La Corte di Cassazione, in tema di licenziamento, con la sentenza n. 17590 del 18 luglio 2013 ha statuito l’illegittimità del provvedimento espulsivo nei confronti del lavoratore che ha presentato richiesta di aspettativa in base alle previsioni del contratto collettivo nazionale di lavoro, con un congruo anticipo rispetto alla scadenza del periodo di comporto.
Nel caso di specie la Suprema Corte ha chiarito che è ingiustificato il recesso del datore di lavoro che non ha considerato la domanda proposta dal dipendente, rilevando, altresì, il rifiuto dello stesso datore alla richiesta di conteggio delle assenze già consumate.
La vicenda ha visto protagonista un lavoratore che si era visto recapitare la lettera di licenziamento intimatole per superamento del periodo di comporto. Il dipendente impugnava il provvedimento di licenziamento inanzi al Tribunale in veste di Giudice di lavoro. Il giudice di prime cure accoglieva le doglianze del lavoratore dichiarando illegittimo il licenziamento. Avverso la sentenza la società propose ricorso alla Corte di Appello che confermava la desione di primo grado.
“La predetta Corte poneva a base del decisum il rilievo fondante secondo il quale il licenziamento doveva ritenersi illegittimo in quanto la società non aveva tenuto conto che la lavoratrice, precedentemente alla scadenza del comporto, aveva presentato, a norma dell’ art. 19 del CCNL metalmeccanici, richiesta di aspettativa. Quanto all’aliunde perceptum la Corte territoriale rilevava che la società “non aveva fatto allegazioni precise circa eventuali rapporti di lavoro intrattenuti dalla lavoratrice oltre quello dalla stessa dichiarato al giudice”.
La società soccombente propose risorso alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza della Corte di Appello basandola su cinque morivi.
Gli Ermellini dopo aver ritenuto inammissibile il primo motivo in quanto la critica per come articola è inammissibile.
Esaminando congiuntamente gli altri quattro motivi evidenzia che l’interpretazione dell’art. 19 del CCNL “va intesa nel senso che le parti sociali non hanno subordinato la presentazione dell’ istanza all’avvenuto superamento del periodo di comporto, bensì al suo approssimarsi è conforme ai canoni interpretativi di cui all’ art. 1362 e seg. c.c. Invero in tal senso milita il tenore letterale e la ratio della clausola collettiva che, prescindendo del tutto dalla previsione di termini di decadenza di qualsiasi genere, rende palese la volontà della parti di svincolare la richiesta da qualsiasi ambito temporale. Del resto se la clausola dovesse interpretarsi nel senso che la richiesta è possibile solo quando è scaduto il termine di comporto la stessa non avrebbe alcun significato in quanto non idonea a comportare uno spostamento in avanti del periodo di conservazione del posto di lavoro poiché, appunto, posteriore alla sua originaria scadenza.”
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