La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 4936 depositata il 25 febbraio 2025, intervenendo in tema di licenziamento disciplinare, ha ribadito il principio secondo cui “La condotta oggetto di contestazione disciplinare è infatti consistita nell’aver inserito nel sistema informatico dati falsi, ossia non rispondenti al vero. Ne deriva che il dispositivo I-Pad nel presente giudizio rileva non come sistema del datore di lavoro per effettuare un controllo sulla prestazione lavorativa, ma come mezzo adoperato dal dipendente per fornire al datore di lavoro dati falsi. Tali dati, forniti dallo stesso lavoratore, rilevano pertanto non quale esito di un controllo a distanza della prestazione lavorativa, bensì come elementi da raffrontare con l’esito delle indagini investigative. A ben vedere, quegli elementi integrano proprio gran parte delle condotte disciplinarmente rilevanti, sicché non è pertinente il richiamo all’art. 4 L. n. 300/1970 (Cass. n. 28378/2023).”
La vicenda ha riguardato un dipendente di una società per azione operante nella manutenzione delle reti di distribuzione del gas. Al dipendente alla conclusione della procedura disciplinare veniva comunicato il licenziamento per aver falsamente attestato la propria presenza in servizio in diverse occasioni, mediante il tablet aziendale fornitogli per lo svolgimento della sua mansione, per avere utilizzato l’auto aziendale per scopi personali e per essersi fermato presso esercizi pubblici con indosso la divisa aziendale. Il lavoratore impugnava il provvedimento di espulsione. Il Tribunale adito, nella veste di giudice del lavoro, all’esito della fase c.d. sommaria introdotta dalla legge n. 92/2012, il Tribunale rigettava l’impugnazione. Poi con sentenza rigettava l’opposizione del lavoratore. La Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal dipendente. In particolare la Corte rilevava che ai sensi del co. 2 dell’art. 4 L. n. 300/1970 la disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. Il dipendente, avverso la decisione d’appello, proponeva ricorso per cassazione fondato su cinque motivi.
I giudici di legittimità rigettavano il ricorso del lavoratore.
In merito al ricorso ad agenzia investigativa privata gli Ermellini chiariscono che “le disposizioni dell’art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative, purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello statuto dei lavori direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (Cass. 14/02/2011, n. 3590; v. inoltre in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella in esame il precedente di Cass. 30079/2024, che si richiama anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.). Dunque va ribadito che i controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, riguardanti l’attività lavorativa del prestatore svolta anche al di fuori dei locali aziendali, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 L. n. 300/1970 (Cass. ord. 11/06/2018, n. 15094).”
Per i giudici di piazza Cavour, nel confermare la sentenza impugnata, hanno evidenziato che “la condotta tenuta dal ricorrente è stata connotata da frode idonea a conseguire indebiti arricchimenti a danno della società datrice di lavoro. Dunque si è trattato di comportamenti fraudolenti, fonte di danno per la società datrice di lavoro. Tanto basta a ritenere legittimo e giustificato il ricorso all’agenzia investigativa.“
Inoltre, sulla base dei principi affermati dalla S.C., “il comportamento disciplinarmente rilevante è dotato di manifesto disvalore morale e sociale, quindi immediatamente percepibile e conoscibile dal quisque de populo, sicché la mancata affissione del codice disciplinare è del tutto irrilevante.“