Per i dipendenti con scarso rendimento, in particolare per i “fannulloni”, il datore di lavoro può intimare loro il licenziamento disciplinare che costituisce una delle ipotesi di recesso da parte del datore di lavoro per grave e/o notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento prevista dagli artt. 1453 e ss. codice civile. La Corte Suprema ha affermato che qualora sono individuabili dei parametri per accertare che la prestazione del lavoratore sia eseguita con diligenza e professionalità medie, il discostamento da questi parametri può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione. Un comportamento che valutato per un apprezzabile periodo di tempo può rendere legittimo il licenziamento.
Il principio di diritto è stato affermato con la sentenza, della Cassazione, n. 14310 depositata il 9 luglio 2015. La vicenda ha riguardato un dipendente di un impresa di telefonia il quale, nel periodo ottobre 2008 e marzo 2009, aveva raggiunto livelli di produttività inferiori rispetto alle prestazioni individuali dallo stesso raggiunte in epoca antecedente e a quelle dei suoi colleghi.
I giudici di legittimità hanno precisato che il lavoratore, seppur non tenuto ad un’obbligazione di risultati, deve comunque mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie ed eseguire la prestazione lavorativa con diligenza e buona professionalità. Per i giudici del palazzaccio , quindi, il licenziamento per scarso rendimento nell’ambito della risoluzione per inadempimento di cui all’art. 1453 e seguenti cod. civ. allorquando lo stesso sia l’effetto di un inadempimento degli obblighi contrattuali.
Gli Ermellini ha precisato che: «Nel contratto di lavoro subordinato, infatti, il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato, ma alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, giacché si tratta di lavoro subordinato e non dell’obbligazione di compiere un’opera o un servizio (lavoro autonomo). Ove, tuttavia, siano individuabili dei parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con la diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, il discostamento dai detti parametri può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione (Corte di Cassazione, sentenza 20 agosto 1991, n. 8973)»
Per i giudici nella sentenza 14310/2015 hanno precisato che «È dunque evidente che, per stabilire se tale segno dimostri univocamente che vi è stato inadempimento, è necessario valutare la condotta nel suo complesso per un’apprezzabile periodo di tempo, tenendo bene a mente che il mancato raggiungimento del parametro non va confuso con l’oggetto dell’accertamento, che è costituito dall’inesatta o completa o mancata esecuzione della prestazione (punto n. 9)». E che: «La valutazione compiuta dal giudice del merito, conclude la Cassazione, è in tutto conforme ai principi espressi ed è sorretta da motivazione congrua, esaustiva, sicché essa è del tutto esente dalle censure mossele con il ricorso (punto n. 10)».
Ai fini della determinazione dello «scarso rendimento» e della motivazione del giudice di appello la Corte di Cassazione ha esaminato gli addebiti mossi al lavoratore ed ha ravvisato «una totale sproporzione tra l’attività lavorativa del ricorrente rispetto a quella dei suoi colleghi, anche di inquadramento inferiore e di minore anzianità».
Ha considerato che nel periodo di riferimento (dal 26 al 31 gennaio 2009 e dal nove al 13 marzo 2009) «gran parte delle caselle corrispondenti alle varie tipologie di attività (gestione delle negoziazione, gestione dei contratti, incontro con i fornitori, incontro con i clienti interni, gestione listini, attività per stage gates) risultano desolatamente vuote»; con riferimento ad attività di minor qualità professionali, come la gestione operativa degli ordini, ha rilevato come la produttività è risultata del tutto insoddisfacente («due e quattro ordini nelle due settimane considerate»), a fronte di una media degli altri buyers di più di 40 al giorno e di più di 200 alla settimana.
Ha quindi ritenuto «prive di consistenza» le giustificazioni addotte dal lavoratore, oltre che sotto certi aspetti contraddittorie. Il giudizio di gravità dell’inadempimento e di proporzionalità è stato pertanto compiutamente condotto ed esso è privo di incongruenze, peraltro neppure segnalate in ricorso.
La giurisprudenza per la individuazione dello scarso rendimento ha individuato alcuni indici la cui esistenza costituisce prova dello scarso rendimento del lavoratore.
- Il risultato. In primo luogo, il risultato atteso deve essere inferiore rispetto alla media delle prestazioni rese dai lavoratori con la stessa qualifica e le stesse mansioni, indipendentemente dagli obiettivi minimi fissati (Cassazione, sez. lavoro, sentenze 16582/2015 e 20050/2009).
- Lo scostamento. In secondo luogo, lo scarto deve essere notevole, deve cioè sussistere una sproporzione particolarmente rilevante tra il risultato del lavoratore e quelli medi degli altri lavoratori. Lo scarso rendimento, inoltre, deve essere imputabile al lavoratore, di modo che si possa escludere che lo stesso sia determinato da fattori organizzativi o socio-ambientali dell’impresa stessa.
- La condotta. Ancora, sarà necessario valutare il comportamento del lavoratore (comunque fondato su dolo o colpa) in un determinato arco temporale e non in relazione ad un singolo episodio (o a sporadici casi) di sotto-rendimento. Dunque, ulteriori indici rilevanti per individuare la condotta censurabile risultano essere anche la frequenza e la ricorrenza del comportamento del dipendente in un arco temporale significativo, nonché la sua abitualità, circostanze che divengono sintomo di evidente progressiva disaffezione al lavoro.
L’onere della prova grava sul datore di lavoro è dovrà dimostrare il notevole inadempimento degli obblighi assunti dal lavoratore.
La problematica dello scarso rendimento, per una parte della giurisprudenza, trova applicazione anche nel caso di assenze reiterate del lavoratore in quanto possono integrare la fattispecie dello scarso rendimento allorché le stesse, pur se incolpevoli, rendano la prestazione non più utile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulla produzione aziendale e sulle esigenze organizzative e funzionali dell’impresa (Cassazione, sentenza 4 settembre 2014, n. 18678; tribunale Milano, sezione lavoro, sentenza 19 gennaio 2015, n. 1341; Tribunale Milano, sezione lavoro, sentenza 19 settembre 2015 n. 26212).
Lo scarso rendimento rileva, da ultimo, in tutti i casi in cui siano contestate al lavoratore specifiche (lievi) mancanze che, come oggetto, non possono che avere situazioni strettamente riferibili allo svolgimento dell’attività. Il licenziamento conseguente, ascrivibile tra quelli per giustificato motivo soggettivo, è il risultato di un comportamento continuo e recidivo, più volte contestato, sfociato in provvedimenti disciplinari definitivi (ad esempio articoli 9 e 10 Ccnl metalmeccanici).
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