La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 21766 depositata il 2 agosto 2024, intervenendo in tema di licenziamento ed accertamenti investigativi, ha ribadito che la legittimità del controlli affidati ad agenzie investigative, anche al di fuori di locali aziendali, ove non aventi ad oggetto l’espletamento dell’attività lavorativa, e che le disposizioni dell’art. 5 st. lav., che vietano al datore di lavoro di svolgere accertamenti sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e lo autorizzano a effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa rilevante e, quindi, a giustificare l’assenza (Cass. n. 11697/2020, Cass. n. 15094/2018, Cass. n. 25162/2014, Cass. n. 6236/2001);”

La vicenda ha riguardato un dipendente il cui datore di lavoro aveva provveduto al licenziamento a seguito di contestazione dello svolgimento, nei giorni di assenza per malattia, di attività extralavorative incompatibili con la malattia certificata ovvero di trovarsi in uno stato di salute compatibile con la prestazione lavorativa. Il dipendente impugnava il provvedimento di espulsione. Il Tribunale adito, nella veste di giudice del lavoro, confermava l’ordinanza ex art. 1 comma 49, l. n. 92/2012, di rigetto della domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa. Avverso la decisione del Tribunale veniva, dal dipendente, proposto appello. La Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado. Il dipendente impugnava la sentenza di appello con ricorso in cassazione fondato su due motivi.

I giudici di legittimità rigettano il ricorso del lavoratore.

Gli Ermellini hanno ritenuto corretta la sentenza impugnata in cui era stato chiarito che la condotta del dipendente si poneva in contrasto con i generali doveri di correttezza e buona fede nonché con gli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nell’esecuzione del contratto che avrebbero imposto al lavoratore, assente per malattia, di comunicare al datore di lavoro l’intervenuto anticipato recupero delle proprie abilità e di non svolgere attività extralavorative che potessero ritardare o pregiudicare la ripresa del servizio; ha ritenuto in concreto sussistente la giusta causa di licenziamento per comportamenti rimproverabili quanto meno a titolo di colpa e denotanti imprudenza, abitudinaria noncuranza verso gli obblighi contrattuali, scarsissima inclinazione a collaborare con la controparte per consentire il regolare funzionamento del rapporto negoziale; ha ritenuto che il complesso di tali elementi giustificava il giudizio negativo sul futuro esatto adempimento della prestazione di lavoro;