La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 16630 depositata il 14 giugno 2024, intervenendo in ordine all’istituto della revoca del licenziamento, ha ribadito il principio secondo cui “… stante la natura di diritto potestativo della revoca del licenziamento, deve richiamarsi il precedente di questa Corte (cfr. Cass. n. 24274/2006, in motivazione) secondo cui “nei rapporti negoziali, qualora ad una parte risulti conferito, dalla legge o da fonte pattizia, un diritto potestativo, l’esercizio di tale diritto produce la modificazione immediata della sfera giuridica del destinatario. Le limitazioni all’esercizio del potere, quanto alla prescrizione di determinate forme, alla sussistenza di motivi giustificativi, alla necessità di un periodo di preavviso ai fini della produzione degli effetti, devono essere specificamente stabilite dalla legge o dalla stessa fonte contrattuale attributiva del potere”. Nella fattispecie, il comma 10 dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 non prevede limitazioni all’esercizio del potere di revoca del licenziamento, se non quella che la revoca debba essere “effettuata” nei quindici giorni dalla comunicazione dell’impugnazione del licenziamento medesimo. Il dato testuale, che ancora il dies a quo alla comunicazione dell’impugnativa di licenziamento e il dies ad quem all’effettuazione della revoca, senza alcun riferimento alla comunicazione all’interessato, induce a ritenere sufficiente il mero invio della revoca al lavoratore nel termine prescritto e non anche la ricezione da parte dello stesso nel medesimo termine. …”

La vicenda ha riguardato una dipendente, con mansioni di banconiera, di una società a responsabilità limitata, esercente attività di panetteria, a cui veniva notificato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La lavoratrice impugnava il provvedimento di espulsione. Successivamente alla impugnazione, la datrice di lavoro comunicava la revoca del licenziamento, la dipendete comunicava la sua impossibilità di presentarsi al lavoro avendo ricevuto il telegramma nel medesimo giorno. La società, dando atto della giustificazione della assenza della lavoratrice, aveva invitato la stessa a presentarsi al lavoro il giorno successivo; non essendosi quest’ultima presentatasi per oltre tre giorni veniva licenziata per giusta causa. La dipendete citava in giudizio la società datrice di lavoro. Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, emetteva, in fase sommaria ex lege n. 92/2012, provvedimento di rigetto delle impugnazioni proposte. Il Tribunale confermava il provvedimento con sentenza. Avverso la decisione di primo grado, la dipendente proponeva appello. La Corte territoriale respingeva il reclamo avverso la pronuncia del Tribunale. I giudici di appello precisavano precisato che: a) la revoca del primo licenziamento era tempestiva perché effettuata nel termine di 15 giorni e non si era verificata alcuna decadenza perché doveva aversi riguardo alla data di invio del telegramma e non alla sua ricezione, dovendosi applicare il principio di scissione degli effetti dell’atto, applicabile anche in tema di revoca del recesso, di talché per il datore di lavoro era rilevante il momento in cui questa veniva effettuata e per il lavoratore il momento della sua ricezione; b) il telegramma era riferibile alla società e ciò era avvalorato dal comportamento successivo di entrambe le parti; c) l’attività del difensore della lavoratrice, espletata durante tutti gli eventi, dimostrava l’esistenza di una procura generale e della elezione di domicilio presso di esso; d) andava applicato, per la regolamentazione delle spese, il criterio della soccombenza. La lavoratrice proponeva, avverso la sentenza di appello, ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.

I giudici di legittimità rigettavano il ricorso della dipendente.

Gli Ermellini evidenziano che “… l’istituto della revoca del licenziamento, ai fini della individuazione della sua natura giuridica, quale diritto potestativo del datore di lavoro cui soggiace il lavoratore.

(…) E’ una sorta, pertanto, di “autotutela” esercitabile dal datore di lavoro che determina il ripristino ex tunc del rapporto, senza che sia necessario il concorso di una analoga manifestazione di volontà da parte del lavoratore in tal senso e senza che sia fonte di risarcimento del danno.

(…) Per provocare l’effetto ripristinatorio del rapporto in questi termini, la revoca deve essere effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro della impugnazione del licenziamento, prevista dall’art. 6 della legge n. 604/1966. …”

Per il Supremo consesso, in ordine agli effetti dell’esercizio di tale diritto potestativo, ha precisato che “… L’esercizio del potere entro il suddetto termine, come statuito dalla legge, deve considerarsi lecito, non giovando il richiamo dei precetti di buona fede e correttezza, che possono integrare il contenuto di obbligazioni ma non determinarne la nascita di nuove se non previste dalla legge o da altre pattuizioni (Cass. n. 7731/2007; Cass. n. 7053/2009; Cass. n. 4239/2015). …”

In particolare, per i giudici di piazza Cavour, la revoca del licenziamento deve essere inviata nei quindici giorni dalla comunicazione dell’impugnazione del licenziamento ed è valida anche se non ricevuta dal destinatario entro i 15 giorni.