La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 16228 del 27 giugno 2013 interviene in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel settore edile affermando che “in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’ultimazione delle opere edili per la cui realizzazione i lavoratori sono stati assunti non è sufficiente a configurare un giustificato motivo di recesso, salvo che il datore di lavoro non dimostri l’impossibilità di utilizzazione dei lavoratori medesimi in altre mansioni compatibili, con riferimento alla complessità dell’impresa e alla generalità dei cantieri nei quali è dislocata la relativa attività, dovendosi peraltro esigere dal lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile reimpiego, mediante l’indicazione di altri posti in cui poteva essere collocato, cui corrisponde l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti, da intendersi assolto anche mediante la dimostrazione di circostanze indiziarie, come la piena occupazione negli altri cantieri e l’assenza di altre assunzioni in relazione alle mansioni del dipendente da licenziare (V., tra le altre, Cass. 22.10.2009 n. 22417).”
La vicenda inizia con la comunicazione del licenziamento di un dipendente di una società edile che fu dal dipendente impugnata dinanzi al Tribunale che accolse le doglianze del lavoratore. Avverso la sentenza la società edile propose ricorso alla Corte di appello. I giudici di appello in accoglimento parziale del gravame della società ed in parziale riforma dell’impugnata decisione confermando nel resto la decisione di primo grado, che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato condannando la società alla reintegrazione del predetto nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate da tale data alla reintegrazione.
La società, per la cassazione di tale decisione, propone ricorso alla Corte Suprema affidando l’impugnazione a due motivi.
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