La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 1604 depositata il 16 gennaio 2024, intervenendo in tema di licenziamenti disciplinari, ha riaffermato orientamento giurisprudenziale oramai consolidato che nei licenziamenti “… riconosce l’insussistenza del fatto anche nell’ipotesi di irrilevanza disciplinare della condotta (Cass. nn. 3076/2020, 13779/2018, 11322/2018).
[…]
lo stesso annullamento del licenziamento impugnato sarebbe conseguito quand’anche si fosse potuto riconoscere nel comportamento della ricorrente “un inadempimento nella sua materialità”; posto che ai fini della tutela (…) prevista dall’art.18, 4 comma della legge 300/70 novellato dalla legge n.92/2012, rileva anche la mancanza di illiceità disciplinare del fatto; e tale tutela va quindi accordata anche nell’ipotesi in cui non sussista alcuna responsabilità personale rispetto ad un fattispecie di inadempimento considerata nella sua materialità. …”
La vicenda ha riguardato una dipendente di una società di telecomunicazioni che aveva recesso il contratto con un licenziamento disciplinare. Il dipendente impugnava il provvedimento di espulsione. Il Tribunale adito respingeva le doglianze della lavoratrice dichiarando legittimo il licenziamento. Avverso tale decisione il dipendente proponeva appello. La Corte Territoriale riformava la decisione impugnata condannava la datrice di lavoro a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro ed a risarcirle il danno nella misura indicata, oltre accessori. La decisone dei giudici di appello si fondava sulle prove depositate che dimostravano l’insussistenza di qualsiasi profilo di illecito disciplinare nei fatti contestati alla dipendente ed inoltre escludevano che i fatti contestati integrassero un intento della lavoratrice “di sottrarsi scientemente all’integrale esecuzione delle disposizioni e della prestazione” a lei richieste, poiché era emerso, al contrario, non avesse mai mostrato disinteresse o rifiuto dei compiti assegnatile, ed avesse compiuto quanto possibile per porsi nelle condizioni di eseguire le prestazioni, seguendo diligentemente il periodo di affiancamento con il “tutor”, richiedendo ausilio tra i colleghi ovvero supporto tra i referenti esterni; ed aveva avuto un’interlocuzione costante con il superiore ed i colleghi, come dimostrato dalle innumerevoli e-mails prodotte a dimostrazione della mancanza di un atteggiamento indifferente o evasivo. Pertanto per i giudici di appello, quand’anche si potesse riconoscere nei fatti addebitati “un inadempimento nella sua materialità” esso risultava comunque deprivato di quel necessario carattere di illiceità disciplinare necessario per giustificare un licenziamento, in applicazione della consolidata giurisprudenza di legittimità che, ai fini della tutela, riconosce in tali casi l’applicazione dell’art.18, 4 comma della l. 300/70, come mod. dalla l. 92/2012. La datrice di lavoro impugnava la sentenza di appello con ricorso in cassazione fondato su sei motivi.
I giudici di legittimità rigettano il ricorso della datrice di lavoro.
Per i giudici di piazza Cavour nel caso di infondatezza che il lavoratore si sia sottratto alla prestazione, sostanzialmente rifiutandola, come nel caso di specie, risulta illegittimo il licenziamento. In tal circostanza la causa del licenziamento va inquadrata nello scarso rendimento. In tale ipotesi occorre valutare l’inesperienza nelle mansioni informatiche e le difficoltà tecniche del sistema operativo. E la tutela reale è prevista anche se «l’inadempimento nella sua materialità» sussiste ma senza responsabilità personale.
Per cui la tutela di cui all’art. 18 comma 4, che prevede la reintegra e il risarcimento, deve essere riconosciuta anche quando il fatto addebitato al lavoratore sussiste materialmente ma è privo di rilievo disciplinare. Per cui la tutela reale sarebbe stata applicata anche se nella condotta della dipendente si fosse riconosciuto «un inadempimento nella sua materialità» ma senza responsabilità personale.
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