La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 1227 depositata il 17 gennaio 2025, intervenendo in tema licenziamento disciplinare per abuso dei permessi di cui alla legge 104, ha ribadito il principio secondo cui il datore di lavoro, salvo diverso accordo tra le parti sociali, non può sindacare la scelta dei giorni in cui fruire di tali permessi, rimessa esclusivamente al lavoratore e soggetta solo ad obbligo di comunicazione, né può contestare la prestazione dell’assistenza in orari non integralmente coincidenti con il turno di lavoro, la quale pertanto non costituisce “abuso del diritto” (Cass. ord. n. 26417/2024).”

La vicenda ha riguardato il dipendente di una società per azioni a cui veniva notificato, al termine della procedura disciplinare, la comunicazione di licenziamento per un uso distorto dei permessi giornalieri per assistenza al familiare (suocero) disabile ex lege n. 104/1992. Il dipendente impugnava il provvedimento di espulsione. Il Tribunale adito, nella veste di giudice del lavoro, all’esito della fase c.d. sommaria di cui al rito introdotto dalla legge n. 92/2012, accoglieva la domanda di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro. A seguito di opposizione della società, il Tribunale confermava l’annullamento e la reintegrazione. La società datrice di lavoro impugnava la decisione del Tribunale. La Corte di appello accoglieva il gravame della società. Il lavoratore, avverso la sentenza di appello, proponeva ricorso per cassazione fondato su due motivi.

I giudici di legittimità accoglievano il secondo motivo del ricorso, rigettavano il primo.

Gli Ermellini premettono che “Ai fini dell’interpretazione dell’art. 33, co. 3, L. n. 104/1992 va evidenziato che (…) la nozione di diritto al permesso per assistenza a familiare disabile (e quella correlativa di “uso distorto” o “abuso del diritto” al permesso) implica un profilo non soltanto quantitativo, bensì anche – e soprattutto – qualitativo.

Sotto il primo profilo va tenuto conto non soltanto delle prestazioni di assistenza diretta alla persona disabile, ma anche di tutte le attività complementari ed accessorie, comunque necessarie per rendere l’assistenza fruttuosa ed utile, nel prevalente interesse del disabile avuto di mira dal legislatore.

Si configura l’abuso del diritto ai permessi della legge 104 “soltanto qualora sia evincibile un abuso – nel senso tecnico-giuridico di “abuso del diritto” – potrà configurarsi un “uso distorto” dei predetti permessi.”  e la presenza dei due elementi costitutivi (qualitativa e quantitativa). Per cuisul piano sistematico e ordinamentale può dirsi che, sotto il profilo oggettivo, il concetto di “abuso del diritto” implichi l’assenza di funzione, ossia un esercizio del diritto solo apparente, privo di qualunque legame ed utilità rispetto allo scopo per il quale quel diritto è riconosciuto dal legislatore.

Sul piano soggettivo è necessario un elemento psicologico, di natura intenzionale o dolosa, che parimenti deve essere accertato, sia pure mediante presunzioni semplici, dalle quali sia possibile individuare la finalità di pregiudicare interessi altrui. Nel caso del diritto al permesso per assistere un familiare disabile, queste presunzioni possono essere fondate ad esempio sul tempo “irrisorio” o comunque molto limitato dedicato nella singola giornata all’assistenza al disabile, ovvero sulle particolari connotazioni dell’elemento oggettivo. 

Occorre allora valutare i due elementi costitutivi della fattispecie abusiva illecita e ” La necessità che il nesso causale fra l’assenza dal lavoro e l’assistenza al disabile sia valutato non soltanto in termini quantitativi, ma anche qualitativi e complessivamente in modo relativo, ossia tenendo conto del contesto e di tutte le circostanze del caso concreto, è stata da tempo affermata da questa Corte in materia di congedo straordinario retribuito ai sensi dell’art. 42, co. 5, D.Lgs. n. 151/2001 (Cass. n. 29062/2017; Cass. n. 13383/2017) e ha indotto a ritenere che il c.d. abuso del diritto sussista soltanto se quel nesso causale venga a mancare “del tutto” (Cass. n. 19580/2019).

Questa Corte ha infatti ritenuto che solo a tale condizione potrebbe rimproverarsi al lavoratore di aver tenuto un comportamento contrario a buona fede e correttezza (Cass. n. 4984/2014). Va dunque ribadito che “… Ove l’esercizio del diritto soggettivo non si ricolleghi alla attuazione di un potere assoluto e imprescindibile, ma presupponga un’autonomia comunque collegata alla cura di interessi, soprattutto ove si tratti – come nella specie – di interessi familiari tutelati nel contempo nell’ambito del rapporto privato e nell’ambito del rapporto con l’ente pubblico di previdenza, il non esercizio o l’esercizio secondo criteri diversi da quelli richiesti dalla natura della funzione può considerarsi abuso in ordine a quel potere pure riconosciuto dall’ordinamento. L’abuso del diritto, così inteso, può dunque avvenire sotto forme diverse … In base al descritto criterio della funzione, deve ritenersi verificato un abuso del diritto potestativo allorché il diritto venga esercitato … non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività …” (Cass. n. 4984 cit., in motivazione). 

Pertantoil giudice di merito deve accertare se la condotta contestata in via disciplinare al lavoratore abbia comunque preservato le finalità primarie dell’intervento assistenziale voluto dal legislatore, perché in tal caso il fatto contestato in termini di “uso distorto” o di “abuso del diritto” si rivelerebbe insussistente.

In conclusione il c.d. abuso del diritto potrà configurarsi soltanto quando l’assistenza al disabile sia mancata del tutto, oppure sia avvenuta per tempi così irrisori oppure con modalità talmente insignificanti, da far ritenere vanificate le finalità primarie dell’intervento assistenziale voluto dal legislatore (id est la salvaguardia degli interessi del disabile), in vista delle quali viene sacrificato il diritto del datore di lavoro ad ottenere l’adempimento della prestazione lavorativa.