anche attraverso l’esibizione di documentazione tramite cui sia possibile la verifica dell’effettivo esercizio dell’attività. Vengono, altresì, specificate le modalità con le quali, successivamente al provvedimento di cessazione, la partita IVA può essere nuovamente richiesta, nonché il regime sanzionatorio applicabile.
Nel dettaglio, il comma 148 dell’art. 1 della legge di Bilancio 2023 modifica l’art. 35 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, aggiungendo, dopo il comma 15-bis (NOTA 1), i commi 15-bis.1 e 15-bis.2.
Il comma 15-bis.1 dispone che, ai fini del rafforzamento del presidio del contrasto all’evasione e alle frodi, l’Agenzia delle Entrate effettui specifiche analisi del rischio connesso al rilascio di nuove partite IVA, a esito delle quali invita il contribuente a presentarsi in ufficio per esibire la documentazione al fine di consentire la verifica dell’effettivo esercizio dell’attività di impresa nonché di arti e professioni, di cui agli articoli 4 e 5 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e per dimostrare, sulla base di documentazione idonea, l’assenza dei profili di rischio individuati.
In caso di mancata presentazione in ufficio del contribuente, ovvero di esito negativo dei riscontri operati sui documenti eventualmente esibiti, l’Agenzia delle Entrate emana provvedimento di cessazione della partita IVA.
Il comma 15-bis.2 dispone che, ferma restando la disciplina applicabile nelle ipotesi in cui la cessazione della partita IVA comporti l’esclusione della stessa dalla banca dati dei soggetti che effettuano operazioni intracomunitarie, in caso di chiusura ai sensi dei commi 15-bis e 15-bis.1, la partita IVA può essere successivamente richiesta dal medesimo soggetto, come imprenditore individuale, lavoratore autonomo o rappresentante legale di società, associazione o ente, con o senza personalità giuridica, costituite successivamente al provvedimento di cessazione della partita IVA, solo previo rilascio di polizza fideiussoria o fideiussione bancaria per la durata di tre anni dalla data del rilascio e per un importo non inferiore a 50mila euro. In caso di eventuali violazioni fiscali commesse antecedentemente all’emanazione del provvedimento di chiusura, l’importo della fideiussione deve essere pari alle somme, se superiori a 50mila euro, dovute a seguito di dette violazioni fiscali, sempreché non sia intervenuto il versamento delle stesse.
Contestualmente, il successivo comma 149 dell’art. 1 della legge di Bilancio 2023 modifica l’articolo 11 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, con l’inserimento al comma 7-quater della previsione di una sanzione amministrativa di 3mila euro nei confronti della persona fisica destinataria del provvedimento di cessazione della partita IVA in quanto titolare dell’impresa individuale, dell’attività di lavoro autonomo, ovvero in qualità di rappresentante legale.
Nel corso dell’esame alla Camera dei Deputati è stato espunto l’inciso che estendeva la responsabilità solidale a carico dell’intermediario che ha trasmesso la dichiarazione di inizio attività per conto del contribuente, agendo con dolo o colpa grave, salvo dimostrare il proprio errore incolpevole e l’osservanza della diligenza professionale, quale ad esempio l’adeguata verifica della clientela.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha richiesto espressamente l’eliminazione di tale disposizione in occasione della audizione in merito al Disegno di Legge di Bilancio 2023, oltre a proporre una serie di osservazioni e proposte migliorative sul testo del predetto Ddl (NOTA 2).
Infine, il comma 150 specifica che con uno o più provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle Entrate sono stabiliti criteri, modalità e termini per l’attuazione, anche progressiva, delle disposizioni in esame.
Ferma restando la condivisione della lotta alle partite IVA pretestuose e all’evasione in generale, che determinano un’economia illegale a danno delle imprese sane, si evidenzia che la norma, così come formulata, risulta estremamente generica. In particolare, il legislatore non definisce quali elementi debbano essere presi a riferimento dall’Agenzia delle Entrate per l’analisi del rischio volta a valutare il rilascio di nuove partite IVA, demandando interamente la loro definizione al provvedimento di cui al citato comma 150. Inoltre, la previsione per la quale il contribuente deve dimostrare, con documentazione idonea, l’assenza dei profili di rischio individuati rischia di esporre il contribuente a una prova quasi impossibile.
—
Note:
(1) Si ricorda che il comma 15-bis, art. 35, D.P.R. n. 633/72 dispone: “L’attribuzione del numero di partita IVA determina l’esecuzione di riscontri automatizzati per la individuazione di elementi di rischio connessi al rilascio dello stesso nonché l’eventuale effettuazione di accessi nel luogo di esercizio dell’attività, avvalendosi dei poteri previsti dal medesimo decreto.
Gli Uffici verificano che i dati forniti da soggetti per la loro identificazione ai fini dell’IVA, siano completi ed esatti. In caso di esito negativo, l’Ufficio emana provvedimento di cessazione della partiva IVA e provvede all’esclusione della stessa dalla banca dati dei soggetti passivi che effettuano operazioni intracomunitarie”.
(2) Per approfondimenti si veda il documento depositato dal CNO in sede di audizione con la V Commissione “Programmazione economica e bilancio” del Senato della Repubblica e con la V Commissione “Bilancio, tesoro e programmazione” della Camera dei Deputati al seguente link: https://www.consulentidellavoro.it/home/storico-articoli/16261-ddl-bilancio-2023-le-osservazioni-del-cno
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