La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 26286 depositata il 25 novembre 2013 intervenendo in materia di licenziamenti ha statuito la illegittimità del licenziamento adottato in violazione dei diritti sindacali dei lavoratori, nonostante l’inerzia del lavoratore, a nulla rilevando il fatto che il comportamento antisindacale, contestato dall’associazione dei lavoratori, sia stato tenuto da un’impresa che impiega meno di quindici dipendenti.
La vicenda ha riguardato il licenziamento di un giornalista senza avvisare preventivamente il fiduciario di redazione e senza il suo preventivo nulla osta come previsto dal CCNL dei giornalisti. Avverso il provvedimento espulsivo del giornalista veniva proposto opposizione ex art. 28 legge n. 300/70 dall’Associazione S.R. nei confronti della società N. s.p.a datrice di lavoro. Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, dichiarò l’antisindacalità della condotta di quest’ultima per aver licenziato S.D.L., G.G., S.P., S.A. e M.S. in violazione dell’obbligo di preventiva informazione del Fiduciario di redazione di cui all’art. 34, comma 4, del contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, ordinandole di ripristinare il rapporto di lavoro dei predetti dipendenti e di corrispondere loro le retribuzioni dal momento del recesso a quello della reintegra e condannandola, altresì, all’affissione di tale decisione nelle bacheche aziendali delle imprese del gruppo S., oltre che alla sua pubblicazione e messa in onda nella testata N. per tre giorni consecutivi.
Avverso la decisione dei giudici di prime cure la società datrice di lavoro proponeva impugnazione della sentenza dinanzi alla Corte di Appello, i cui giudici confermarono la sentenza di primo grado.
La società proponeva ricorso, basato su quattro motivi di censura, per la cassazione della sentenza della corte distrettuale inanzi alla Corte Suprema.
Gli Ermellini rigettano il ricorso ritenendo le motivazioni infondate. In particolare i giudici di legittimità hanno ritenuto correttamente applicato il principio secondo cui “il licenziamento determinato da motivi sindacali è viziato da nullità ai sensi dell’art. 4 della legge 15 luglio 1966 n. 604 – la cui previsione è applicabile, a norma dell’art. 11 della stessa legge nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 174 del 1971, a tutti i rapporti di lavoro, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda e, quindi, anche in mancanza di garanzia di stabilità reale – ed è idoneo a ledere l’interesse collettivo alla libertà ed all’attività sindacale, risultando perciò perseguibile dal sindacato con il procedimento previsto dall’art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300; al cui esperimento non osta l’inapplicabilità dell’art. 18 di tale legge, atteso che a determinare la rimozione (e la cessazione degli effetti) della condotta antisindacale integrata dal detto licenziamento è idoneo, pur nell’inerzia del lavoratore interessato (la cui eventuale azione, ancorché coincidente nell’oggetto materiale, è ontologicamente distinta da quella del sindacato), l’accertamento della nullità del recesso del datore di lavoro e quindi della persistente validità ed efficacia del rapporto di lavoro, con applicabilità (in danno del detto datore) dei principi della “mora credendi”. (Cass. Sez. lav. n. 9950 del 12/5/2005)
Per cui concludono i giudici supremi che la condotta datoriale concretizzatasi con la mancata richiesta del nulla osta, integrano gli estremi della condotta antisindacale, per il licenziamento del giornalista fiduciario S.A. ai sensi dell’art. 34 CCNL dei giornalisti, norma, questa, contenente la previsione di una procedura a garanzia dei lavoratori per i casi di licenziamento, la cui elusione non può non rappresentare una evidente violazione delle prerogative del sindacato, che finirebbe in tal modo per essere esautorato dal compito istituzionale di esprimere pareri e di fare proposte in ordine ai licenziamenti.
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