La Corte di Cassazione sez. lavoro con l’ordinanza n. 12450 depositata il 21 maggio 2013 intervenendo in materia di licenziamento disciplinare ha statuito la legittimità del provvedimento espulsivo nei confronti del dipendente che rifiuta, anche dopo l’intervento del superiore, di rivelare al collega le chiavi di accesso alla procedura informatica utilizzata in azienda, per garantirsi il ruolo di unico operatore abilitato.
La vicenda ha riguardato un dipendente di un istituto di credito che si era rifiutato di consegnare le chiavi fisiche e logiche di accesso alla procedura SWIFT e PICO al collega e di avere quindi abbandonato il proprio posto di lavoro dopo avere disattivato i terminali e pertanto nei suoi confronti iniziava la procedura disciplinare con la contestazione dei fatti. La procedura contestata e complessa si conclude con il licenziamento del dipendente.
Il licenziamento veniva impugnato dal dipendente davanti al Tribunale e poi inanzi alla Corte di Appello ed in ambedue i gradi di merito la domanda del lavoratore veniva respinta.
Per la cassazione di tale sentenza il dipendente proponeva ricorso, notificato il 14 novembre 2011 e affidato a tre motivi di doglianza.
Gli Ermellini ritenendo le motivazioni infondate respinge il ricorso. In particolare i giudici di legittimità hanno chiarito che il comportamento, nonostante i reiterati solleciti del superiore, del lavoratore ha natura ostruzionistica e dilatoria e determina una disfunzione organizzativa a danno dell’azienda, che giustifica il recesso del datore poiché lede, irreversibilmente, il rapporto fiduciario con il proprio datore di lavoro così da giustificarne il licenziamento.
Più in generale, il licenziamento per giusta causa è legittimo se la condotta commessa dal dipendente risulti essere obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere gli interessi aziendali, così da far venir meno la fiducia che il datore di lavoro ripone nel dipendente e sia tale da esigere una sanzione non minore di quella espulsiva. Con la recente sentenza, in sostanza, è stato ribadito che all’art. 2105 c.c., la cui violazione può rilevare come giusta causa di licenziamento, deve essere attribuita un’estensione particolarmente ampia che impone al lavoratore di astenersi da qualsiasi comportamento che possa ledere il vincolo fiduciario tra il datore di lavoro ed il lavoratore stesso.
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