La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 35516 depositata il 19 dicembre 2023, intervenendo in tema di licenziamento, ha confermato quanto statuito dai giudici di merito; per cui va dichiarato illegittimo, per insussistenza del fatto, il licenziamento irrogato per una condotta che rientra in una prassi aziendale condivisa dai superiori.
La vicenda ha riguardato una dipendente, con mansioni di cassiere, di una società operante nel settore della distribuzione. La dipendente veniva licenziata avere creato una fittizia carta fedeltà (intestata ad una persona inesistente), di averla utilizzata in più occasioni (tutte specificate) “per acquisti effettuati da clienti in modo da ottenere un indebito accumulo di punti nonché uno stato di “Card Platinum”, così privando “i clienti stessi della possibilità di sottoscrivere la propria fidelity”: condotte realizzate dalla lavoratrice a danno e detrimento degli interessi della società e a suo proprio ed esclusivo vantaggio per interessi del tutto personali. La dipendente impugnava il provvedimento di licenziamento. Il Tribunale adito, nella fase sommaria, accoglieva il ricorso della lavoratrice ritenendo dimostrata l’esistenza in azienda della prassi di utilizzare la carta irregolare. In sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, il Tribunale, riteneva inesistente la pratica autorizzata dai vertici aziendali nonché la dedotta prassi aziendale e, considerava legittimo il licenziamento, è revocava l’ordinanza della prima fase. La dipendente impugnava in appello la decisione dei giudici di prime cure. La Corte di appello ritenne fondate le doglianze della lavoratrice, concludendo per la inesistenza del fatto contestato condannando la società, in considerazione dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione da parte della lavoratrice, al pagamento della indennità sostitutiva della reintegrazione oltre al risarcimento del danno nella misura di dodici mensilità, nulla detraendo per l’espletamento di altra attività lavorativa reperita a distanza di oltre un anno dal licenziamento.
Avverso la decisione della Corte Territoriale la società datrice di lavoro proponeva ricorso in cassazione.
I giudici di legittimità ribadiscono il principio di diritto secondo cui “… (per tutte, Cass. n. 5095/2011; Cass. n. 6498/2012) secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
[…]
il principio in virtù del quale l’interpretazione dell’atto di licenziamento, ai fini della determinazione della contestazione mossa al lavoratore (la quale, in ogni caso, dev’essere fatta in modo preciso ed univoco) e la valutazione – sotto il profilo oggettivo e soggettivo – del comportamento del lavoratore stesso, al fine di stabilire se esso sia di entità tale da integrare giusta causa o giustificato motivo di recesso del datore di lavoro, integrano accertamenti di fatto riservati al giudice del merito e non censurabili in sede di legittimità, se sostenuti da adeguata e corretta motivazione. …”
Per il Supremo consesso è corretto quanto statuito dalla Corte territoriale sulla esistenza di una prassi diretta appunto a favorire gli acquisti di clienti occasionali, che in mancanza vi avrebbero rinunciato, e dimostrava che l’esecuzione delle operazioni irregolari non era a esclusivo vantaggio della lavoratrice e a detrimento dell’interesse aziendale. Infatti tale circostanza, data per pacifica la riferibilità alla dipendente della creazione della carta punti irregolare, collegata al suo numero di cellulare, pur essendo la dipendente in possesso di una altra carta personale, rilevava che la carta irregolare era risultata essere stata associata a vendite effettuate anche da diverse altre lavoratrici, presso gli esercizi gestiti della datrice di lavoro in cui era stata addetta, e di tale circostanza erano a conoscenza le responsabili dei negozi.
Pertanto per i giudici di legittimità a fronte dell’avallo di detta condotta da parte dei superiori gerarchici della dipendente, non può ritenersi integrata la giusta causa di licenziamento.
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