La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 20826 depositata il 11 settembre 2013 intervenendo in tema di licenziamenti ha statuito che è legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che continua a fare di testa sua in barba alle diffide del datore . Giusta la causa del recesso per la gestione personalistica contro le regole aziendali di competenza. Vince la banca dopo le perdite denunciate dai clienti. I giudici hanno anche stabilito che la discrezionalità del datore di lavoro nel graduare la sanzione disciplinare non equivale ad arbitrio e perciò egli deve illustrare in forma persuasiva le ragioni che lo inducono a ritenere grave il comportamento illecito del dipendente, tanto da giustificare il licenziamento per giustificato motivo o per giusta causa.
La vicenda ha riguardato un dipendente di un istituto di credito a cui erano state contestate varie irregolarità protratesi nel tempo nonostante le direttive del datore di lavoro. Il comportamento del dipendente violando le disposizioni del datore di lavoro, aveva causato ingenti perdite ad alcuni clienti della banca. Il datore dopo avergli contestato le irregolarità aveva sanzionato con il licenziamento per giusta causa il dipendente.
Il lavoratore ricevuta la comunicazione di licenziamento aveva impugnato il provvedimento inanzi al Tribunale in veste di giudice del lavoro. Il Tribunale adito respingeva il ricorso presentato dal lavoratore, il quale avverso la decisione dei giudici di prime cure proponeva ricorso in Corte di Appello. I giudici della Corte Territoriale hanno “ritenuto provati gli illeciti contestati al dipendente. In particolare ha ritenuto provati la indebita e personalistica gestione dei fondi dei clienti S. -S., la consapevole violazione del criterio di territorialità sancito dalle regole aziendali; la promozione di investimenti ad alto rischio che avevano determinato ingenti perdite per i clienti con conseguente obbligo restitutorio a carico dell’istituto di credito, come attestato dalla onerosa transazione che la Banca aveva dovuto concludere con i clienti di cui sopra; l’avere proposto come affidatario all’istituto un soggetto di cui conosceva la situazione di “decozione” sottoponendo, senza alcuna osservazione in merito, la relativa pratica all’organo deliberante. Tali condotte, ha osservato, rendevano proporzionata la sanzione espulsiva .”
Il lavoratore ricorreva alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza dei giudici di merito basando il ricorso su tre motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso proposta dalla parte soccombente. Inoltre hanno ritenuto privi di vizi le motivazioni e l decisione dell Corte di Appello.
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