La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7524 del 23 marzo 2017 intervenendo in tema di licenziamento ha statuito la legittimità del licenziamento di un lavoratore diventato inabile alle mansioni solo se non è in grado di svolgere alcuna attività prevista in azienda.
La vicenda ha riguardato un dipendente assunto ai sensi della legge 68/1999 successivamente divenuto inabile alle mansioni, per le quali era stato assunto, durante il rapporto di lavoro. L’azienda procedeva al suo licenziato per giustificato motivo oggettivo a causa dell’aggravamento delle condizioni di salute che rendeva impossibile il suo utilizzo in qualsiasi attività aziendale. Il lavoratore impugnava il licenziamento ed il Tribunale adito ritenne legittimo il licenziamento. Avverso tale decisione il dipendente proponeva ricorso innanzi alla Corte di Appello che in riforma della sentenza di primo grado ha evidenziato che “il principio secondo cui la sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore integrasse una impossibilità oggettiva della prestazione si applica alla generalità dei rapporti di lavoro ma non a quelli costituiti a titolo di avviamento privilegiato degli invalidi ai sensi della legge n. 68/1999”
La società impugnava la decisione dei giudici di appello con ricorso in cassazione basato su due motivi.
Per i giudici di legittimità il licenziamento del lavoratore assunto ai sensi della legge 68/1999 è legittimo solo in presenza della perdita totale della capacità lavorativa, ossia di una situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti.
Inoltre l’accertamento della perdita di capacità lavorativa è di competenza dell’apposita commissione medica di cui alla legge 104/1992 non solo la verifica dell’aggravamento delle condizioni di salute del dipendente ma anche di accertare l’impossibilità di reinserirlo in altri settori aziendali, anche attuando i possibili adattamenti all’organizzazione del lavoro.
Le suddette modalità possono trovano applicazione anche per chi subisce l’invalidità successivamente all’assunzione, per aggravamento di una precedente patologia o per insorgenza di una incapacità a determinate mansioni. Nei casi di specie il lavoratore, assistito dal certificato del proprio medico, dovrà far presente la propria incompatibilità alle funzioni assegnategli e solo se è impossibile reimpiegarlo in altre attività, qualora disponibili e non occupate già da altri dipendenti, lo si potrà licenziare.
Per giustificare il licenziamento l’impossibilità della prestazione deve essere totale nel senso che va sempre verificato se residua una utilizzabilità delle prestazioni del lavoratore prima del licenziamento. Per cui, secondo la sentenza in commento, nei casi in cui il giudizio dalla Commissione medica aziendale di cui alla l. n.104/1992, il cui parere è vincolante, prevede un residuo spazio di utilizzabilità delle prestazioni del lavoratore quest’ultimo ha diritto alla conservazione del posto.
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