La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 27057 depositata il 3 dicembre 2013 intervenendo in materia di licenziamento ha affermato la illegittimità di un provvedimento di licenziamento adottato da un Ente Pubblico nei confronti di un dipendente resosi irreperibile (con impossibilità ad essere richiamato) durante un periodo di ferie. Il recesso, secondo l’Ente, trovava il proprio fondamento nell’art. 23 del contratto di comparto e nell’art. 18 del CCNL.
La vicenda ha riguardato un dipendente di un ente pubblico assunto dal Comune con contratto a tempo indeterminato come responsabile dell’Ufficio Tecnico è stato licenziato per assenza ingiustificata. Il dipendente impugnava il provvedimento di licenziamento presso il Tribunale, in qualità di giudice del lavoro, contestando la legittimità formale e sostanziale del recesso in quanto egli si trovava legittimamente in ferie. Il Tribunale adito accoglieva parzialmente le domande, ritenendo illegittimo il licenziamento in quanto l’assenza era giustificata dalla concessione delle ferie, e condannando il Comune alla reintegrazione e al risarcimento del danno ex art. 18 L. 300/70, detratto l’aliunde perceptum, oltre alla corresponsione di una parte degli incentivi richiesti.
Il datore di lavoro avverso la decisione del giudice di prime cure ricorreva alla Corte di Appello. Il lavoratore oltre a costituirsi proponeva ricorso incidentale. Il datore lamentava l’erroneità della sentenza che non aveva tenuto conto del fatto che il licenziamento era seguito a due ordini di riprendere servizio, a cui il dipendente non aveva adempiuto in violazione della norma contrattuale collettivo che obbligava il lavoratore ad essere reperibile. Inoltre si affermava che il datore di lavoro manteneva sempre il potere di revocare le ferie già concesse e il non aver adempiuto all’obbligo di presentarsi al lavoro rendeva illegittima la condotta contestata.
La Corte di Appello rigettava entrambi i ricorsi. Il Comune per la cassazione della sentenza di appello propone ricorso, basato su tre motivi di censura, alla Corte Suprema.
Per i giudici di legittimità, che respingono il ricorso presentato, hanno precisato che “Il lavoratore è infatti libero di scegliere le modalità (e località) di godimento delle ferie che ritenga più utili (salva la diversa questione dell’obbligo di preservare la sua idoneità fisica, Cass. sez.un.n.1892\82), mentre la reperibilità del lavoratore può essere oggetto di specifico obbligo disciplinato dal contratto individuale o collettivo del lavoratore in servizio ma non già del lavoratore in ferie, salvo specifiche difformi pattuizioni individuali o collettive.”
Inoltre gli ermellini hanno affermato che dalla lettura dei due articoli contrattuali non si evince ciò che l’ente ha addotto a pretesto del licenziamento, in quanto è vero che il lavoratore ha l’obbligo di comunicare la propria residenza, se diversa dalla dimora abituale (necessaria per inviare eventuali comunicazioni), ma quest’obbligo non può essere imposto durante le ferie, che sono costituzionalmente garantite, articolo 36 della Costituzione comme 3 “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”
Le ferie servono proprio al recupero psico-fisico del lavoratore, recupero che sarebbe quasi impossibile se, quotidianamente, si è costretti ad indicare come e dove essere reperibile. Ma anche la lettura dell’art. 18 del CCNL è sbagliata in quanto il datore può ben revocare e spostare in avanti le ferie, ma lo deve fare prima che queste inizino.
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