La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 687 depositata il 15 gennaio 2014 intervenendo in tema di danno per condotte persecutorie ha statuito che qualora vi sia stato, con la destinazione ad altre mansioni, il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa, non si può ricorrere al concetto di equivalenza delle mansioni, configurandosi un’ipotesi vietata anche nell’ambito del pubblico impiego. Inoltre la liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva e cioè tale da coprire l’intero pregiudizio a prescindere dai “nomina iuris” dei vari tipi di danno, i quali non possono essere invocati singolarmente per un aumento della anzidetta liquidazione.
La vicenda ha riguardato un dipendente comunale il quale dopo essere stato nominato responsabile con funzioni dirigenziali del neoistituito settore tributi veniva destituito da tale incarico per la soppressione da parte del Comune dell’area tributi. Per cui il dipendente venne assegnato all’area amministrativa con funzioni di istruttore e di addetta alla biblioteca.
Il dipendete adiva al tribunale, in veste di Giudice del lavoro, poiché a seguito della attribuzione delle nuove funzioni, era stata costretta a soggiornare in una stanza in disuso ed era rimasta, di fatto, in una condizione di totale inattività, non essendo la biblioteca comunale frequentata da alcun utente; che la forzata inattività, alla quale era stata costretta, le aveva provocato una sindrome ansioso-depressiva reattiva. Chiedeva, in ragione di ciò, di essere reintegrata nelle mansioni in precedenza svolte nell’ambito del settore tributi, o in altre mansioni equivalenti, e di essere risarcita dei danni subiti a causa del comportamento mobbizzante. Il Tribunale adito accolse parzialmente la domanda del dipendente dichiarando illegittimo il provvedimento di soppressione del settore tributi senza previa consultazione con le OO.SS., inoltre disponeva la reintegra della ricorrente nelle mansioni in precedenza svolte e condannava il Comune convenuto al risarcimento del danno biologico, ravvisando la sussistenza del comportamento vessatorio.
Il Comune avverso la decisione del giudice di prime cure proponeva ricorso dinanzi alla Corte di Appello che in parziale riforma della sentenza impugnata dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinano in ordine alla domanda di reintegrazione nell’incarico e nelle mansioni di responsabile del settore tributi in ordine alla richiesta di danni per mobbing confermava quanto stabilito dalla sentenza di primo grado.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure il Comune proponeva ricorso, basato su otto motivi di censura, alla Corte Suprema. Il dipendente proponeva appello incidentale.
Gli Ermellini accolgono il settimo motivo di doglianza del Comune e cassano la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello.
I giudici di legittimità hanno ribadito che il pregiudizio non patrimoniale costituisca una categoria generale di danno, non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente denominate, la cui risarcibilità è ammessa nei soli casi previsti dalla legge ovvero, in adesione al principio della tutela minima risarcitoria, in quelli in cui il fatto illecito abbia leso interessi di rilievo costituzionale, riferibili alla persona umana e non valutabili economicamente. Il tutto a condizione, però, che siano state adeguatamente allegate e provate la gravità della lesione e la serietà del danno, che deve avere superato il normale livello di tollerabilità, e che non siano risarcite «due volte le medesime conseguenze pregiudizievoli».
Nel caso di specie, alla luce di quanto affermato dalla Corte, sono state ritenute idonee a suffragare la fondatezza delle doglianze sollevate con il settimo motivo del ricorso per Cassazione dal Comune di Casaletto Spartano, condannato dal Giudice del gravame a risarcire sia il danno da riduzione della capacità lavorativa che quello morale ad una donna che, dopo essere stata per lungo tempo dirigente del settore tributi, era stata assegnata a nuove funzioni presso la locale biblioteca, in una stanza in disuso ed in condizioni di totale inattività.
Infatti, sebbene il giudicante debba tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, il Supremo Collegio sostiene che sia erronea la sentenza di merito che, attraverso il ricorso al danno biologico ed al danno morale abbia ammesso «un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale ecc.), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie».
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