La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 25917 depositata il 19 novembre 2013 intervenendo in materia di licenziamenti ha statuito l’illegittimità del licenziamento qualora il datore di lavoro non fornisce prova adeguata dell’avvenuta notifica della lettera di licenziamento al dipendente, e se altresì la ricevuta della lettera raccomandata con cui è stato intimato al lavoratore il licenziamento non è “agevolmente leggibile”, in quanto prodotta in fotocopia, specie se il dipendente ne ha richiesto più volte copia originale.
La vicenda ha riguardato un dipendente a cui veniva notificato il licenziamento al termine della procedura disciplinare. Il lavoratore impugnava il provvedimento di espulsione, contesta l’illegittimità dello stesso chiedendo l’accertamento di diverse violazioni allo statuto dei lavoratori, a partire dalla data certa della notifica della propria lettera di licenziamento, inanzi al Tribunale, in veste di giudice di lavoro, che accoglieva la domanda del ricorrente e dichiarava l’illegittimità del licenziamento ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro e condannando la società a corrispondergli, a titolo risarcitorio, le retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra.
La società datrice di lavoro impugnava la pronuncia del giudice di prime cure inanzi alla Corte di Appello i cui giudici riformavano parzialmente la decisione di primo grado riducendo l’importo del risarcimento del danno e confermando il resto della sentenza impugnata. In particolare i giudici di appello evidenziavano che il licenziamento era stato intimato prima che fossero trascorsi cinque giorni dalla contestazione del fatto che vi aveva dato causa, e ciò in violazione dell’art. 7, comma 5, legge 300/70.
Il datore di lavoro per la cassazione della sentenza di appello proponeva ricorso, affidandosi a dieci motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini rigettano il ricorso della società. I giudici di legittimità ricordano che in corso di causa il datore ha fornito soltanto una “volanda”, semplice attestazione delle poste senza alcun valore legale, ritenuta dal giudice del merito inadeguata a segnalare data certa di consegna al destinatario. In ogni caso, il licenziamento sarebbe stato irrogato prima della scadenza dei cinque giorni, decorrenti dal momento della contestazione, per iscritto, previsti dalla legge (art. 7 Statuto dei lavoratori). La Suprema Corte, in quanto giudice del merito, si limita a verificare la correttezza dell’iter logico alla base del ragionamento del giudice del merito – e non, come richiesto dall’azienda ricorrente, anche alcune censure relative al merito della questione – verificando che la motivazione della decisione impugnata sia immune da censure e vizi.
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