Per la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha statuito, che è soggetto ad IVA l’importo del corrispettivo per lavori non eseguiti a seguito della risoluzione del contratto, con la sentenza depositata il 28 novembre 2024 nella causa C-622/23 stabilendo che “l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che l’importo contrattualmente dovuto in seguito alla risoluzione, da parte del beneficiario di una prestazione di servizi, di un contratto validamente concluso avente ad oggetto la fornitura di tale prestazione di servizi, soggetta all’IVA, che il prestatore aveva iniziato a fornire e che era disposto a completare, deve essere considerato come costituente il corrispettivo di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso, ai sensi della direttiva IVA.“
Ai giudici UE è stata posta la seguente questione pregiudiziale “Se l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della [direttiva IVA], in combinato disposto con l’articolo 73 della medesima direttiva, debba essere interpretato nel senso che l’importo che un committente deve versare al prestatore d’opera, anche in mancanza della (piena) esecuzione dell’opera, se il prestatore era disponibile ad effettuare la prestazione, ma l’esecuzione della stessa è stata impedita da circostanze dipendenti dal committente (per esempio la disdetta dei lavori), va assoggettato all’imposta sul valore aggiunto (IVA)”
Per i giudici unionali ” una prestazione di servizi viene effettuata «a titolo oneroso», ai sensi di detta disposizione, solo quando tra il prestatore e il destinatario intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di reciproche prestazioni: il compenso ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore effettivo del servizio individuabile fornito al destinatario. Ciò si verifica quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto (sentenza dell’11 giugno 2020, Vodafone Portugal, C‑43/19, EU:C:2020:465, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
(…) Per quanto concerne il nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario e il controvalore effettivo ricevuto, la Corte ha dichiarato che il controvalore del prezzo versato al momento della firma di un contratto relativo alla prestazione di un servizio è costituito dal diritto che ne deriva per il cliente di usufruire dell’esecuzione delle obbligazioni risultanti dal contratto, indipendentemente dal fatto che il cliente si avvalga di tale diritto. Così, il prestatore di servizi realizza tale prestazione nel momento in cui pone il cliente in condizione di usufruire della stessa, di modo che l’esistenza del nesso diretto summenzionato non è compromessa dal fatto che il cliente non faccia uso di detto diritto (sentenza dell’11 giugno 2020, Vodafone Portugal, C‑43/19, EU:C:2020:465, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
(…) Al riguardo, occorre aggiungere che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, un importo predeterminato percepito da un operatore economico in caso di risoluzione anticipata da parte del proprio cliente, o per un motivo al medesimo imputabile, di un contratto di prestazione di servizi che deve durare per un certo periodo di tempo – importo corrispondente a quello che tale operatore avrebbe percepito nella restante parte di detto periodo se non si fosse verificata la risoluzione – dev’essere considerato quale remunerazione di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso e, in quanto tale, soggetta all’IVA, sebbene tale risoluzione abbia implicato la disattivazione dei servizi previsti da tale contratto prima della fine del periodo convenuto (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2020, Vodafone Portugal, C‑43/19, EU:C:2020:465, punto 33 e giurisprudenza ivi citata). “
Inoltre i giudici unionali, in merito ad precedente sentenza, hanno precisato che “nella sentenza del 18 luglio 2007, Société thermale d’Eugénie-les-Bains (C‑277/05, EU:C:2007:440), non verteva su una situazione analoga o comparabile a quella di cui trattasi nel procedimento principale. In tale sentenza, la Corte ha considerato, in particolare, che non sussisteva un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto, in quanto la prenotazione della camera non costituiva una prestazione di servizi autonoma e individuabile. Essa ha inoltre dichiarato che la caparra costituiva, in una situazione come quella di cui trattasi nella causa che ha dato luogo a detta sentenza, un’indennità forfettaria che serviva a indennizzare il prestatore di servizi a seguito della rinuncia di un cliente e che essa non costituiva quindi la retribuzione di una siffatta prestazione.”