La Corte di Cassazione, sezione, lavoro, con l’ordinanza n. 30613 depositata il 28 novembre 2024, intervenendo in tema di licenziamento disciplinare, ha affermato il principio secondo cui in assenza di qualunque scrupolo per le esigenze aziendali in chi ricopre il ruolo di direttore del punto vendita […] esclude la riconducibilità della condotta alle norme collettive che puniscono con sanzione conservativa l’assenza dal lavoro, la mancata presentazione o l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro” (così Cass. n. 26198 del 2022)

La vicenda ha riguardato un dipendente direttore di un punto vendita a cui in seguito alla procedura disciplinare veniva notificato il licenziamento per la condotta tenuta dal lavoratore, il quale senza avvisare il Responsabile, aveva ritardato la ripresa del lavoro dopo la pausa pranzo, per poi allontanarsi, in serata, da Olbia (in volo per Milano) senza presentarsi al lavoro il giorno successivo invocando, telefonicamente, sopravvenuti impedimenti legati alla salute del coniuge e rassicurando, comunque, sulla possibilità di recarsi al lavoro in caso di necessità, lasciando dunque intendere di trovarsi in città ed individuata esattamente l’infrazione disciplinare addebitata (consistente nella condotta “truffaldina” tenuta dal lavoratore, del tutto privo di responsabilità rispetto alle mansioni apicali rivestite in azienda, e non semplicemente in un’assenza ingiustificata). Il lavoratore impugnava il provvedimento di espulsione. Il Tribunale adito, nella veste di giudice del lavoro, respingeva la domanda proposta dal dipendente nei confronti della società datrice di lavoro tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato. La sentenza di primo grado veniva condermata dalla Corte di appello. Il dipendente impugnava la decisione di secondo grado con ricorso per cassazione fondato su tre motivi.

I giudici di legittimità rigettavano il ricorso.

Gli Ermellini evidenziano preliminarmente che non potendo la produzione documentale equivalere di per sé all’allegazione del fatto di cui il documento è supporto narrativo, non si dà per il giudice alcun onere di esame e ancora meno di considerazione ai fini della decisione di documenti relativi a fatti che non siano stati oggetto di tempestiva e compiuta allegazione (così da ultimo Cass. n. 13625 del 2019, Cass. n. 9646 del 2022 e n. 1084 del 2023, Cass. 14450 del 2024); in specie, la tempestiva allegazione – e valutazione da parte del giudice del merito – risultava determinante a fronte del consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce valore confessorio ai prospetti paga solamente nei casi in cui sussista un riconoscimento puro e semplice della verità di fatti sfavorevoli alla parte dichiarante, con carattere di univocità ed incontrovertibilità, dovendo, diversamente, il giudice, in mancanza di siffatte connotazioni dei fatti oggetto della confessione, apprezzarla liberamente, nel quadro della dichiarazione degli altri fatti e circostanze idonei ad infirmare, modificare od estinguere la efficacia dell’evento confessato (Cass. n. 2239 del 2017, la quale ha precisato che se la controparte contesta la verità dei fatti o deduce elementi aggiunti alla confessione, è rimesso al giudice di apprezzare, secondo le circostanze, l’efficacia probatoria delle dichiarazioni; cfr. altresì Cass. n. 12769 del 2003).

(…) in tema di procedimento disciplinare, la contestazione degli addebiti e il relativo grado di precisione risponde all’esigenza di consentire concretamente all’incolpato di approntare la propria difesa, sicché spetta al lavoratore, che si dolga della genericità della contestazione e della violazione del principio di sua immodificabilità, chiarire in che modo ne sia risultato leso il suo diritto di difesa (Cass. n. 30271 del 2022). “

I giudici di piazza Cavour ribadivano che “(Cass. n. 8642 del 2024), è stato ribadito che il giudizio di proporzionalità della sanzione è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003); la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità – che implica inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia – è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata – che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, c.p.c., deve denunciare – beninteso, entro i limiti della cd. “doppia conforme” – l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016).”

Per cui alla luce dei principi richiamati la Corte di appello ha correttamente ritenuto che  l’infrazione disciplinare contestata al lavoratore non consisteva nell’assenza ingiustificata dal lavoro bensì nella “natura truffaldina della condotta posta in essere dell’appellante [lavoratore] al fine di recarsi a Milano per motivi esclusivamente personali rimasti del tutto ignoti, arricchita da una pluralità di invenzioni architettate con totale assenza di responsabilità rispetto alle mansioni ricoperte all’interno dell’azienda

In conclusione il Supremo consesso conferma che il comportamento tenuto dal dipendente ntegra la ben più grave fattispecie dell’abuso di fiducia.