La Corte di Giustizia UE con la sentenza n. 201/15 del 21 dicembre 2016, in riferimento alle disposizioni contenute nella Direttiva 98/59/CE in materia di licenziamenti collettivi affermando che tale direttiva non impedisce, in linea di principio, ad uno Stato membro di opporsi, in talune circostanze, a licenziamenti collettivi nell’interesse della protezione dei lavoratori e dell’occupazione Tuttavia, nell’ambito di una normativa nazionale del genere che, in tal caso, deve essere tesa ad una conciliazione e ad un giusto equilibrio tra la protezione dei lavoratori e dell’occupazione, da un lato, e, dall’altro, la libertà di stabilimento e la libertà d’impresa, i criteri giuridici che l’autorità competente deve applicare per potersi opporre ad un piano di licenziamento collettivo non possono, segnatamente, essere formulati in maniera generica e imprecisa.
La vicenda ha riguardato una società greca, che produce cemento e il cui principale azionista è la multinazionale francese, che a contestato la decisione del Ministero del Lavoro di non autorizzare il suo piano di licenziamento collettivo. In Grecia, se non è raggiunto l’accordo tra le parti per un piano di licenziamento collettivo, il Prefetto o il Ministro del Lavoro, dopo aver valutato tre criteri (vale a dire, le condizioni del mercato del lavoro, la situazione dell’impresa e l’interesse dell’economia nazionale) può negare l’autorizzazione alla realizzazione, in tutto o in parte, dei licenziamenti previsti. Un piano di licenziamento che non sia stato autorizzato non può essere realizzato.
Il Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato greco), investito della causa, chiede alla Corte di giustizia se siffatta previa autorizzazione amministrativa sia conforme alla direttiva sui licenziamenti collettivi 1 e alla libertà di stabilimento garantita dai Trattati (libertà che la multinazionale francese Lafarge esercita attraverso le partecipazioni maggioritarie da essa detenute nella fattispecie nella società greca AGET Iraklis). In caso di risposta negativa, il giudice greco chiede se la normativa greca possa essere considerata comunque compatibile con il diritto dell’Unione tenuto conto del fatto che la Grecia versa in una crisi economica acuta e si trova a fronteggiare un tasso di disoccupazione estremamente elevato.
I giudici della Corte CE-UE, nella sentenza in commento, esaminano in primis la compatibilità della normativa greca con la direttiva. Ritenendo, a tal proposito, che la direttiva non osti, in linea di principio, ad una normativa nazionale che conferisce ad un’autorità pubblica il potere di impedire licenziamenti collettivi con decisione motivata, dopo aver esaminato il fascicolo e avere preso in considerazione criteri sostanziali predeterminati, salvo se un regime siffatto privi la direttiva del suo effetto utile. La direttiva potrebbe, infatti, risultare privata di effetto utile se, tenuto conto dei criteri applicati dall’autorità nazionale, qualsiasi effettiva possibilità di procedere a licenziamenti collettivi risultasse, in pratica, esclusa.
Nella vicenda esaminata dai Giudici UE la società greca affermava che le autorità greche si erano sistematicamente opposte ai progetti di licenziamento collettivo che sono stati notificati loro. Per cui è il giudice nazionale investito della causa verificare se, per effetto dei criteri di valutazione applicati dalle autorità greche, la direttiva risulti privata di effetto utile in conseguenza del fatto che i datori di lavoro non dispongono di nessuna possibilità effettiva di procedere a licenziamenti collettivi.
Nella sentenza 201/15 è stata esaminata la compatibilità della normativa greca con la libertà di stabilimento. I giudici CE-UE hanno ritienuto che la normativa greca possa costituire un serio ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento in Grecia. Tale normativa è, infatti, atta a rendere l’accesso al mercato greco meno attraente e a ridurre considerevolmente, se non a sopprimere, la possibilità per ogni operatore proveniente da altro Stato membro, che intenda modulare la propria attività o rinunciare ad essa, di separarsi, eventualmente, dai lavoratori in precedenza assunti. La Corte conclude, dunque, nel senso che sussiste una restrizione della libertà di stabilimento.
La Corte ricorda che una restrizione del genere può essere giustificata da ragioni imperative di interesse generale, quali la protezione dei lavoratori o la promozione dell’occupazione e delle assunzioni. La Corte constata, in proposito, che la mera circostanza che uno Stato membro preveda che i piani di licenziamento collettivo debbano essere previamente notificati ad un’autorità nazionale, la quale è dotata di poteri di controllo che le consentono, in determinate circostanze, di opporsi ad un piano siffatto per motivi attinenti alla protezione dei lavoratori e dell’occupazione, non può essere considerata contraria alla libertà di stabilimento né alla libertà d’impresa sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Un regime del genere, infatti, non ha la conseguenza di escludere, per sua stessa natura, qualsiasi possibilità di procedere a licenziamenti collettivi, ma mira unicamente a inquadrare tale possibilità in modo da trovare un giusto equilibrio tra gli interessi connessi alla protezione dei lavoratori e dell’occupazione (in particolare una protezione contro i licenziamenti ingiustificati) e quelli attinenti alla libertà di stabilimento. La Corte conclude che un regime siffatto può rispondere a quanto richiesto dal principio di proporzionalità e che inoltre esso non incide sul contenuto essenziale della libertà d’impresa.
La Corte procede, poi, ad esaminare i tre criteri alla luce dei quali le autorità greche devono valutare i piani di licenziamenti collettivi. La Corte considera che il primo criterio (interesse dell’economia nazionale) è inammissibile, giacché gli obiettivi di natura economica non possono costituire una ragione d’interesse generale atta a giustificare una restrizione ad una libertà quale la libertà di stabilimento. Per contro, per quanto attiene agli altri due criteri di valutazione (situazione dell’impresa e condizioni del mercato del lavoro), essi appaiono, a priori, collegabili agli obiettivi d’interesse generale, quali la protezione dei lavoratori e dell’occupazione.
La Corte constata, tuttavia, che i suddetti due criteri sono formulati in modo generico e impreciso. I datori di lavoro interessati non sanno, pertanto, quali sono le circostanze specifiche e oggettive nelle quali le autorità greche possono opporsi ai piani di licenziamento collettivo: le situazioni sono potenzialmente numerose, indeterminate e indeterminabili e i criteri lasciano alle autorità greche un ampio potere discrezionale difficilmente controllabile. Criteri imprecisi del genere, che non si fondano su circostanze oggettive e controllabili, vanno oltre quanto è necessario per conseguire gli scopi indicati e non possono soddisfare ciò che esige il principio di proporzionalità.
Infine, in risposta alla seconda questione posta dal giudice greco, la Corta dichiara che l’eventuale esistenza, in uno Stato membro, di un contesto caratterizzato da una crisi economica acuta e da un tasso di disoccupazione particolarmente elevato non è atta ad incidere sulla soluzione esposta in precedenza. Né la direttiva, né il Trattato FUE prevedono, infatti, una deroga basata sull’esistenza di un contesto nazionale del genere.
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