La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20284 del 14 luglio 2023, intervenendo in tema di licenziamento, ha affermato che “… la reiterazione del comportamento, che si ha per effetto della mera ripetizione della condotta in sé considerata, non é irrilevante, incidendo comunque sulla gravità del comportamento posto in essere dal lavoratore, che, essendo ripetuto nel tempo, realizza una più intensa violazione degli obblighi del lavoratore e può, pertanto, essere comunque sanzionato in modo più grave (Cass. n. 22162 del 2009) …”
La vicenda ha riguardato il dipendente di una SpA assunto come venditore di I livello e che la prestazione dedotta nel contratto era finalizzata ad un risultato indicato dal datore di lavoro, cioé i target di produzione periodicamente stabiliti. La società datrice di lavoro contestando la scarsa produttività del dipendente, mediante raffronto dei risultati dallo stesso raggiunti con i target attesi, procedeva al suo licenziamento contestando il costante e ripetuto mancato rispetto dei programmi di lavoro concordati con il medesimo.
Il lavoratore impugna il licenziamento. I giudici di prime cure ritengo legittimo il licenziamento del dipendente. Avverso la decisione del Tribunale il dipendente propone appello. I giudici di appello respingono il reclamo è confermano la sentenza di primo grado. Il dipendente impugna la decisione di appello con ricorso in cassazione fondato su dodici motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso del lavoratore hanno precisato che “… in tema di sanzioni disciplinari di cui all’articolo 7 della L. n. 300 del 1970, deve distinguersi tra illeciti relativi alla violazione di specifiche prescrizioni attinenti all’organizzazione aziendale e ai modi di produzione, conoscibili solamente in quanto espressamente previste, ed illeciti concernenti comportamenti manifestamente contrari ai doveri dei lavoratori e agli interessi dell’impresa, per i quali non é invece richiesta la specifica inclusione nel codice disciplinare, che é pertanto sufficiente sia redatto in forma tale da rendere chiare le ipotesi di infrazione, sia pure dandone una nozione schematica e non dettagliata, e da indicare le correlative previsioni sanzionatorie, anche se in maniera ampia e suscettibile di adattamento secondo le effettive e concrete inadempienze (Cass. n. 10201 del 2004). …”
Inoltre il giudizio di scarsa produttività sulla base di un confronto tra i risultati raggiunti dal lavoratore ed i suddetti target, effettuato tenendo conto che: la suddivisione della clientela tra i venditori si era basata su assegnazione casuale e non su imposizione del datore.
Pertanto, per i giudici di piazza Cavour, il datore di lavoro non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilità, ma deve anche dimostrare che la causa di esso derivi da colpevole negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore, nell’espletamento della sua normale prestazione (si veda anche Cassazione, sentenza n. 9453/2023).
Infine, i giudici della Suprema Corte, hanno evidenziato, in tema di sanzioni disciplinari, che “… La preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore incolpato deve necessariamente riguardare, a pena di nullità della sanzione del licenziamento disciplinare, anche la recidiva, e i precedenti disciplinari che la integrano, solo quando la recidiva medesima, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva applicabile, rappresenti un elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già un mero criterio, quale precedente negativo della condotta, di determinazione della sanzione proporzionata da irrogare per l’infrazione disciplinare commessa” (v. Cass. n. 1909 del 2018; n. 23924 del 2010; v. anche Cass. n. 10441 del 1996). …”
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