Qualora il dipendente si assenta dal proprio posto in azienda, senza una valida motivazione e senza averlo previamente comunicato al datore può essere è passibile di essere licenziato mediante l’applicazione della procedura disciplinare.
La Corte di Cassazione trattando la questione ha ritenuto che il licenziamento disciplinare per “assenze ingiustificate” è pienamente legittimo (vedasi Cassazione sentenza n. 17987 depositata l’ 11 settembre 2015.
L’assenza ingiustificata si configura quando il lavoratore non provvede alla tempestiva comunicazione delle motivazioni della sua assenza dal servizio, o addirittura, fornisca informazioni non veritiere. Inoltre l’assenza prolungata e ingiustificata compromette il rapporto fiduciario tra le parti in modo irreversibile.
I giudici di legittimità con la sentenza n. 10352/2014 hanno precisato che la mancanza tempestivamente della comunicazione al datore di lavoro di eventuali impedimenti del regolare espletamento della prestazione lavorativa, che determinano la necessità di assentarsi per diversi giorni, giustifica il licenziamento, in quanto la suddetta assenza dal lavoro se non comunicata è idonea ad arrecare al datore di lavoro un pregiudizio organizzativo.
Ritardi e assenze ingiustificate
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20218 depositata il 7 ottobre 2016 ha ritenuto valida la risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro per giusta causa per assenza ingiustificata dal lavoro per tre giorni consecutivi, in base alla previsione del contratto collettivo applicato dall’azienda stessa, e per mancanza di buona fede.
Al lavoratore, di norma, è consentito ritardare l’inizio del lavoro o assentarsi dal proprio posto solo per giustificato motivo o avvisando il superiore diretto. L’assenza dev’essere giustificata entro un tempo variabile tra un minimo di 24 ed un massimo di 48 ore, a seconda dei diversi contratti.
La comunicazione delle giustificazioni deve pervenire entro il termine previsto. Non è sufficiente la spedizione di una lettera giustificativa entro tale periodo.
Quando l’assenza ingiustificata è di pochi attimi non determina il licenziamento, mentre se la stessa viene protratta oltre un certo termine può dar luogo al licenziamento. Insomma l’assenza deve essere valutata come infrazione disciplinare con tutto il procedimento preliminare che consegue.
Molti CCNL specificano quale debba essere la durata dell’assenza ingiustificata affinché la stessa sia considerata come volontà di dimettersi (ad esempio: oltre i tre giorni). Per la giurisprudenza maggioritaria, il lavoratore può dimostrare, mediante prova contraria, l’assenza di tale volontà di dimettersi (Cass. sent. n. 1025/2015.; Cass. sent. n. 16507/2013; Cass. sent. n. 12942/1999).
Nel caso di specie esaminato dalla Cassazione con la sentenza n. 17987/2015, la Suprema Corte ha ritenuto che quindici giorni di assenza dal lavoro fossero più che sufficienti per la risoluzione del rapporto con l’azienda.
Pertanto l’abbandono, da parte del lavoratore, del posto di lavoro non ha il tacito significato un atto di dimissioni, ma tale volontà deve desumersi dal suo comportamento e devono risultare anche ulteriori circostanze di fatto a conferma della sua volontà di dimettersi e la stessa volontà deve essere comunicata al datore di lavoro in maniera idonea (Cass. sent. n. 2170/2000).
Pertanto nel caso in cui il datore di lavoro non ha certezza della reale volontà del lavoratore di dimettersi, egli può contestare comunque la protratta assenza sul piano disciplinare, per procedere al successivo licenziamento al superamento dei limiti previsti dal codice disciplinare.
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