La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 11347 depositata il 30 aprile 2025, intervenendo in tema di licenziamento per sciopero, ha riaffermato il principio secondo cui “Il diritto di sciopero, al di fuori dei servizi pubblici essenziali, non incontra altri limiti se non la protezione di diritti di pari rango costituzionale e la sua legittimità non dipende dalla proclamazione formale né dalla osservanza di regole procedurali (v. Cass. 23552 del 2004 cit. e successive conformi) e neppure rilevano la fondatezza e l’importanza delle finalità perseguite, fermo il rispetto del cd. limiti esterni.”
La vicenda ha riguardato alcuni dipendente di una società di servizi. La società datrice di lavoro alla conclusione del procedimento disciplinare notificava ad un dipendente il provvedimento di licenziamento. Il lavoratore impugnava il provvedimento di espulsione al fine di sentire dichiarare dal giudice del lavoro il carattere discriminatorio o ritorsivo del licenziamento intimatogli a seguito della partecipazione ad uno sciopero. Il Tribunale, all’esito della fase sommaria, aveva accolto il ricorso ed aveva dichiarato la nullità del licenziamento. Con successiva sentenza il medesimo Tribunale ha respinto l’opposizione proposta dalla società. La datrice di lavoro proponeva reclamo. La Corte di appello rigettava il reclamo, in particolare che lo sciopero è anche quello organizzato spontaneamente dai lavoratori, senza previa proclamazione da parte delle organizzazioni sindacali. Avverso la sentenza di appello, la società proponeva ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.
I giudici di legittimità rigettavano il ricorso.
Gli Ermellini hanno ricordato che “la Corte costituzionale ha affermato (sentenza 123 del 1962 e sentenza n. 1 del 1974) che il diritto di sciopero è operante nell’ordinamento indipendentemente dall’emanazione di quelle norme legislative che, in base al disposto dell’art. 40 della Costituzione, valgano a segnarne legittimamente limiti e modalità e che, nonostante tale carenza, lo sciopero già soggiace ad alcune limitazioni, sia a quelle che si desumono in modo necessario dalla stessa configurazione dell’istituto così come fu accolto dalla Costituzione (astensione dal lavoro di una pluralità di lavoratori a difesa di interessi che siano ad essi comuni), sia a quelle che derivano dalla esigenza di salvaguardare interessi che, a loro volta, trovino protezione in fondamentali principi costituzionali. La Corte costituzionale ha altresì chiarito che lo sciopero è legittimo non solo quando sia volto a finalità retributive ma anche quando, più in generale, esso venga proclamato “in funzione di tutte le rivendicazioni riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme sotto il titolo terzo della parte prima della Costituzione” (sentenza n. 123 del 1962 e n. 141 del 1967).
All’interno di queste coordinate e con orientamento risalente questa Corte di legittimità ha ribadito che il diritto di sciopero, che l’art. 40 Cost. attribuisce direttamente ai lavoratori, non incontra – stante la mancata attuazione della disciplina legislativa prevista da detta norma – limiti diversi da quelli propri della ratio storico-sociale che lo giustifica e dell’intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti. Pertanto, sotto il primo profilo, non si ha sciopero se non in presenza di un’astensione dal lavoro decisa e attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi – anche di natura non salariale ed anche di carattere politico generale, purché incidenti sui rapporti di lavoro – e, sotto il secondo profilo, ne sono vietate le forme di attuazione che assumano modalità delittuose, in quanto lesive, in particolare, dell’incolumità e della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende; sono, invece, privi di rilievo l’apprezzamento obiettivo che possa farsi della fondatezza, della ragionevolezza e dell’importanza delle pretese perseguite nonché la mancanza sia di proclamazione formale sia di preavviso al datore di lavoro sia di tentativi di conciliazione sia d’interventi dei sindacati, mentre il fatto che lo sciopero arrechi danno al datore di lavoro, impedendo o riducendo la produzione dell’azienda, è connaturale alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero stesso (Cass. n. 4260 del 1984; n. 6177 del 1985; nello stesso senso Cass. n. 23552 del 2004, di conferma della sentenza d’appello che aveva ritenuto legittimo lo sciopero finalizzato a tutelare l’interesse professionale collettivo dei lavoratori, riguardante l’orario di lavoro, pur se formalizzato dalla presenza di tre dei sei lavoratori dipendenti della società e comunicato al datore di lavoro nella medesima giornata). “
Il Supremo consesso ha anche ricordato come sia stato “precisato, con indirizzo risalente, ma di perdurante attualità, che il diritto di sciopero, quale che sia la sua forma di esercizio e l’entità del danno arrecato, non ha altri limiti attesa la necessaria genericità della sua nozione comune presupposta dal precetto costituzionale (art. 40Cost.) e la mancanza di una legge attuativa di questo se non quelli che si rinvengono in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, quali il diritto alla vita e all’incolumità personale, nonché la libertà dell’iniziativa economica, cioè dell’attività imprenditoriale, che con la produttività delle aziende è concreto strumento di realizzazione del diritto costituzionale al lavoro per tutti i cittadini; pertanto, l’esercizio del diritto di sciopero deve ritenersi illecito se, ove non effettuato con gli opportuni accorgimenti e cautele, appare idoneo a pregiudicare irreparabilmente non la produzione, ma la potenziale produttività dell’azienda, cioè la possibilità per l’imprenditore di continuare a svolgere la sua iniziativa economica, ovvero comporti la distruzione o una duratura inutilizzabilità degli impianti, con pericolo per l’impresa come organizzazione istituzionale, non come mera organizzazione gestionale, con compromissione dell’interesse generale alla preservazione dei livelli di occupazione; l’accertamento al riguardo va condotto caso per caso dal giudice, in relazione alle concrete modalità di esercizio del diritto di sciopero e ai parimenti concreti pregiudizi o pericoli cui vengono esposti il diritto alla vita, all’incolumità delle persone e all’integrità degli impianti produttivi; tali principi sono stati ribaditi, ad esempio, da Cass. n. 2840 del 1984, specificando che l’esercizio del diritto suddetto non tollera neanche limitazioni conseguenti ad aspetti dimensionali dell’azienda, salva l’osservanza di modalità imposte dai menzionati limiti esterni, esercizio del diritto che è libero nella forma, non richiedendo una sua comunicazione al datore di lavoro, né una sua formale proclamazione, e può concretarsi anche nell’astensione da una parte soltanto della prestazione lavorativa (v. anche, tra le molte, Cass. n. 46 del 1984,n. 5686 del 1987,n. 869 del 1992,n. 18368 del 2013,n. 24653 del 2015e da ultimo Cass. n. 6787 del 2024).”