La Corte di Cassazione sez. lavoro con la decisione n. 23172 depositata il 11 ottobre 2013 intervenendo in tema di licenziamento ha statuito che la lentezza nell’attività lavorativa e l’insubordinazione legittimano il licenziamento per giusta causa del lavoratore. Tale comportamento, infatti, interrompe il vincolo fiduciario con il datore di lavoro.
La vicenda ha riguardato un dipendente a cui al termine della procedura disciplinare veniva comunicato il licenziamento. Le contestazioni hanno riguardato il comportamento avuto, poiché si era anche recato sul lavoro nonostante gli fosse stato esplicitamente comunicato, dal superiore gerarchico, l’applicazione, per quegli stessi giorni, della sanzione disciplinare consistente nella sospensione dal servizio e dalla retribuzione. Inoltre si contestava anche la sua “lentezza”, poiché, aveva impiegato un totale di 92 giorni lavorativi (esclusi i giorni di assenza per ferie, malattia, ecc.), per aver svolto una attività lavorativa che, se fosse stata svolta con la diligenza ordinaria, avrebbe richiesto un tempo non superiore a 30 giorni lavorativi.
Il datore di lavoro, al fine di di sentir accertare la legittimità del recesso, instaurava il giudizio inanzi al Tribunale, in funzione del giudice del lavoro. I giudici di prime cure ritennero il licenziamento illegittimo. Avverso la decisione del Tribunale il datore di lavoro proponeva ricorso inanzi alla Corte di Appello. I giudici di appello, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava legittimo il licenziamento.
Il dipendente ricorreva alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza della Corte Territoriale.
La Suprema Corte ha così ritenuto legittima la cessazione del rapporto di lavoro, dovuta alle manchevolezze del lavoratore, alla scarsa efficienza e affidabilità, in quanto idonei a compromettere il rapporto fiduciario tra le parti. Nel caso di specie, l’attività del dipendente era caratterizzata dalla lentezza nell’assolvere i compiti assegnatigli, frequenti irreperibilità, rifiuto di usare il computer, incapacità di lavorare in gruppo, inosservanza della sanzioni disciplinari ricevute.
Si è sempre discusso sulla legittimità del licenziamento per scarso rendimento, in quanto non sempre è facile stabilire se la insufficiente produttività del dipendente sia dovuta alla mancanza di impegno oppure a fattori contingenti, che vanno al di là delle singole capacità.
In linea generale, ciascuna prestazione lavorativa deve essere eseguita con la professionalità e la diligenza richieste dal tipo di attività svolta.
Per dimostrare le manchevolezze del dipendente, è necessario individuare dei parametri in merito alla prestazione che il datore di lavoro può legittimamente esigere. Ciò è possibile tramite l’analisi delle prestazioni medie dei lavoratori adibiti alle medesime mansioni (Cassazione, sentenza n. n. 6747 del 3/05/2003). Attraverso questa valutazione si può dimostrare, in via presuntiva, la negligenza del lavoratore, risultante dalla sproporzione tra gli obiettivi fissati nei programmi di produzione e quelli effettivamente raggiunti.
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