La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18168 depositata il 26 giugno 2023 è intervenuta in tema di controlli nei confronti dei dipendenti e nel confermare l’illegittimità del licenziamento di un dirigente bancario per sospetto di infedeltà, ha confermato il principio di diritto “Sono consentiti i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto. Non ricorrendo le condizioni suddette la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua dell’art. 4 l. n. 300/1970, in particolare dei suoi commi 2 e 3”. (Cassazione n. 25732 del 2021, Cassazione n. 34092 del 2021)
La vicenda ha riguardato il licenziamento di un dirigente a seguito della contestazione, da parte del datore di lavoro (istituto di credito), della violazione dei doveri di diligenza e fedeltà e dei principi di correttezza e buona fede per aver avuto contatti e rapporti con imprese concorrenti. Tali notizie erano state raccolte a seguito dell’accesso alla sua posta elettronica aziendale. Avverso tale provvedimento il lavoratore proponeva ricorso ai giudici di merito. In particolare la Corte di Appello confermava l’illegittimità del licenziamento per aver, il datore di lavoro, utilizzato illegittimamente il monitoraggio, in quanto la banca non aveva garantito “la proporzionalità e le garanzie procedurali contro l’arbitrarietà del datore di lavoro”. Avverso la decisione dei giudici di appello, il datore di lavoro proponeva ricorso in cassazione.
Gli Ermellini nel respingere le doglianze del datore di lavoro hanno evidenziato la distinzione tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale, i quali riguardano tutti i lavoratori e che devono essere realizzati nel rispetto dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori (accordo sindacale o autorizzazione dell’ispettorato del lavoro) ed i controlli anche tecnologici diretti ad accertare specificamente condotte illecite ascrivibili a singoli dipendenti sulla base di indizi concreti (c.d. “controlli difensivi in senso stretto” ) che sono “all’esterno del perimetro applicativo dell’art. 4” dello Statuto dei Lavoratori e non richiedono il preventivo accordo sindacale o l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro.
Diversamente i controlli difensivi in senso stretto sono consentiti solo “in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto”.
Pertanto, per i giudici di legittimità il controllo deve essere “mirato” sul singolo lavoratore ed “attuato ex post”, ossia a seguito del comportamento illecito del lavoratore, in quanto “solo a partire da quel momento il datore può provvedere alla raccolta di informazioni utilizzabili … non essendo possibile l’esame e l’analisi di informazioni precedentemente assunte in violazione delle prescrizioni di cui all’art.4 St. lav.”.
Nell’ordinanza in commento si evidenzia che anche in presenza di un sospetto di attività illecita, occorrerà, nell’osservanza della disciplina a tutela della riservatezza del lavoratore, e segnatamente dell’art. 8 della CEDU, assicurare un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, con un contemperamento che non può prescindere dalle circostanze del caso concreto.
Inoltre i giudici della Corte Suprema sulla base del principio di vicinanza della prova hanno chiarito che l’onere probatorio ricade sul datore di lavoro, il quale deve “allegare prima e provare poi le specifiche circostanze che lo hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post, considerato che solo tale “fondato sospetto” consente al datore di lavoro di porre la sua azione al di fuori del perimetro di applicazione diretta dell’art. 4”. Anche alla luce del più generale criterio legale ex art. 5 1. n. 604 del 1966
Infine secondo i giudici di legittimità gli elementi utili anche ad orientare il bilanciamento del giudice nei casi di controlli difensivi “in senso stretto”, sono:
– l’informazione del lavoratore circa la possibilità che il datore di lavoro adotti misure di monitoraggio, con la precisazione che la stessa dovrebbe, in linea di principio, essere chiara sulla natura della sorveglianza ed essere precedente alla sua attuazione;
– il grado di invasività nella sfera privata dei dipendenti, tenendo conto, in particolare, della natura più o meno privata del luogo in cui si svolge il monitoraggio, dei limiti spaziali e temporali di quest’ultimo, nonché del numero di persone che hanno accesso ai suoi risultati;
– l’esistenza di una giustificazione all’uso della sorveglianza e alla sua estensione con motivi legittimi, con la precisazione che quanto più invadente è la sorveglianza, tanto più gravi sono le giustificazioni richieste;
– la valutazione, in base alle circostanze specifiche di ciascun caso, se lo scopo legittimo perseguito dal datore di lavoro potesse essere raggiunto causando una minore invasione della vita privata del dipendente;
– la verifica di come il datore di lavoro abbia utilizzato i risultati della misura di monitoraggio e se siano serviti per raggiungere lo scopo dichiarato della misura;
– l’offerta di adeguate garanzie al dipendente sul grado di invasività delle misure di sorveglianza, mediante informazioni ai lavoratori interessati o ai rappresentanti del personale circa l’attuazione e l’entità del monitoraggio, dichiarando l’adozione di tale misura a un organismo indipendente o mediante la possibilità di presentare reclamo.
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