La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 16095 del 26 giugno 2013 ha precisato che in materia di licenziamento per ragioni disciplinari, anche se la disciplina collettiva contempla uno specifico comportamento come giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso, il giudice investito dell’impugnativa della legittimità del licenziamento deve comunque verificare l’effettiva gravità della condotta addebitata al lavoratore.
Gli ermellini, nella fattispecie, hanno considerato illegittimo il licenziamento, in considerazione del fatto che l’allontanamento mezz’ora prima della fine del turno del lavoratore ha corrisposto l’arrivo di un collega mezz’ora prima dell’inizio del turno successivo, in tal modo il luogo non era rimasto privo di personale di vigilanza. Pertanto è corretta e logica la valutazione operata dal giudice secondo cui la brevità dell’assenza e la conseguente limitatezza del danno procurato non è proporzionato alla massima sanzione espulsiva, anche considerando l’elemento soggettivo del comportamento del dipendente convinto e sicuro della presenza imminente del proprio collega.
La vicenda ha visto protagonista un dipendente di una società di vigilanza privata che vistosi notificare la comunicazione di licenziamento per aver lasciato il proprio posto di lavoro. Il lavoratore impugnava il licenziamento inanzi al Tribunale che respingeva il ricorso del lavoratore che impugnava la relativa sentenza inanzi alla Corte di Appello che riformava la sentenza del Tribunale annullando il licenziamento intimato condannando detta società a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, ed al risarcimento del danno.
La società impugnava, con unico motivo, la sentenza con ricorso alla Corte Suprema per la sua cassazione. Gli Ermellini hanno ritenuto infondato il ricorso affermando che “in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro (per tutte Cass. 26 luglio 2010, n. 17514).”
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