La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7793 depositata il 24 marzo 2025, intervenendo in tema di licenziamento per giusta causa, ha ribadito il principio secondo cui dall’integrazione dell’obbligo di fedeltà, di cui all’art. 2105 c.c., con i principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., deriva che il lavoratore deve astenersi da qualsiasi condotta, anche extralavorativa e potenzialmente dannosa, che sia in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa, o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (Cass. n. 26181/2024).”

La vicenda ha riguardato un dipendente, di una società esercente servizi postali ed inquadrata come addetto senior, veniva condannata alla pena di anni 2 di reclusione. La società quando era venuta a conoscenza dell’arresto della stessa lavoratrice dai quotidiani locali, si era adoperata periodicamente per reperire informazioni sull’esito definitivo del relativo procedimento penale, rivolgendosi a numerosi uffici giudiziari, ma senza trovare riscontro dal momento che si trattava di pronunce non definitive. La società aveva appreso dai quotidiani locali dell’arresto della dipendente coinvolta in vicende di traffico e spaccio di stupefacenti; all’epoca la lavoratrice era assente dal servizio per interdizione anticipata per gravidanza. La sentenza penale di primo grado era stata appellata dalla lavoratrice, così impedendo l’azione disciplinare da parte della datrice di lavoro, poiché per contratto collettivo (art. 54 co. 6 lettera h CCNL) il licenziamento per giusta causa può essere intimato a fronte di condotte extralavorative oggetto di condanne passate in giudicato per fatti che costituiscono reato; la condotta sanzionata in sede penale definitiva era addebitabile alla lavoratrice e, per quanto non strettamente connessa con il rapporto di lavoro con la società, rifletteva i suoi effetti diretti ed indiretti nell’ambito del medesimo contesto, violava , infatti, leggi penali e regole aziendali, pregiudicava l’immagine della società, elideva il vincolo fiduciario fra le parti; oltre che violare l’obbligo di diligenza, era contraria al Codice etico aziendale che impone a tutti i dipendenti comportamenti di integrità, onestà, correttezza e leale competizione fra le parti, considerando altresì che Poste Italiane svolge un servizio di rilevanza pubblica. Per cui la società datrice di lavoro, con la definitività della sentenza di condanna della lavoratrice, alla conclusione del procedimento disciplinare alla dipendente veniva intimato il licenziamento per giusta causa. La dipendente impugnava il provvedimento di espulsione. Il Tribunale adito, nella veste di giudice del lavoro, riteneva che il fatto contestato come giusta causa non sussistesse, annullando il licenziamento e ordinando la reintegra. La società appellava la sentenza di primo grado. La Corte territoriale confermava la pronuncia impugnata. In particolare, i giudici di appello, ritenevano che la società non aveva assolto l’onere di dimostrare l’effettiva rilevanza giuridica della condotta extralavorativa del 2011/2012, nel contesto aziendale del 2019. La datrice di lavoro, avverso la sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione fondato su due motivi.

I giudici di legittimità rigettavo il ricorso, in quanto la sentenza impugnata era stata ritenuta in linea con i i principi affermati in sede di legittimità.

Il Supremo consesso ha riaffermato che la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso; tali condotte, ove connotate da caratteri di gravità, possono anche determinare l’irrogazione della sanzione espulsiva (Cass. n. 267 del 2024; n. 28368 del 2021; n. 16268 del 2015).”

Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte è stato ritenuto che “Lungi dallo stabilire un automatismo tra la condanna penale e l’integrazione della giusta causa di licenziamento, la sentenza d’appello ha, quindi, ben colto le implicazioni dei fatti penalmente illeciti sulla regolare esecuzione della prestazione, nel rispetto degli obblighi facenti capo al lavoratore e posti a tutela degli utenti del servizio; del pari la Corte territoriale ha valutato – con apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità – tutta la vicenda nel suo articolarsi temporale avendo riguardo anche al comportamento adottato dalle parti dalla commissione della condotta extra-lavorativa alla contestazione disciplinare avvenuta dopo molti anni.

(…) In ordine, infine, alle doglianze sulla tutela assegnata, la Corte di merito, esclusa la giusta causa, ha considerato insussistente il fatto incolpato che deve intendersi non solo in senso materiale, ma anche in senso giuridico, come più volte affermato in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 13383/2017, Cass. n. 29062/2017), se cioè privo della illiceità necessaria a consentire l’esercizio del potere disciplinare di recesso, applicando, conseguentemente e in modo esatto, l’art. 18 co. 4 legge n. 300 del 1970.