La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8710 del 4 aprile 2017 intervenendo in tema di licenziamento dei lavoratori dipendenti ha affermato che qualora vi sia una lite tra colleghi, ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare è necessario individuare con certezza il responsabile dell’alterco e dell’eventuale sbocco violento dello stesso.
La vicenda ha riguardato un dipendente che aveva litigato con il collega di lavoro ed era passato alle vie di fatto nel corso del litigio. L’azienda dopo avergli contestato, con procedura disciplinare, la circostanza gli comunicava il licenziamento disciplinare avendo a lui attribuito la responsabilità del violento litigio, culminato in una denuncia per le lesioni personali. Il lavoratore impugnava il provvedimento innanzi al Tribunale che accoglieva le doglianze del lavoratore dichiarando illegittimo il licenziamento. La sentenza veniva impugnata dall’azienda avanti alla Corte Territoriale che confermava la decisione dei giudici di primo grado poichè riteneva non provato l’addebito contestato, in difetto di qualsiasi elemento istruttorio che consentisse di attribuire al ricorrente:
- la responsabilità del litigio;
- e l’iniziativa dello sbocco violento dello stesso.
Per cui i giudici di appello hanno giudicato sproporzionata la sanzione irrogata.
L’azienda avverso la sentenza della Corte di Appello proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi.
Gli Ermellini ritengono infondati i motivi del ricorso della società evidenziando come, ai fini della decisione del caso, fosse necessario accertare la “riferibilità al lavoratore licenziatodell’iniziativa del passaggio alle vie di fatto e non certo quello dell’accettazione della mera possibilità che, in relazione alla situazione, quel passaggio potesse verificarsi […]”.
Per cui i giudici del palazzaccio hanno ritenuto la motivazione della Corte territoriale immune dai vizi logici e giuridici denunciati dalla Società ricorrente, essendo stato possibile accertare solo “il consensuale passaggio alle vie difetto“ e non “di tenere per certo che (omissis) abbia dato corso alla lite” né di attribuire allo stesso “l’inizio della lite od un suo atteggiamento intimidatorio”.
Il Giudice dell’appello, pertanto, non poteva che considerare sproporzionata la sanzione irrogata e quindi insussistente l’invocata giusta causa di recesso.
La sanzione espulsiva è illegittima quando non è dimostrato che l’incolpato abbia dato corso alla lite o tenuto un atteggiamento intimidatorio prima dell’alterco.
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