La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 21203 depositata il 17 settembre 2013 intervenendo in tema di licenziamento ha statuito che è legittimo il licenziamento comminato al lavoratore che si reca ripetutamente in ritardo al lavoro falsificando, inoltre, l’orario di ingresso.
I giudici della Cassazione hanno affermato, un ulteriore principio, che nel licenziamento per motivi disciplinari, il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito e della tempestività del recesso datoriale, che si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso; in ogni caso, la valutazione relativa alla tempestività costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato.
Gli Ermellini hanno, pertanto, ritenuto corretta la valutazione del datore di lavoro secondo cui la condotta del dipendente integrava un’ipotesi ex articolo 2119 del codice civile e cioè “un comportamento talmente grave da ledere irrimediabilmente il nesso di fiducia che deve sostenere il rapporto”.
I giudici di appello, ricorda la sentenza, avevano infatti “evidenziato la gravità della condotta posta in essere dal ricorrente, il quale, nel rendersi responsabile dell’addebito, era venuto meno ai doveri di correttezza nell’esecuzione del rapporto ricorrendo a timbrature false dell’orario di entrata; allontanandosi ingiustificatamente dal luogo di lavoro per recarsi ad un circolo sportivo a giocare a tennis o a praticare il canottaggio; per visitare concessionari d’auto ovvero allontanarsi in compagnia di estranei senza più rientrare in ufficio”.
I giudici di legittimità hanno ripreso quanto evidenziato dai giudici di merito circa la gravità della condotta posta in essere dal ricorrente, rimarcando sulla circostanza “che non si è trattato di un episodio isolato, ma di più episodi avvenuti in più riprese in breve lasso di tempo, per cui le modalità della condotta e la frequenza degli episodi contestati deponevano per la mala fede del lavoratore, il quale aveva finito, in tal modo, per ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che avrebbe dovuto sorreggere il rapporto di lavoro”.
La vicenda ha riguardato un dipendente di una importante società telefonica a cui veniva contestato, con procedura disciplinare, una serie ripetuta di comportamenti tenuti dal dipendente circa la falsificazione dell’orario di ingresso ed abbandono del posto di lavoro. Durante la procedura veniva disposta la sospensione del dipendente ed alla conclusione della procedura disciplinare veniva intimato licenziamento per giusta causa.
Il lavoratore impugnava il provvedimento di licenziamento inanzi al Tribunale in veste di giudice di lavoro. Il Tribunale adito respingeva la richiesta del ricorrente. La sentenza veniva confermata anche dalla Corte di Appello, prima, e dalla Cassazione poi.
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